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“Nope” di Jordan Peele

Sarà difficile parlarti di questo film senza fare spoiler, ragion per cui a un certo punto ti avviserò e deciderai tu se andare avanti o meno nella lettura.
Nope è il terzo film di Jordan Peele dopo Scappa Get Out e Noi. Di cosa parla? Eccoci.

Oj ed Em, fratello e sorella, gestiscono un ranch specializzato nell’allevamento dei cavalli destinati ai set cinematografici. Il ranch è posizionato all’interno di una valle dove, fin dalla prima scena, accadono cose molto strane. Ad esempio cadono oggetti dal cielo (in apertura una moneta trapassa il cranio del padre dei due ragazzi), spariscono persone e ci sono cali di corrente. È il classico scenario da avvistamento UFO, ed infatti l’avvistamento avviene. Anche il “vicino di casa”, il gestore di un piccolo parco a tema cowboy, viene coinvolto in queste stranezze ed entra, così, nella storia. È l’occasione di una vita: riuscire a filmare un UFO darebbe una svolta agli affari. I due ci provano e io mi fermo.

Come per i precedenti due film del regista nero (non in quanto necessaria distinzione, ma poiché pare essere un dettaglio molto importante) l’idea è molto buona e il film funziona bene per i 3/4 del tempo, poi c’è il crollo. Il crollo totale. Ma facciamo un passo indietro.

Dicevo, Peele è nero e lavora con attori prevalentemente neri. Non solo, anche guardando i film dove lui è sceneggiatore e produttore e non regista, si trova sempre questo filo conduttore sulle sue origini (vedi Candyman o BlacKkKlansman). Il tema del gruppo etnico, delle minoranze, è molto sentito. Solo che – te lo dico subito – a mio parere Peele non è Spike Lee, ma è il prodotto del nostro tempo ricco di messaggi ma privo di contenuti. Ogni volta che esce un film di Peele pare sia una sorta di piccolo evento, una storia che vada studiata. La domanda che ti pongo è: se Peele non fosse nero e non trattase il tema delle minoranze, sarebbe lo stesso? La mia risposta è no. Mi dispiace, ma io trovo i suoi film perdibili, hanno tutti del potenziale ma c’è una grande incapacità di gestirlo. Peele è il prodotto del nostro Netflix culturale, è l’apparenza che supera di gran lunga i contenuti.

ALLERTA SPOILER
ALLERTA SPOILER

Anche l’idea successiva, quella per cui il disco volante non sarebbe un navicella aliena ma un animale che vive tra le nuvole, è in teoria buona e rappresenta sicuramente una novità. Il problema è che, come sempre, quando il non visto viene esplicitato finisce tutto in vacca. Dopo venti minuti di questa cosa che vola nel cielo – un ibrido tra una medusa e uno zeppelin sventrato, vagamente somigliante a una vagina – qualsiasi “magia del Cinema” decade e cominciano a sanguinarti gli occhi. Il monoespressivo Kaluuya non aiuta di certo, mentre scorrazza in groppa al cavallo a testa bassa per non guardare il mostro (eh sì, se lo guardi ti attacca).

Le tanto decantate critiche al sistema dello show business sono talmente esplicite che, a confronto, Zombie di Romero lanciava un messaggio criptico e nascosto.
Ho sentito vaghe associazioni tra Peele e Spielberg, ma non voglio nemmeno discuterne. Non scherziamo (e ricordati che io non sono un fan di Spielberg, è troppo ottimista e solare per i miei gusti).

È un peccato, perché Nope partiva davvero bene. Nelle inquadrature, nella storia, nelle ambientazioni. Poi però Peele, conscio della sua posizione, si adagia nella culla del nostro perbenismo che gli consente di fare poco e niente e non venire criticato. Che poi c’è il rischio che sembri tu stia criticando la giustamente intoccabile tematica delle minoranze e non un film, francamente, abbastanza assurdo.

Cosa mi è rimasto? Quasi niente. Sono giusto andato a rivedermi la cronaca nera dello scimpanzé Trevis, un evento che avevo dimenticato. Peele ne omaggia la vicenda mettendo in scena qualcosa di simile e mostrando uno scimpanzé che impazzisce sul set e massacra diversi attori. Tutto qui, nulla di più.

