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“Terrorea – Materia Corporis” di AA.VV.

Ok, in Terrorea Materia Corporis ci sono dentro anche io. Sarebbe saltato fuori, no? Quindi tanto vale dirtelo subito.
Fatto.
Sarò breve, perché è difficile parlare di un’antologia senza fare spoiler e preferenze tra i racconti – e gli autori – e lo è ancora di più, appunto, quando uno degli autori sei tu.

11 racconti horror accuratamente selezionati dal curatore – Marco Marra, scrittore ed editor – affinché presentino come tema comune quello del “corpo”. Un corpo a volte fisico, altre psicologico, altre ancora quasi teologico.

Edita da Horti di Giano, l’antologia Terrorea è il perfetto esempio di come un progetto possa ben funzionare grazie alla passione. 200 pagine che trasudano, non tanto sangue, quanto amore per il macabro e la scrittura. E, naturalmente, un misto di stili diversi e interessanti.

Sono contento di esserci (il mio racconto si intitola Io so che tu sai che io so) perché fare parte di un volume come questo significa essere stati selezionati per qualcosa di “particolare”. L’edizione è, infatti, curata nei minimi dettagli e la qualità si percepisce in ogni piccola scelta (una su tutte la copertina fighissimamente cronenberghiana di Riccardo D’Ariano).
E se tra queste scelte ci sono anche io, beh, che dire…

“L’estate della paura” di Dan Simmons

L’estate della paura è un romanzo che ho cercato per molto, molto tempo. È fuori stampa, raro e parecchio costoso. Ho avuto la fortuna di trovarlo in un lotto composto da una decina di libri horror, che l’inconsapevole venditore (eBay) mi ha ceduto per una quindicina di euro. Quando va bene, L’estate della paura viene venduto attorno agli 80 euro (ma anche a 200, a seconda dell’edizione). L’edizione Gargoyle che ho letto ha notoriamente qualche problema di impaginazione, ciò mi ha costretto a non aprire mai il volume per più di 40° e ad aumentare la mia paranoia nei confronti delle pieghe di lettura. Comunque, se mai ti interessasse, sono riuscito a preservarlo in maniera perfetta, il libro sembra ancora fresco di stampa e non tende minimamente a spaginarsi. E no, non lo vendo.

Questo infinito preambolo perché L’estate della paura è considerato un romanzo di culto da tutti gli appassionati di horror. Qualcuno (non io, te lo dico subito) lo ritiene addirittura superiore a IT. In realtà, il libro di Dan Simmons è un evidente omaggio al capolavoro di Stephen King, con il quale condivide tante tematiche. Una per tutte è la ciclicità del Male, che si riforma e colpisce di generazione in generazione. Ma potrei andare avanti: anche i protagonisti di questo romanzo sono tutti preadolescenti; anche qui, tra loro, è presente una sola ragazza; c’è un bullo spaccone con il serramanico sempre in tasca; c’è l’ambientazione in un piccolo paesino dove tutti si conoscono… insomma, ci siamo capiti. Ripeto, tuttavia, si tratta chiaramente di omaggio (IT esce nel 1986, L’estate della paura nel 1991), non di scopiazzatura.

La trama è conosciuta. A Elm Heaven (Illinois), Mike, Jim, Kevin, Duane, Dale e Lawrence trascorrono le giornate correndo sulle loro biciclette. La Old Central School ha appena chiuso i battenti e l’estate è iniziata. Poi, però, accade qualcosa, un ragazzino sparisce e un inquietante furgone comincia a girare per le strade, con il suo carico di morte. Non mi dilungo, è il Male, ovviamente, e il suo epicentro è nascosto proprio nella Old Central.

630 pagine, un mese di lettura. Tanto. Troppo. Se dovessi dirti cosa, in particolare, non mi abbia convinto non saprei da che parte iniziare. C’è la storia, c’è la “formazione” (sia come genere letterario, che come gruppo di personaggi), c’è la sfida tra Bene e Male. Eppure L’estate della paura non mi ha coinvolto, sono rimasto freddo come un cadavere, privo di emozioni. Avrei voluto affezionarmi a questi ragazzini, piangere e gioire con loro (come con i “perdenti” di Derry) e, invece, niente, il vuoto. Lo stile di Simmons probabilmente non ha aiutato, l’ho trovato molto prolisso in tanti punti (l’autore sembra peraltro avere un’ossessione per le misure, che in certe descrizioni appaiono davvero ingombranti con costanti specifiche in metri e centimetri). Un peccato, perché le aspettative erano davvero molto alte (direi sui 107 metri e 34 centimetri).

