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“Brevemente risplendiamo sulla terra” di Ocean Vuong

È davvero molto difficile parlarti di Brevemente risplendiamo sulla terra di Ocean Vuong, non so proprio da che parte cominciare. Dalla trama, forse, che poi una trama non è.

Il romanzo è una lettera che Little Dog scrive a sua madre Rose, raccontandole tutte le difficoltà e le esperienze che lui ha incontrato dal momento del loro trasferimento dal Vietnam agli Stati Uniti. Little Dog è anche l’unico anello di congiunzione tra Rose e nonna Lan, il solo che può aiutare le due donne – che non parlano inglese – in un impossibile tentativo di integrazione nello stile di vita americano. Nel bel mezzo di questa situazione, già complicata, Little Dog comincia anche a scoprire sé stesso e la propria diversità.

Ho letto parecchie recensioni su questo libro e molte si fermavano sul discorso relativo all’omosessualità. Alcuni lettori “maschi alfa”, particolarmente insicuri e bisognosi di affermare il proprio io, hanno trovato difficili le descrizioni dei rapporti sessuali tra Little Dog e il ragazzo che sarà il suo primo vero amore. Cercherò di essere delicato nei confronti di questi lettori, perché ognuno proviene da un vissuto differente e può essere che venga infastidito da cose che minino dei punti di riferimento ben precisi. Insomma, se uno è un coglione non è che si possa pretendere diventi intelligente con un libro, è forse più indicato che continui a trovarsi a proprio agio guardando i morti ammazzati in tv o i calciatori del cuore che vengono intervistati in mutande negli spogliatoi (molto virile, peraltro). Qui chiudiamo l’argomento.

Vuong possiede una capacità espressiva ed emotiva degna di pochi, questo è un fatto. È un autore in grado di leggere l’essere umano, di parlare in modo eterno riferendosi solo ai sentimenti e alle emozioni, lasciando fuori tutta la scenografia. Questo romanzo è estremamente poetico, al limite del sostenibile se stai cercando una trama canonica. Già, perché una trama non c’è, l’intero scritto salta da un punto all’altro, raccontando, più che le esperienze, le sensazioni che queste esperienze hanno suscitato.

Brevemente risplendiamo sulla terra non mi è piaciuto (boom), ma è un romanzo da leggere. È da leggere perché sfida dei limiti, i tuoi, perché ti fa sentire piccolo nel tuo modo di vedere le cose. Ti dice: «Ehi, guarda che profondità di lettura della vita ha questo ragazzo, tu saresti mai in grado di averla?». La risposta, spesso, è: «No».

Quindi, cosa non mi è piaciuto? Cercherò di fartelo capire.
Devi pensare a quell’amico che abbiamo tutti, quello che quando inizia a parlare apre mille argomenti contemporaneamente e si discosta dal discorso principale (chiamiamolo “ramo”) per arrivare a descriverti ogni singola variabile (chiamiamola “foglia”). Tu intanto sei lì, in apnea, che pensi “sì, ok, ma vienicene fuori, torna sulla via iniziale”. Ecco, Vuong scrive in questo modo. Poi – bisogna dirlo – chiude ogni “foglia”, rametto e fuscello per tornare a completare il ramo, ma è estenuante. Non nascondo di avere saltato spesso delle righe nella lettura, proprio per quella sensazione di ansia crescente e per il bisogno di concretezza e sintesi. Ma questo è il mio gusto, la mia preferenza di stile, e il contenitore/mezzo non può in questo caso cancellare il contenuto.

“L’estate della paura” di Dan Simmons

L’estate della paura è un romanzo che ho cercato per molto, molto tempo. È fuori stampa, raro e parecchio costoso. Ho avuto la fortuna di trovarlo in un lotto composto da una decina di libri horror, che l’inconsapevole venditore (eBay) mi ha ceduto per una quindicina di euro. Quando va bene, L’estate della paura viene venduto attorno agli 80 euro (ma anche a 200, a seconda dell’edizione). L’edizione Gargoyle che ho letto ha notoriamente qualche problema di impaginazione, ciò mi ha costretto a non aprire mai il volume per più di 40° e ad aumentare la mia paranoia nei confronti delle pieghe di lettura. Comunque, se mai ti interessasse, sono riuscito a preservarlo in maniera perfetta, il libro sembra ancora fresco di stampa e non tende minimamente a spaginarsi. E no, non lo vendo.

Questo infinito preambolo perché L’estate della paura è considerato un romanzo di culto da tutti gli appassionati di horror. Qualcuno (non io, te lo dico subito) lo ritiene addirittura superiore a IT. In realtà, il libro di Dan Simmons è un evidente omaggio al capolavoro di Stephen King, con il quale condivide tante tematiche. Una per tutte è la ciclicità del Male, che si riforma e colpisce di generazione in generazione. Ma potrei andare avanti: anche i protagonisti di questo romanzo sono tutti preadolescenti; anche qui, tra loro, è presente una sola ragazza; c’è un bullo spaccone con il serramanico sempre in tasca; c’è l’ambientazione in un piccolo paesino dove tutti si conoscono… insomma, ci siamo capiti. Ripeto, tuttavia, si tratta chiaramente di omaggio (IT esce nel 1986, L’estate della paura nel 1991), non di scopiazzatura.

La trama è conosciuta. A Elm Heaven (Illinois), Mike, Jim, Kevin, Duane, Dale e Lawrence trascorrono le giornate correndo sulle loro biciclette. La Old Central School ha appena chiuso i battenti e l’estate è iniziata. Poi, però, accade qualcosa, un ragazzino sparisce e un inquietante furgone comincia a girare per le strade, con il suo carico di morte. Non mi dilungo, è il Male, ovviamente, e il suo epicentro è nascosto proprio nella Old Central.

630 pagine, un mese di lettura. Tanto. Troppo. Se dovessi dirti cosa, in particolare, non mi abbia convinto non saprei da che parte iniziare. C’è la storia, c’è la “formazione” (sia come genere letterario, che come gruppo di personaggi), c’è la sfida tra Bene e Male. Eppure L’estate della paura non mi ha coinvolto, sono rimasto freddo come un cadavere, privo di emozioni. Avrei voluto affezionarmi a questi ragazzini, piangere e gioire con loro (come con i “perdenti” di Derry) e, invece, niente, il vuoto. Lo stile di Simmons probabilmente non ha aiutato, l’ho trovato molto prolisso in tanti punti (l’autore sembra peraltro avere un’ossessione per le misure, che in certe descrizioni appaiono davvero ingombranti con costanti specifiche in metri e centimetri). Un peccato, perché le aspettative erano davvero molto alte (direi sui 107 metri e 34 centimetri).

Chiariamoci, L’estate della paura è un buon romanzo, godibile. Forse davvero, in qualche modo, mi aspettavo un nuovo IT e sono rimasto deluso. So che esiste anche un seguito, L’inverno della paura (che in realtà ha solo uno dei ragazzi come protagonista nell’età adulta, un po’ come il Danny di Dr Sleep per Shining), ma devo ancora capire se lo leggerò. Vedremo.