“L’ultima porta del cielo” di Dean Koontz

L’ultima porta del cielo (One Door Away from Heaven) è un romanzo di Dean Koontz del 2001 (vent’anni fa, sob). Un lunghissimo romanzo, aggiungerei, considerata la mole di ben 750 pagine. Per quanto mi riguarda è l’ottavo libro che leggo di questo autore e, di gran lunga, il peggiore. Ma andiamo per ordine.

La trama segue le vicende di quattro personaggi che finiscono per ritrovarsi insieme nel finale della storia. C’è Leilani, una bambina che vive con una madre tossicodipendente e un patrigno assassino, seguace della bioetica utilitaristica e del culto degli UFO; Micky, vicina di casa di Leilani, che desidera salvare la bambina da morte certa; Noah, un detective privato ingaggiato da Micky per smascherare il patrigno di Leilani; e infine Curtis, un ragazzino braccato per tutti gli Stati Uniti da misteriosi nemici che vogliono ucciderlo perché… beh, questo non posso dirtelo.

Leggendo qua e là vedo che qualcuno ha definito L’ultima porta del cielo un romanzo corale, proprio a causa dei molti personaggi. Credo sia un po’ esagerato. La storia è talmente semplice e poco articolata che definire corale questo romanzo è davvero generoso. Credo sarebbe più corretto definirlo semplicemente un romanzo prolisso, ecco. Un romanzo che sarebbe apparso troppo lungo anche con 450 pagine in meno.

Bene, ora veniamo ai lati positivi: i dialoghi (sì, sto facendo del sarcasmo). Potrei elencarti vari scambi di battute, portarti diversi esempi per spiegarti quanto siano irreali e macchiettistici, ma te ne farò solo uno. A un certo punto il ragazzino, durante la sua fuga (descritta per circa 200 pagine e sintetizzabile in “Curtis scappa”), incontra due gemelle omozigote che lo aiutano grazie alla loro capacità di cavarsela in ogni occasione (sanno gestire armi, combattere, aggiustare motori, eccetera, eccetera). Già qui saremmo su un livello di costruzione del personaggio che sfiora il peggior cliché di un film con Steven Seagal, ma non basta. Le gemelle parlano a turno, portando avanti interi dialoghi come se fossero una persona sola. Cazzo, neanche fossero Tweedledum e Tweedledee di Alice nel paese delle meraviglie. Una cosa terrificante.

Unita a tutto questo, una serie di colpi di scena e di soluzioni all’ultimo minuto che definirei imbarazzanti. Hai presente quando hai un protagonista che è bloccato in una stanza, senza porte e finestre, e dovrebbe morire lì, salvo una genialata del narratore che, con grande credibilità, ti accompagna nella sospensione dell’incredulità e risolve il problema? Ecco, non è una cosa che troverai in L’ultima porta del cielo. Koontz se ne uscirebbe con qualcosa tipo: “ma lui aveva la capacità di deformare la materia con la forza del pensiero”. No, non ci siamo.

Mi correggo. L’ultima porta del cielo non è solo il romanzo più brutto di Koontz che ho letto, è anche il più brutto romanzo che ho letto nell’ultimo anno. Forse negli ultimi due o tre.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Lampi (1988)
Cuore Nero (1992)
L’ultima porta del cielo (2001)
Il luogo delle ombre (2003)

“Non andateci! Il mistero del Passo Dyatlov” di Svetlana Oss

Un paio di anni fa mi sono imbattuto in un film dell’orrore che si intitolava Il passo del Diavolo. In genere, se guardo un film in terza serata tendo ad addormentarmi, salvo che questo non sia davvero stupido o di bassa qualità. Non so perché accada, ma più fa schifo il film e meno mi viene sonno (è un controsenso, ma non posso farci nulla). The Devil’s pass faceva decisamente parte della categoria horror pecoreccio, motivo per il quale lo vidi tutto. Alla fine venne fuori una simpatica scritta: il film era ispirato agli eventi accaduti al Passo Dyatlov (Urali) nel 1959. Aprii l’enciclopedia che racchiude tutto lo scibile umano (Wikipedia) e caddì nel tunnel del mistero del monte Otorten (traduzione letterale: non andateci).