Chiariamoci, L’estate della paura è un buon romanzo, godibile. Forse davvero, in qualche modo, mi aspettavo un nuovo IT e sono rimasto deluso. So che esiste anche un seguito, L’inverno della paura (che in realtà ha solo uno dei ragazzi come protagonista nell’età adulta, un po’ come il Danny di Dr Sleep per Shining), ma devo ancora capire se lo leggerò. Vedremo.

“L’ultima porta del cielo” di Dean Koontz

L’ultima porta del cielo (One Door Away from Heaven) è un romanzo di Dean Koontz del 2001 (vent’anni fa, sob). Un lunghissimo romanzo, aggiungerei, considerata la mole di ben 750 pagine. Per quanto mi riguarda è l’ottavo libro che leggo di questo autore e, di gran lunga, il peggiore. Ma andiamo per ordine.

La trama segue le vicende di quattro personaggi che finiscono per ritrovarsi insieme nel finale della storia. C’è Leilani, una bambina che vive con una madre tossicodipendente e un patrigno assassino, seguace della bioetica utilitaristica e del culto degli UFO; Micky, vicina di casa di Leilani, che desidera salvare la bambina da morte certa; Noah, un detective privato ingaggiato da Micky per smascherare il patrigno di Leilani; e infine Curtis, un ragazzino braccato per tutti gli Stati Uniti da misteriosi nemici che vogliono ucciderlo perché… beh, questo non posso dirtelo.

Leggendo qua e là vedo che qualcuno ha definito L’ultima porta del cielo un romanzo corale, proprio a causa dei molti personaggi. Credo sia un po’ esagerato. La storia è talmente semplice e poco articolata che definire corale questo romanzo è davvero generoso. Credo sarebbe più corretto definirlo semplicemente un romanzo prolisso, ecco. Un romanzo che sarebbe apparso troppo lungo anche con 450 pagine in meno.

Bene, ora veniamo ai lati positivi: i dialoghi (sì, sto facendo del sarcasmo). Potrei elencarti vari scambi di battute, portarti diversi esempi per spiegarti quanto siano irreali e macchiettistici, ma te ne farò solo uno. A un certo punto il ragazzino, durante la sua fuga (descritta per circa 200 pagine e sintetizzabile in “Curtis scappa”), incontra due gemelle omozigote che lo aiutano grazie alla loro capacità di cavarsela in ogni occasione (sanno gestire armi, combattere, aggiustare motori, eccetera, eccetera). Già qui saremmo su un livello di costruzione del personaggio che sfiora il peggior cliché di un film con Steven Seagal, ma non basta. Le gemelle parlano a turno, portando avanti interi dialoghi come se fossero una persona sola. Cazzo, neanche fossero Tweedledum e Tweedledee di Alice nel paese delle meraviglie. Una cosa terrificante.

Unita a tutto questo, una serie di colpi di scena e di soluzioni all’ultimo minuto che definirei imbarazzanti. Hai presente quando hai un protagonista che è bloccato in una stanza, senza porte e finestre, e dovrebbe morire lì, salvo una genialata del narratore che, con grande credibilità, ti accompagna nella sospensione dell’incredulità e risolve il problema? Ecco, non è una cosa che troverai in L’ultima porta del cielo. Koontz se ne uscirebbe con qualcosa tipo: “ma lui aveva la capacità di deformare la materia con la forza del pensiero”. No, non ci siamo.

