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“Incubi” di Dean Koontz

Melanie, all’età di tre anni, viene rapita dal padre Dylan e per i sei anni successivi la madre Laura ne perde le tracce. Poi Melanie viene ritrovata mentre si aggira nuda e sola in mezzo alla strada. È scappata da una casa delle “torture” dove il padre e altri complici la sottoponevano a esperimenti mirati a raggiungere il completo controllo dell’inconscio, utilizzando una sedia elettrica e una camera di deprivazione sensoriale. Nella casa sono tutti morti, uccisi da qualcuno che possiede una forza sovrumana. Melanie è in stato catatonico e la madre, insieme al detective Dan Haldane, cercano di venire a capo di quanto accaduto. Man mano che le indagini procedono, e che vengono scoperte altre persone implicate negli esperimenti, i cadaveri cominciano a moltiplicarsi. Mi fermo.

Sesto romanzo di Dean Koontz che leggo (gli altri li trovi in fondo al post) e primo a non piacermi. I motivi sono tanti, forse troppi.

Il primo e più incisivo è sicuramente la prevedibilità. La storia è costruita per metà come un horror e per l’altra metà come un poliziesco/giallo. Chi compie gli omicidi?
[SPOILER] Se non fosse già intuibile dai primi capitoli, ci pensa una copertina ai limiti della legalità a fornire la risposta. Inaccettabile questa scelta, è un po’ trovarsi davanti la foto del maggiordomo con il coltello in mano. Non si fa. Pensavo fosse una scelta per sviare i sospetti, invece è solo una scelta del cazzo (quando ci vuole…). [FINE SPOILER]

Il secondo motivo è l’inutile lunghezza. 380 pagine per raccontare qualcosa che avrebbe richiesto meno della metà dello spazio. Concetti ripetuti svariate volte, pippe mentali e inutili descrizioni. Prolisso, punto. Ci ho messo una vita a leggerlo, non ho mai avuto lo stimolo a proseguire, non sono mai stato curioso.

Il terzo è la macchinosità. Di tutto. Della trama, dei ragionamenti, delle emozioni. I protagonisti arrivano ad accettare situazioni inaccettabili attraverso dubbie deduzioni logiche. Le difficoltà psicologiche vengono annullate dall’appiattimento intellettuale dei personaggi, che paiono tagliati con l’accetta. Mi ha ricordato quando si inventano le storie giocando tra bambini e ci si fa andare bene qualsiasi cosa: «Allora facciamo che tu non riesci a uccidermi perché io ho mangiato la caramella dell’immortalità». Certo, come no.

La sensazione è quella di un libro che sia stato scritto perché doveva essere scritto. Non c’è anima, non c’è passione. Un compitino svolto per la sufficienza.
Può succedere, capiamoci, ma sono contento di aver già letto altro di Koontz perché se fossi partito da Incubi mi sarei fatto un’idea sbagliata (un po’ come approcciare Stephen King partendo da Rose Madder).
Vedremo, ho Lampi e Intensity ancora sullo scaffale.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Cuore Nero (1992)
Il luogo delle ombre (2003)

“La casa d’inferno” di Richard Matheson

L’avevo anticipato nella recensione di Io sono Helen Driscoll e così è stato: ho trovato e letto La casa d’inferno. Sono riuscito, peraltro, a recuperare la prima edizione Rizzoli del ’74, che ha anche un piccolo valore collezionistico.
Forse questo titolo è più sconosciuto rispetto agli altri dello scrittore/sceneggiatore, ma non certo meno coinvolgente. Ne è stato tratto anche un film, Dopo la vita di John Hough, ma non l’ho ancora visto.
Nemmeno questa volta,in ogni caso, Matheson mi ha deluso.

La trama è classica, ed è la sua forza. Quattro persone si recano in una casa “notoriamente” infestata, su commissione del riccone di turno, per scoprire se esista o meno la vita dopo la morte tramite l’utilizzo di diversi tipi di indagine. C’è infatti uno scienziato, con la moglie, una medium “mentale” e un medium “fisico”, unico sopravvissuto da una precedente spedizione di trent’anni prima. Non aggiungo altro per non rovinare i colpi di scena.

Matheson gestisce a meraviglia l’horror di genere, creando proprio quelle atmosfere che il lettore si aspetta da un romanzo con la tipica casa infestata. Ma non basta, c’è una sorpresa, se così la si può chiamare. A un certo punto infatti ti stupisce con una lieve virata verso il porno-soft, con possessioni carnali di ogni tipo. E devo dire che questo mi ha sorpreso molto, non ricordo di aver mai letto nemmeno una parolaccia nei suoi altri romanzi, non mi aspettavo quindi situazioni di violenza verbale e fisica a tema sessuale.

Se devo trovare una pecca è la traduzione. Già, perché.. ho scoperto cose. Tipo che sitibondo significa “assetato”, o che si possa scrivere eppoi e davvicino. Insomma, un linguaggio che doveva già essere arcaico nel 1974 e che si sposa male con frasi come “ho voglia di uccello” e “fattelo venire duro”.

Ora il prossimo obiettivo sarà leggere L’incubo di Hill House di Shirley Jackson, dovrebbe essere uno dei più bei romanzi sulle case infestate. Almeno così mi pare di aver capito..

04/02/2017 – Incubo di mia madre alla finestra

E’ passato quasi un anno dall’ultima volta che ho raccontato qui un mio incubo. Ed è stato abbastanza terapeutico, devo dire. Cioè, non che nel frattempo non mi sia svegliato almeno una volta alla settimana urlando, capiamoci, ma erano tutti incubi “normali”, come sognare di essere aggredito durante la notte o simile. Nulla che facesse sanguinare gli orifizi della sanità mentale. Però adesso ci risiamo.

Sono seduto sul letto con mia moglie, non ricordo bene se a parlare, credo di si. La luce nella camera è accesa e il letto è fatto, c’è una trapunta colorata che utilizzavo da bambino/adolescente (che in realtà sarebbe singola, ma nel sogno è matrimoniale). Fuori c’è quasi buio, è sera. La casa, che nel sogno è la mia, nella realtà sarebbe quella di mio zio, in cui io non ho mai abitato. La camera da letto si affaccia sul balcone, come le due camere adiacenti. A un certo punto mia moglie ha un sussulto e poi dice, guardando la finestra: “ah, è tua mamma”, come se fosse la cosa più normale del mondo. Peccato che sul balcone non può esserci arrivata in nessun modo, perchè siamo al primo piano e il balcone non ha collegamenti con il piano terra. Mi giro e la vedo per un secondo, prima che si sposti. Noto che ha un colorito strano, sul grigio. Vado alla portafinestra e, guardando oltre il vetro e le inferiate, la vedo che è nella stessa posizione di prima, ma posta davanti alla portafinestra della camera a fianco. Busso sul vetro per farla tornare, e lei torna. A questo punto la vedo bene, la pelle è tendente al bianco/grigio, così come i capelli (che nella realtà non lo sono), è sospesa da terra, ed è così che si è mossa, senza camminare. Il volto dimostra una decina d’anni in più del dovuto e guarda nella stanza con lo sguardo fisso, ma non fisso su qualcosa o su di me, fisso nel vuoto, senza vedermi. A questo punto urlo qualcosa, una frase, forse una domanda, ed è così che mi sveglia mia moglie. Non ricordo cosa stessi dicendo/urlando. Peccato.