Ti faccio un riassunto approssimativo, perché il mistero è davvero complesso e contorto e, se ti va, su Wikipedia (e su centinaia di altri siti) c’è descritto tutto nel dettaglio.
Nel 1959 nove studenti universitari si avventurarono sugli Urali per una spedizione escursionistica. Erano preparati, equipaggiati e abbastanza esperti (lì le temperature scendono di parecchio sotto lo zero, non si può improvvisare). Per farla breve, non tornarono, dovettero andare a cercarli e quello che trovarono risultò abbastanza inquietante. I nove erano ovviamente morti, ma in circostanze piuttosto bizzarre. La loro tenda era stata tagliata dall’interno e i ragazzi – meglio, i cadaveri – furono recuperati in tempi diversi, causa congelamento e neve. Erano “distribuiti” nella zona attorno, a gruppi o in solitaria. Alcuni avevano un colore arancione scuro (non da congelamento), a una mancava la lingua, a un altro un occhio, altri ancora erano nudi. Il livor mortis indicava che certi corpi erano stati spostati dopo la morte. Quelli che trovarono vicino a un albero, a parecchia distanza dalla tenda, erano posti su un letto di rami, tagliati dall’albero stesso fino a un’altezza di cinque metri. Sui corpi vennero rilevate radiazioni oltre la norma e, durante quella notte, da diversi punti, vennero osservati forti bagliori nel cielo (bagliori riscontrati anche nei resoconti sui diari dei ragazzi). E poi: costole spezzate, fratture craniche, il tutto senza ematomi esterni. Insomma, ti sei fatto un’idea.

Diamo un volto ai nove, mi sembra empaticamente utile.

Membri del gruppo di Dyatlov
I nove escursionisti morti al Passo Dyatlov (*Yudin: ritirato e rientrato in anticipo).

Prima di andare oltre, devo ricordarti una cosa. Come ti ho già detto quando ti ho parlato di Child 44: «Non ci sono crimini in Paradiso». Questo significa che, nell’Unione Sovietica dell’epoca, il crimine è stato sconfitto, così come il capitalismo, al quale è strettamente legato. È un dogma, punto. Quindi, se qualcosa di brutto avviene, non può che essere una disgrazia, una sciagura non derivante dalla volontà umana.

Preso da morbosa curiosità, ho iniziato a documentarmi e alla fine ho individuato questo libro: Non andateci! Il mistero del Passo Dyatlov, della giornalista Svetlana Oss. Non so perché non l’ho comprato subito, forse il titolo giacobbiano mi ha indotto a pensare (sbagliando) che si trattasse di uno di quei testi da edicola tipo UFO in forma, o cose simili. Non lo è. È un bel riassunto, un dettagliato riepilogo di ciò che si sa (e di ciò che si immagina) riguardo alla tragedia del Passo Dyatlov. La Oss propone una soluzione al mistero molto interessante – che io condivido e che non spoilero – razionale e verosimile.

Negli anni, a proposito di quanto sia potuto accadere al Passo Dyatlov, si è parlato di:
– condizioni climatiche estreme (venti, gelo);
– esperimenti militari (armi nucleari);
– UFO (nel senso più ampio di “oggetti non identificati”);
– KGB;
– yeti;
– tribù locali (Mansi);
– aggressione animale;
– pazzia o isteria di massa;
– presenza di una assassino nel gruppo.

La tenda degli escursionisti
Ritrovamento della tenda degli escursionisti.

Per qualche motivo, il cervello umano tende a scartare le soluzioni più credibili e prendere in considerazione le più bizzarre. Quando, poi, più elementi si mischiano in un’unica situazione, il frullato è assicurato.
Nel caso del Passo Dyatlov, c’era il veto di affermare che potesse esserci stato un crimine (nella Russia degli anni ’50, mai!), unito al coinvolgimento del KGB, incaricato di insabbiare tutto ciò che avrebbe potuto mettere a rischio la “sicurezza nazionale”. Insomma, c’erano tutti gli elementi per far sì che qualsiasi causa non fosse stata identificata come “morte per congelamento” divenisse un mistero. E, poiché quei nove ragazzi è molto improbabile siano morti per congelamento, il mistero si è ingigantito all’inverosimile.