Mi correggo. L’ultima porta del cielo non è solo il romanzo più brutto di Koontz che ho letto, è anche il più brutto romanzo che ho letto nell’ultimo anno. Forse negli ultimi due o tre.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Lampi (1988)
Cuore Nero (1992)
L’ultima porta del cielo (2001)
Il luogo delle ombre (2003)

“Lampi” di Dean Koontz

Laura Shane nasce illesa solo grazie all’intervento di un misterioso uomo che impedisce al dottore di turno (un alcolizzato incompetente) di causare danni irreversibili. Lo stesso uomo la salva nuovamente a otto anni, durante una rapina. E poi ancora, qualche tempo dopo, da un maniaco in orfanotrofio. E ancora, e ancora, e ancora.
Laura chiama questo individuo “il custode”, poiché sembra vegliare sempre su di lei. Quando finalmente capisce che lui proviene da un altro tempo, il pericolo vero si avventa sulla sua famiglia, lasciandola vedova e con un figlio da proteggere.
Mi fermo.

Lampi (Lightning) se la batte con Incubi, quanto a noia, e mi dispiace. L’ho letto in poco tempo, nonostante le sue 430 pagine, ma il motivo è dovuto solo a un paio di serate inaspettatamente libere che ho passato con il libro in mano, non certo all’entusiasmo. La trama è interessante, i viaggi nel tempo mi piacciono, la prima parte della storia, in orfanotrofio, mi ha appassionato, ma poi è finita lì.

Credo che il problema principale di Lampi, per quanto mi riguarda, sia stato l’aver ucciso la sospensione dell’incredulità. E non l’ha fatto con i tunnel temporali – quelli funzionano (ovviamente se li si apprezza) – l’ha fatto con dei dialoghi forzati, per nulla naturali e spontanei, e con personaggi a tratti macchiettistici. L’amica della protagonista, che di lavoro fa la cabarettista, si esprime praticamente solo a battute. Sembra il Groucho di Dylan Dog: una cosa che può funzionare in un fumetto, ma non in un romanzo. I nazisti sono tutti stupidi e quadrati, “cattivi e basta”. Laura si trasforma in Steven Seagal, imparando a utilizzare Uzi e pistole e sapendo muoversi nell’ambiente della criminalità come Scarface. Insomma, mancano la profondità e il realismo.

Se dovessi sintetizzare (o semplificare) al massimo, ti direi che questo romanzo è un buon telefilm. Non è da buttare, si può vedere, ma non è memorabile, anzi. È un po’ come se dovessi ricordarti la settima puntata della terza stagione di Magnum PI

Sembra, da quanto leggo ovunque, che Intensity sia insuperabile: forse è venuto il momento di “sfoderarlo”. In ogni caso, non saranno un paio di libri mediocri a farmi mollare Koontz.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Lampi (1988)
Cuore Nero (1992)
Il luogo delle ombre (2003)

“Later” di Stephen King

Later l’ho letto in due giorni, è un romanzo che si fa divorare. Non tanto per la trama (che non ha nulla di straordinario) quanto perché quando King parla dell’adolescenza o, comunque, mette in campo un protagonista ragazzino, non posso far altro che rimanere ipnotizzato.

Jamie è il figlio di un’agente letteraria, non sa chi sia suo padre e vede le persone morte (l’avevo detto che la storia non era straordinaria, no?). Va tutto abbastanza bene, fa amicizia con un anziano vicino di casa, aiuta qualche trapassato e via dicendo. La sua vita scorre regolare tra alti e bassi, fino a quando non incontra il Male. Mi fermo.

Per qualche motivo ero convinto che questo romanzo fosse un poliziesco con risvolti paranormali: non lo è (un poliziesco, intendo). Sì, la compagna della mamma (strizzatina d’occhio) di Jamie è una poliziotta, ma finisce qui. Non si può nemmeno definire un giallo, Later è un horror di formazione, genere del quale il Re è… Re, appunto. Insomma, non farti troppo influenzare dalla versione americana della copertina, che suggerisce un qualche tipo di mistery (che poi è uguale alla copertina italiana, ma c’è quella pistola con la scritta Hard case crime che, insomma…)

Ancora una volta King ti riporta a quelle amicizie caratterizzate da una grande differenza d’età (l’ultima era ne Il telefono del signor Harrigan, il primo racconto di Se scorre il sangue) che hanno contraddistinto diversi suoi romanzi. Lo fa bene, lo sa fare, lo sappiamo.
Oltre a tutto questo, in Later, c’è una sorta di dedica al mondo che gira attorno ai romanzi e che resta dietro le quinte, quello degli agenti letterari.