Il libro della Oss propone una soluzione indagando a fondo nelle usanze delle tribù locali, facendoti scoprire gli effetti dell’amanita muscaria e tenendo sempre un occhio aperto sul contesto culturale e politico.
Certo, è solo una possibile soluzione, ma è così ben strutturata e convincente da essere davvero credibile. Secondo il mio parere, potrebbe essere la soluzione.

“Sfera” di Michael Crichton

Sfera è il quarto romanzo di Michael Crichton che leggo. Sto procedendo in un ordine abbastanza casuale anche se, a voler essere pignolo (e forse anche un po’ psicopatico, ma la cosa non mi spaventa), dovrei cominciare dall’inizio, cioè dai romanzi che Crichton ha scritto con lo pseudonimo di John Lange (il primo, del 1966, è Non previsto dal computer). Ciò per dire che, come forse ti ho già anticipato, intendo leggerli tutti e Sfera non ha fatto altro che rafforzare questa mia convinzione.

A differenza di Jurassic Park, del quale avevo già visto il film di Spielberg (bello, ma comunque inferiore al romanzo), con Sfera sono partito a mente abbastanza libera. L’abbastanza è d’obbligo perché, in realtà, anche da questo libro è stato tratto un film, omonimo, nel 1998 (di Barry Levinson con Dustin Hoffman, Samuel Lee Jackson e Sharon Stone) del quale però non ho mai visto la fine. Non perché non fosse coinvolgente, capiamoci, quanto perché lo mandano sempre e solo su Rete 4 e ciò si traduce o in dieci ore di pubblicità (fascia pomeridiana) o nel fare l’alba con i Bellissimi che iniziano regolarmente a mezzanotte (e il film dura qualcosa come due ore e mezza). Comunque, ora, lo recupererò di certo.

Della trama non posso dire molto perché, dopo il primo centinaio di pagine (su circa 380), i colpi di scena si susseguono e ti darei troppe anticipazioni (tradotto nel fichese moderno: spoilererei).
A trecento metri di profondità, sul fondo del Pacifico meridionale, viene trovata una gigantesca astronave, precipitata almeno da trecento anni. Sul posto vengono inviati, oltre ai consueti elementi dell’esercito/marina, un gruppo selezionato di scienziati. Tra questi c’è lo psicologo Norman, incaricato di controllare il benessere “interiore” dei membri della spedizione (è lui il punto di vista del lettore), il matematico Harry e la biologa Beth. Presto si scopre che l’astronave non è extraterrestre ma americana, costruita con una tecnologia ancora sconosciuta, e che al suo interno contiene un oggetto “raccattato” probabilmente nello spazio, cioè una misteriosa sfera. Mi fermo qui.

Un libro stupendo, che ho letto in nove giorni solo perché in questo periodo sono molto incasinato, ma che altrimenti mi avrebbe tenuto incollato dalla prima all’ultima pagina. Come sempre nella narrativa di Crichton a essere potente non è solo la storia, ma anche tutto quello che l’autore inserisce per rendere verosimile quanto accade. La scenografia è scientifica, documentata e ricostruita con criterio.
Ti faccio qualche esempio.
Il gruppo di scienziati deve, ovviamente, trasferirsi a vivere in strutture costruite sul fondale oceanico. Crichton ti spiega cosa succede al corpo umano a quella pressione, come si compensa l’ossigeno e tutta la procedura di decompressione. L’astronave sembra essere transitata vicino a un buco nero. Crichton ti spiega quali sono le leggi che regolano lo spazio-tempo al variare della gravità e della velocità dei pianeti. La sfera comunica in un sistema numerico. Crichton illustra i vari tipi di codice matematico, dal più complesso fino al binario. Essendo poi il protagonista uno psicologo, Crichton espone quelle che sono le basi della psicologia… e via dicendo.
La cosa incredibile è che non risulta mai noioso o pesante, le informazioni sono così intrecciate alla narrazione da divenirne parte integrante (era così anche con i dinosauri).

È puro intrattenimento, chiaro, ma è intrattenimento intelligente. Ho già recuperato Next, Congo, Punto critico e La grande rapina al treno. Non mi fermerò.

Libri che ho letto di Michael Crichton:
Mangiatori di morte (1976)
Sfera (1987)
Jurassic Park (1990)
Sol levante (1992)

“L’invasione degli ultracorpi” di Jack Finney

L’invasione degli ultracorpi (The Body Snatchers) è un romanzo di fantascienza di Jack Finney del 1955, da noi conosciuto anche con il titolo Gli invasati. Come per ogni grande classico della fantascienza (e chiariamoci subito, questo lo è) dal libro sono stati tratti nel tempo molti film, il primo e più famoso è quello omonimo di Don Siegel (1956), l’ultimo è Invasion (2007), con Daniel Craig e Nicole Kidman.

La trama è nota, se ancora non la conosci mi chiedo perché mai tu sia qui a leggere, comunque…
Nell’immaginaria cittadina di Santa Mira, California, il dottor Miles Bennell riceve diversi pazienti che affermano di non riconoscere più i propri cari. O meglio, li riconoscono, hanno gli stessi modi di fare, espressioni, pensieri, ricordi, ecc., solo che che non sembrano più loro, sembrano delle copie prive di emozioni, di vitalità. Alla porta di Miles bussa anche Becky Driscoll, suo amore giovanile. I due, entrambi divorziati, cominciano a indagare, scoprendo così l’esistenza di enormi baccelli arrivati dallo spazio che, disposti nei basamenti delle abitazioni o in luoghi appartati, stanno assumendo pian piano le sembianze delle persone, sostituendole. Ovviamente i protagonisti ri-scoprono anche l’amore e la (contenuta) passione. Non ti dico altro anche se, come ripeto, la storia è conosciuta.

Questo romanzo era sulla mia lista da parecchio e quando l’ho visto sulla bancarella dell’usato non ho esitato. Devo dire che sono stato anche fortunato perché questa edizione Urania è accompagnata da un paio di approfondimenti interessanti a tema psicologico (uno dello psichiatra Massimo Picozzi). Già… perché, anche se ai più stolti L’invasione degli ultracorpi potrebbe apparire come un banale racconto fantascientifico, i temi trattati sono molteplici e di una profondità (e attualità) incredibile, soprattutto se pensi all’anno di uscita.

Il romanzo di Finney si legge, infatti, con solo un’apparente leggerezza, grazie a una scrittura che a me ha ricordato la semplicità di H.G. Wells (sullo stesso tema La guerra dei mondi) unita a una trama più elaborata alla Richard Matheson (e sarà un caso che la protagonista femminile abbia lo stesso cognome che Matheson utilizzera per Io sono Helen Driscoll?). Ma, come ti dicevo, i temi sono tanti e ora te li snocciolo uno per uno in perfetto stile lista della spesa (che sui blog va tantissimo, insieme alle classifiche, così mi segui meglio).

Divorzio
Siamo nel 1955, quindi ancora un’epoca in cui l’amore era eterno. Difficile separarsi senza essere bollati come eretici nemici di Dio e della Patria. I protagonisti sono entrambi divorziati e il dottore riflette spesso su quanto sia questo un ostacolo al loro futuro amore. Perché divorzio = fallimento, se già non è consentito fallire una volta figuriamoci due. Il rischio è troppo alto, varrà la pena giocare all’amore, di nuovo, sotto gli occhi di tutti?

Caccia alle streghe
Tra USA e URSS i rapporti non erano dei migliori (si fa per dire…), la caccia ai comunisti e agli oppositori del sistema si espandeva a macchia d’olio. Difficile capire chi lo fosse e chi fingesse integrazione. Difficile capire chi fosse un alieno.

Difesa del consumismo
O meglio, la difesa dello stile di vita compra-compra-compra. Una delle caratteristiche più evidenti degli ultracorpi e la scarsità di entusiasmo nell’attività sociale ed economica capitalista. L’accusa è esplicità: se non riesci a dare senso alla tua vita con il lavoro sei un alieno privo di emozioni (perché le emozioni nascono solo anche da un entusiasmo economico).

E fino a qui abbiamo parlato di cose tangibili, comprensibili per chiunque. Ma poi…

Esistenza
Il tema dell’esistenza è permeante. Cosa significa esattamente esistere? Dove si ferma il bisogno di sopravvivenza? Gli “alieni” affermano pacificamente che il loro unico obbiettivo è quello di continuare a vivere, spostandosi da un pianeta all’altro, a discapito di qualsiasi altra forma di vita ma senza per questo essere per forza “cattivi”. L’uomo disbosca la Terra, loro disboscano (se così si può dire) i pianeti. Non è una colpa, è una necessità, è autoconservazione. L’uomo non fa di peggio alle specie con cui coabita sul pianeta?