Non vorrei che fraintendessi, però, ora che ci penso. Sebbene le similitudini con Il sesto senso siano molte, il romanzo di King non ha nulla a che fare con il film di Shyamalan. La trama si sviluppa in tutt’altro modo e l’intervento del Male (con qualche similitudine con il male supremo di Derry, IT) è molto più approfondito. Se hai confidenza con il regno immaginifico creato da King, non ti sfuggirà di certo il “rituale” che prevede il mordersi la lingua a vicenda con il nemico. La tartaruga è dietro l’angolo, insieme ai Vettori.

Non credo che Later verrà ricordato come uno dei migliori libri di King, però lui ci ha buttato dentro parecchio, questo è indubbio. È un bel punto di connessione tra molte storie, che gli appassionati si potranno godere appieno. È più un romanzo sul come, che sul cosa. È più una sintesi sullo stile, che una nuova aggiunta. A me, comunque, è piaciuto molto, perché ha la leggerezza di Joyland. E poi lo sai che io con Stephen mi sento a casa, ed è in assoluto l’unico autore con il quale mi succeda.

Ora attendo con ansia Billy Summers (uscita USA in agosto). Ah, e ho già preordinato il saggio Guns – Contro le armi, che uscira a maggio in sole diecimila copie (Marotta&Cafiero editori, Scampia).
Chissene della regina: Dio salvi il Re.

Ho letto quasi tutto di Stephen King (me ne mancano 3), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)

“Incubi” di Dean Koontz

Melanie, all’età di tre anni, viene rapita dal padre Dylan e per i sei anni successivi la madre Laura ne perde le tracce. Poi Melanie viene ritrovata mentre si aggira nuda e sola in mezzo alla strada. È scappata da una casa delle “torture” dove il padre e altri complici la sottoponevano a esperimenti mirati a raggiungere il completo controllo dell’inconscio, utilizzando una sedia elettrica e una camera di deprivazione sensoriale. Nella casa sono tutti morti, uccisi da qualcuno che possiede una forza sovrumana. Melanie è in stato catatonico e la madre, insieme al detective Dan Haldane, cercano di venire a capo di quanto accaduto. Man mano che le indagini procedono, e che vengono scoperte altre persone implicate negli esperimenti, i cadaveri cominciano a moltiplicarsi. Mi fermo.

Sesto romanzo di Dean Koontz che leggo (gli altri li trovi in fondo al post) e primo a non piacermi. I motivi sono tanti, forse troppi.

Il primo e più incisivo è sicuramente la prevedibilità. La storia è costruita per metà come un horror e per l’altra metà come un poliziesco/giallo. Chi compie gli omicidi?
[SPOILER] Se non fosse già intuibile dai primi capitoli, ci pensa una copertina ai limiti della legalità a fornire la risposta. Inaccettabile questa scelta, è un po’ trovarsi davanti la foto del maggiordomo con il coltello in mano. Non si fa. Pensavo fosse una scelta per sviare i sospetti, invece è solo una scelta del cazzo (quando ci vuole…). [FINE SPOILER]

Il secondo motivo è l’inutile lunghezza. 380 pagine per raccontare qualcosa che avrebbe richiesto meno della metà dello spazio. Concetti ripetuti svariate volte, pippe mentali e inutili descrizioni. Prolisso, punto. Ci ho messo una vita a leggerlo, non ho mai avuto lo stimolo a proseguire, non sono mai stato curioso.

Il terzo è la macchinosità. Di tutto. Della trama, dei ragionamenti, delle emozioni. I protagonisti arrivano ad accettare situazioni inaccettabili attraverso dubbie deduzioni logiche. Le difficoltà psicologiche vengono annullate dall’appiattimento intellettuale dei personaggi, che paiono tagliati con l’accetta. Mi ha ricordato quando si inventano le storie giocando tra bambini e ci si fa andare bene qualsiasi cosa: «Allora facciamo che tu non riesci a uccidermi perché io ho mangiato la caramella dell’immortalità». Certo, come no.