Tema dell’identità
Qui ci sarebbe da parlare per ore. Un copia esatta di una persona può essere quella persona? Se pensa come lei, si muove come lei e ha gli stessi ricordi… Come è possibile dire che sia una persona altra? Se è uguale in tutto e per tutto, in cosa cambia?

Individualismo e collettivismo
L’argomento più attuale de L’invasione degli ultracorpi, e che lega tutti gli altri affrontati (economia, ambiente), è l’incapacità della nostra specie di ragionare come collettività invece che come singoli individui. Gli alieni, i baccelli, si sacrificano e impostano la loro esistenza sul successo comune, non su quello individuale.
È un esempio forte che faccio spesso: quando un uomo con un mitra entra in una stanza piena di persone queste si dividono, nascondendosi, facendosi ammazzare una per una. Quando un insetto nemico entra in un formicaio, le formiche lo attaccano tutte insieme. Pensano al bene comune: sacrificio di pochi per il benessere di molti. I formicai ci sono ancora, noi ci avviamo verso l’estinzione. Chiariamoci, io mi nasconderei, in quanto essere umano presento dei difetti genetici che non permettono una vera evoluzione, siamo semplicemente quello che siamo: nulla di che. Infatti accumuliamo oggetti, non vita, e pensiamo al benessere momentaneo e non a lungo termine.

Ok, sono stato un po’ prolisso, ma questo è un romanzo che può dare davvero tanto, anche se capisco che il messaggio sia incomprensibile ai più. In ogni caso, per te che sei frivolo e superficiale, può comunque essere letto anche come una semplice e coinvolgente storia in stile Umani VS Alieni. Non lo so, mettici una foto di Will Smith in copertina, magari così ti piacerà di più…

“Captive State” di Rupert Wyatt

Devo dirti che non ero proprio ben disposto andando al cinema a vedere questo film (o meglio, più esplicitamente, mentre guidavo ho pensato sarà la solita stronzata con gli alieni). Io avrei voluto vedere Border – Crature di confine, ma è un film troppo elitario per le menti limitate dei miei concittadini, quindi non è in programma nelle mie zone (e intendo né in città né in provincia).
[Anzi, aspetta, ti sparo una bella digressione offensiva, prima di parlarti di Captive State (che mi ha piacevolmente sorpreso). Ieri era mercoledì, il giorno dei poveri, quello in cui si paga meno al cinema. La sala era vuota. Strano, perché di solito c’è un casino infernale di gente che sgranocchia lipidi come se fosse sul divano di casa. Dopo il film, però, sono andato a mangiare, e allora ho capito. Maxi schermo e partita: Giuventus – Dixan (o simile). I poveri del mercoledì sono più poveri nel cervello che nel portafogli. Sono talmente poveri che si esaltano come dei dannati anche quando fa goal la squadra avversaria, perché tifano contro. Io a quel boato di urla pensavo avessero trovato la cura per il cancro, o che fosse stato scoperto un modo per lavorare di meno, dimentico della società in cui vivo… Ecco, se sei uno di questi, un vero sportivo, fai una bella cosa, levati dal cazzo, vai pure a fare il follower da un’altra parte. Fine digressione.]

Il film si apre con la conquista della Terra da parte degli alieni. Vengono mostrati i protagonisti, due fratelli bambini, che perdono i genitori durante una fuga in auto nel caos generale. Poi c’è uno stacco di dieci anni. Durante questo periodo l’umanità si è totalmente asservita alla nuova razza dominante che vive nel sottosuolo e sta prosciugando il pianeta dei beni naturali, complici gli umani stessi. Per non combattere, per evitare problemi, l’uomo si è infatti piegato di fronte a una falsa propaganda di benessere che sostiene (falsamente) il miglioramento generale delle condizioni di vita dall’arrivo degli invasori. Ci sono umani preposti a comunicare con gli alieni e a riportare in superficie le leggi che questi decidono per l’umanità intera. La massa, il popolo, crede che tutto stia andando per il meglio, decidendo di non vedere la realtà. Vengono mantenuti quegli eventi che tengono calme le masse, gli stadi sono pieni (toh, guarda caso, panem et circenses), l’economia del lavoro, ecc. In tutto questo, però, c’è una resistenza, un gruppo organizzato che si oppone all’invasore alieno, gruppo capeggiato da uno dei due bambini che abbiamo conosciuto all’inzio del film. L’altro fratello, invece, deve ancora prendere la sua strada, capire come opporsi all’ordine dominante. Mi fermo.

Budget del film 25 milioni di dollari (che sono pochi), di conseguenza pochi effetti speciali e molte idee. È questo il cinema che mi piace. Non siamo certo di fronte a un film che resterà nella storia della fantascienza, ma è davvero piacevole da vedere. Così come è piacevole NON vedere quasi mai gli alieni, perché quello che si immagina fa sempre più paura di quello a cui si può dare una forma. Altra grande carta sfruttata è l’effetto Cronenberg, ossia la contaminazione della tecnologia sul corpo umano. Tutti gli uomini hanno infatti una cimice-controllore sottopelle, che pulsa, lasciandoti nel dubbio se sia una tecnologia vivente o meccanica, anche se sicuramente in parte biologica. E poi c’è un grande John Goodman, che fa il poliziotto scova ribelli, che ho trovato davvero bravissimo.

Ho letto diverse interpretazioni su questo film. C’è chi parla di Trump, chi del bavaglio all’informazione. Io la vedo meno metaforicamente, non credo si debba sempre andare a trovare un significato “secondo” in queste pellicole. O forse sì, però trovarlo in una persona specifica, in un problema specifico, mi sembra abbastanza limitante. Forse bisogna allargare un po’ gli orizzonti per non vedere sempre e solo il dito invece della Luna. Perché gli invasori, quelli che limitano la libertà e si chiudono in un sistema, siamo noi stessi, con le stupide ambizioni del nostro fallimentare sistema. Un sistema che poi sputa fuori personaggi a cui contrapporci (il dito, appunto), personaggi ben visibili, da abbattere, mentre la Luna resta sempre lì, ferma e inattaccabile.

Comunque sì, ho divagato. Questo significa che il film è un buon film.

“La guerra dei mondi” di Herbert George Wells

Ho sempre avuto la curiosità di leggere questo romanzo, ancora di più dopo aver visto il film omonimo (2005) di Spielberg con Tom Cruise. Ebbene il film, con La guerra dei mondi di Wells, c’entra poco. Non è un male eh, sono apprezzabili entrambi.

La trama del libro è in realtà molto semplice e lo stile è quello che già avevo riscontrato ne L’uomo invisibile. La storia è raccontata dal punto di vista del protagonista principale, uno scrittore che vive in campagna, con qualche incursione anche nelle esperienze del fratello, che invece abita a Londra.

Dopo che degli strani lampi si sono verificati sulla superficie di Marte, atterrano sulla Terra dei “bussolotti” (chiamiamoli così) ripieni di alieni tutta testa e tentacoli. Questi iniziano fin da subito a costruire delle macchine di morte, i famosi tripodi, e se ne vanno in giro a catturare umani per nutrirsi, pare, del loro sangue. Mentre il protagonista scorrazza per strade e campi, rifugiandosi in case e capanni, Wells descrive i cambiamenti, anche botanici, che avvengono sul nostro pianeta. Piante rosse marziane coprono prati e case, mentre la gente scappa terrorizzata dai raggi inceneritori degli alieni. La fine non te la racconto, ma è nota.

La cosa realmente divertente è che questa invasione aliena sarebbe stata smantellata facilmente utilizzando degli aerei, ma il libro è del 1887 e il primo aeroplano (che così si possa chiamare, quello dei fratelli Wright) è del 1903. Questo, Wells, non poteva quindi ancora saperlo, anzi per un attimo nel romanzo si paventa che i marziani abbiano scoperto “il segreto del volo”.

Romanzo da leggere, sicuramente. Fantascienza classica, quasi innocente, direi.
Una nota. Il traduttore è Tullio Dobner, colui che ha tradotto qualsiasi cosa. Solo qualche nome tra le centinaia: Stephen King, Clive Barker, John Grisham, Kellerman, Sheldon, Koontz, ecc..
Ho in programma anche La macchina del tempo e L’isola del dottor Moreau, stai sintonizzato.