La sensazione è quella di un libro che sia stato scritto perché doveva essere scritto. Non c’è anima, non c’è passione. Un compitino svolto per la sufficienza.
Può succedere, capiamoci, ma sono contento di aver già letto altro di Koontz perché se fossi partito da Incubi mi sarei fatto un’idea sbagliata (un po’ come approcciare Stephen King partendo da Rose Madder).
Vedremo, ho Lampi e Intensity ancora sullo scaffale.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Cuore Nero (1992)
Il luogo delle ombre (2003)

“Oscure Regioni – Racconti dell’Orrore” di Luigi Musolino

Oscure Regioni è un’antologia di racconti horror di Luigi Musolino, uscita nella collana Memorie dal Futuro dell’associazione RiLL.
Non credo oramai di doverti più spiegare cosa sia RiLL (associazione culturale nata nel 1992 che, dal 1994, organizza il più noto concorso d’Italia dedicato al racconto fantastico: il Trofeo RiLL) ma, se è la prima volta che ne senti parlare, ti invito ad approfondire attraverso i link che ti lascio a fine post (sul sito ufficiale trovi anche il bando, appena uscito, per la prossima edizione del concorso letterario).

Veniamo all’antologia Oscure Regioni che, in realtà, è una doppia antologia (gnam!) poiché composta da due volumi di circa 150 pagine l’uno, per un totale di 20 racconti. Musolino, peraltro, è un autore che, inaspettatamente, avevo già letto: ti ricordi quando ti ho parlato de I vermi conquistatori di Brian Keene? Be’, ho scoperto che l’edizione italiana era tradotta proprio da Luigi Musolino!
Sto divagando, lo so. Però questa, a mio parere, è una cosa importante, sai che alle traduzioni ci tengo.

Il titolo Oscure Regioni è un gioco di parole che svela il contenuto della raccolta. Il tema è, infatti, quello delle leggende popolari, dei miti, del folclore locale, che Musolino ha rivisitato e orrorizzato. I racconti sono ispirati alle storie oscure delle regioni italiane e attingono quindi a piene mani da una cultura sotteranea composta da streghe, mostri e creature che (forse) non esistono.
È inutile che ti dica quale lavoro (davvero mostruoso) debba aver richiesto una cosa del genere, vero? Te lo dico lo stesso, perché si percepisce benissimo. Non solo per quanto riguarda la conoscenza del folclore locale, appunto, ma anche per la descrizione dei luoghi e per l’utilizzo della lingua, che spesso prende a prestito da forme dialettali geolocalizzate.

Potremmo stare qui ore a parlare di ogni singolo racconto e scoprire quale leggenda sia nascosta alla base della sua trama, ed è esattamente questo il bello della raccolta di Musolino. Lasciamelo dire: con buona pace di chi ritiene l’horror un genere “leggero” e slegato dalla cultura.
Ho trovato anche un bell’articolo dello stesso Musolino che spiega l’etimologia dei racconti, dividendoli regione per regione. Lo puoi leggere QUI.

In Oscure Regioni ci sono anche i due racconti con i quali l’autore ha vinto il Trofeo RiLL nel 2010 e nel 2012: O Mammone e Il carnevale dell’uomo cervo (uno tra i miei preferiti, insieme a Smeraldo).
A questo punto non mi rimane che recuperare Eredità di carne, il nuovo romanzo di Musolino appena pubblicato da Acheron Books.

Libri RiLL di cui ti ho parlato:
Oscure Regioni – Racconti dell’Orrore Vol.I/II di Luigi Musolino (2014-2015)
La spada, il cuore, lo zaffiro di Antonella Mecenero (2016)
Tra cielo e terra – Racconti fantastici di Davide Camparsi (2017)
Davanti allo specchio e altri racconti dal Trofeo Rill e dintorni AA.VV. (2017)
Oscuro Prossimo Venturo – Racconti di fantascienza di Luigi Rinaldi (2018)
Ana nel campo dei morti e altri racconti dal Trofeo Rill e dintorni AA.VV. (2018)
L’esatta percezione – Nove racconti di Andrea Viscusi (2019)
Leucosya e altri racconti dal Trofeo Rill e dintorni AA.VV. (2019)

Sito ufficiale dell’associazione: RiLL – Riflessi di Luce Lunare.

“La casa del tuono” di Dean R. Koontz

La casa del tuono è una grotta dove quattro ragazzi di una confraternita universitaria hanno ucciso un aspirante “confratello”, dopo averlo picchiato e seviziato davanti alla fidanzata, Susan. Trascorsi tredici anni Susan, che nel frattempo si è rifatta una vita, ha un incidente d’auto e si risveglia in ospedale dopo diversi giorni di coma. Sarebbe tutto “normale” se non fosse che, camuffati tra i pazienti e gli infermieri, Susan riconosce i quattro assassini, ancora giovani e, soprattutto, ancora vivi, nonostante fossero morti tutti poco dopo aver commesso il crimine. Susan non ha dimenticato che, quella sera, i quattro le avevano promesso di ucciderla, e non lo hanno dimenticato neanche loro…

Non posso dirti molto di questo romanzo di Koontz senza svelare particolari compromettenti, farò quel che riesco. È principalmente un thriller/horror ospedaliero, dal momento che la maggior parte della trama si svolge tra le mura del reparto dove la protagonista è impegnata a recuperare le forze e la memoria. Non solo però, nella parte finale la scena si sposta all’esterno e, nel giro di cinquanta pagine, la situazione si ribalta diverse volte mandandoti in confusione mentale esattamente come Susan.

Il finale (non spoilero) è talmente diverso da quanto ti aspetti da far crollare qualsiasi critica avessi iniziato a sollevare durante la lettura. Per dirne una: la somiglianza iniziale con il racconto A volte ritornano (dall’omonima raccolta) di Stephen King decade, per fortuna, lasciando spazio a un’idea originale. Tutto si spiega, in una apprezzabile narrativa classicamente anni ottanta.

Che dire, Koontz mi piace, questo è il quinto suo libro che leggo ed è anche quello che, nella cronologia dell’autore, precede il bellissimo Phantoms!. In questo caso si parla di una storia molto più semplice, ma non per questo meno divertente. 300 pagine che scivolano via veloci.
Curiosità: la prima edizione de La casa del tuono è del 1982, Koontz la scrive sotto lo pseudonimo (uno dei tanti) di Leigh Nichols.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Cuore Nero (1992)
Il luogo delle ombre (2003)

“Phantoms!” di Dean Koontz

Jennifer è un giovane medico e torna nella piccola cittadina di Snowfield insieme alla sorella minore Lisa, affidatale dopo la morte della madre. Entra in casa e trova la domestica morta, e blu. Presto le due ragazze scoprono di essere le uniche persone vive in tutta la città, gli altri abitanti o sono morti (in condizioni stravaganti) o scomparsi nel nulla. Jennifer sospetta un virus, un attacco batteriologico. Interviene lo sceriffo della contea vicina, con i suoi uomini. Il Male, l’Antico Nemico, si manifesta e le persone ricominciano a morire.

Phantoms! (1983) è il quarto romanzo che leggo di Dean Koontz e anche il migliore (per ora). In realtà potrei averlo già letto da “giovane” ma, grazie a un rincoglionimento galoppante, non ricordo. Ti dirò di più, non ricordo nemmeno il film con Ben Affleck che ne è stato tratto e che ho visto (di questo son sicuro), quindi la situazione è abbastanza grave. Dannazione, avevo appena festeggiato il mio primo indispensabile hater (vedi i commenti di L’urlo e il furore) e vedevo davanti a me un futuro radioso, invece pare sia pronto per la fossa!

Rispetto alle mie precedenti letture Koontziane, Phantoms! ha una struttura più complessa, personaggi più articolati (e numerosi) e una profondità maggiore. Ci sono alcune vicinanze con altre storie successive che trattano l’argomento del Male rappresentato in forma simile. L’inizio, per dire, ricorda Silent Hill (videogioco o film, quello che vuoi). L’Antico Nemico, che comunica tramite lo schermo di un computer, riporta alla memoria Sfera (il film almeno, il libro di Crichton, del 1987, non l’ho ancora letto). E poi, ovviamente, IT (1986). Insomma, di tutto si può accusare Koontz tranne che di aver copiato, anzi…

Ora non voglio anticiparti troppo, perché questo romanzo si divide fondamentalmente in due parti e spoilerare significherebbe ucciderne almeno una. Nella prima, infatti, regna il mistero, l’impossibilità di capire cosa stia avvenendo a Snowfield. Nella seconda il mistero è svelato e si deve combattere il Male (per come te lo sto descrivendo, non è svelato). Quello che mi è piaciuto, però, è anche la giustificazione che Konntz dà a questo Male, la sua vera origine, che io condivido del tutto (questa è per chi ha letto il libro).

Di Koontz ho sulla mensola Intensity, ma in arrivo anche Lampi, Incubi e La casa del tuono. Non credo che riuscirò mai a leggere tutta la sua produzione, dal momento che ha scritto 105 romanzi e non so quante raccolte di racconti, ma tu stai pur certo che per un po’ ti parlerò ancora di lui…

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
Phantoms! (1983)
Cuore Nero (1992)
Il luogo delle ombre (2003)

“Il tunnel dell’orrore” di Dean Koontz

Per questo romanzo di Dean Koontz, terzo che leggo dopo Cuore nero e Il luogo delle ombre, è doverosa un’introduzione che definirei storiografica (nel senso che ti racconto la storia della sua creazione).
Ok? Partiamo.

Nel 1980 Koontz non era ancora quel mostro di vendite che è ora (si parla di qualcosa come 500 milioni di copie) e, anzi, era abbastanza sconosciuto al grande pubblico. Tirava quindi a campare accettando anche scritture a compenso. Una di queste è quella che gli offrono i produttori del nuovo film di Tobe Hooper (hai presente? Non aprite quella porta, Poltergeist… ecco, lui), che si sarebbe intitolato The Funhhouse. Desiderano, infatti, ricavare un romanzo dalla sceneggiatura originale di Larry Block. Koontz accetta e scrive, appunto, Il tunnel dell’orrore, peraltro utilizzando la sceneggiatura solo per l’ultimo quinto della storia, che lui ricrea e approfondisce sviluppando tutta una parte iniziale inesistente. Per ragioni di marketing  scrive sotto lo pseudonimo di Owen West (uno dei mille che utilizza) e il romanzo, che in origine sarebbe dovuto uscire contemporaneamente al film, viene pubblicato in anticipo e vende milioni di copie. Poi esce anche il film di Hooper e il libro smette di vendere all’improvviso. Io il film non l’ho visto, ma così a occhio non deve essere un granché…

Horror puro anni ’80, senza fronzoli, tutto intrattenimento e cervelli spappolati. Una gioia per le mie papille oculari.
Trama (poca, as usual).
1955. Ellen scappa di casa con un giostraio per sfuggire alla madre bigotta. L’uomo, tale Conrad, diventa violento, lei resta incinta e partorisce un freak simil-satanico. Disperata, lo uccide (a ragione, è una bestia immonda e malefica). Conrad le giura vendetta.
1980. Ellen si è sposata e ha avuto due figli. È anche diventata bigotta quanto la madre, e alcolizzata. Sua figlia Amy ha 17 anni (anche lei resta incinta, ma abortisce) e per una serie di eventi finisce nel luna park dove Conrad ha il suo tunnel dell’orrore… Non aggiungo altro, ma qui inizia il film (e gli squartamenti).

Koontz a me piace, non c’è niente da fare. Chiariamoci, non è Stephen King (per restare in tema parco divertimenti il suo Joyland è di gran lunga superiore), ma ha una scrittura semplice che fa letteralmente volare via il tempo. E poi questa atmosfera retrò da Venerdì con Zio Tibia mi ha riportato alle mie prime esperienze con le notti horror di Italia Uno. Un genere, l’horror, che ormai è pieno di fantasmi inquieti e presenze tormentate, ma che una volta era più semplice e più gustoso. Anche ne Il tunnel si ritrovano dei piacevoli stereotipi che hanno fatto epoca (chessò, Liz, l’amica puttanella di Amy, che non ha alcuna profondità psicologica ma solo profondità inguinale).

Bene, ci risentiremo quindi di certo con Phantoms e Intensity, dal momento che li ho già in libreria.