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“Yeti – Leggenda e verità” di Reinhold Messner

Sono sempre stato attratto da tutto ciò che è si trovi al limite dell’incredibile. Non posso farci nulla: UFO, sasquatch, bigfoot, yeti – appunto – e creature degli abissi varie. Misteri irrisolti e simili (vedi Il mistero del passo Dyatlov). Talvolta questa fascinazione nei confronti dell’insondabile offre anche qualche soddisfazione. Ad esempio, nel 2007 è stato catturato, morto, un calamaro colossale (mesonychoteuthis hamiltoni) del peso di 495 kg. Il suo occhio, il più grande del regno animale, misura tra i 30 e 40 centimetri di diametro. Un essere da oltre dieci metri di lunghezza, ritenuto fino a pochi anni fa una creatura mitologica. E invece no, esiste, e il suo corpo è esposto in un museo in Nuova Zelanda.
È con questo spirito che ho iniziato a leggere Yeti – Leggenda e verità, di Reinhold Messner. Un saggio del 1998 che, erroneamente e con un po’ di compiaciuto autolesionismo, consideravo alla stregua di un approfondimento alla Roberto Giacobbo. Senza nulla togliere eh, solo pensavo mi sarei trovato di fronte a qualcosa di molto leggero e affine alle misteriose e veloci luci nel cielo. Sbagliavo.

Messner, che non avevo mai letto e che rileggero, analizza il mistero dello yeti e lo smonta pezzo per pezzo. Lui, che tra Tibet e Himalaya ha trascorso gran parte della sua vita da esploratore, cerca e trova una soluzione al mito. Lo yeti, o tshemo come lo chiamano gli autoctoni, null’altro è che un orso. Anzi, per essere più precisi, lo tshemo è l’orso, lo yeti è la leggenda che nasce dal passaparola, dalla trasformazione che subiscono i racconti nel passaggio di bocca in bocca, nel passaggio tra ciò che vedono gli allevatori nomadi, con poche competenze scientifiche e molta immaginazione, e ciò che vuole vedere il mondo Occidentale.

Questo saggio è anche molto di più. È un racconto di appostamenti ed esplorazioni, di viaggi in un Tibet flagellato dalla Cina, di incontri e confronti. Questo saggio è una spiegazione precisa e dettagliata di ciò che può creare una divario culturale. Reinhold lo yeti l’ha visto, l’ha fotografato. Lì, con un contadino che gli dice: «È quello, non avvicinarti!»
Solo che, appunto, lo yeti è un orso.
Un orso che si nutre di yak e paura. Che nella notte sembra camminare su due zampe e che pare abbia rapito qualche fanciulla per portarla nella propria caverna…

Lo spazio per il mito, per la leggenda, rimarrà finché sarà presente uno spazio fisico che consenta al mistero di sopravvivere. Quindi, visto come vanno le cose, anche il mito finirà per estinguersi. Messner, in questo, lancia un messaggio che va ben oltre al tema soprannaturale.

“Stephen King sul grande e piccolo schermo” di Ian Nathan

Per gran parte questo Stephen King sul grande e piccolo schermo, di Ian Nathan, è stato un gigantesco viaggio amarcord nella mia infanzia e adolescenza. Mi sono sentito come quando ritrovi un vecchio album di foto, dimenticato in un cassetto, e riscopri momenti della tua vita andati persi nel tempo. Una sensazione alla Stand by me, per capirci. Ecco.

Un lavoro titanico, deve essere stato un lavoro titanico. Io lo so bene.
Stacco, flashback.

Mi sono laureato nel 2010, il titolo della mia tesi era Stephen King Audiovisivo (seguito da un sottotitolo blablabla che non ricordo). Anni e anni di letture di libri e visioni di film condensati in poche pagine (come se si potesse davvero riassumere l’enorme universo narrativo del Re). Una comparazione divisa per macrotemi tra romanzi, racconti e trasposizioni varie. Un lavoro titanico, appunto, anche se molto dilatato nel tempo. Ho iniziato a leggere Stephen King a dodici anni (Gli occhi del drago) e non ho più smesso. In realtà, a voler essere precisi, il primo film horror che ho visto, a circa otto anni, è stato Unico indizio la luna piena, quindi ancora precedente alle mie letture. Fine del flashback.

Alcune locandine di film tratti da opere di King.

Ian Nathan analizza ogni singola produzione e, in un paio di pagine per ognuna (quattro/sei per le opere maggiori), ne racconta la genesi e gli aneddoti più curiosi. Un lavoro volutamente e necessariamente di superficie (ci sono interi libri dedicati a singoli film, vedi Shining) ma molto molto interessante, soprattutto per quanto riguarda le produzioni minori – i b-movies tanto amati da King – delle quali spesso si conosce poco o nulla. Tutto questo mi ha riportato indietro, alle VHS da 180/240 minuti, alle programmazioni notturne, al videoregistratore (alias The Mangler) che si impianta e rovina scene fondamentali, alla speranza che il palinsesto non subisca ritardi (altrimenti ciaociao finale). Che tempi, altro che Netflix, quella sì che era sofferenza vera. Il timer indicava 2 ore e 59 minuti e, mentre un Brivido ti correva lungo la schiena, potevi solo sperare che il film terminasse nei 4/5 minuti extra di nastro. Quasi mi commuovo.

Da: Pet Sematary – Carrie – It – Misery

Quello che risulta evidente, leggendo questo volume, è come la produzione principale delle trasposizioni, con il tempo, si sia spostata (purtroppo, ma io sono di parte) dal cinema alla tv, con il sopravvento della serialità. A King non dispiace, è sempre stato molto più aperto di me, in questo senso. Non starò qui a discutere di questo, l’ho già fatto in Perché le serie tv sono i maccheroni Barilla e i film (alcuni) le tagliatelle tirate a mano della nonna, esplicitando tutti i miei malumori a riguardo.

Il dato semi-aggiornato di Nathan (è un valore quasi incalcolabile, considerando le produzioni secondarie e i lavori in corso) parla di 65 film e 30 produzioni televisive. Mi sono accorto di aver visto praticamente tutto fino al 2010 (che caso…) e di aver perso qualcosa negli anni successivi. Questo soprattutto per quanto riguarda le serie, non tanto per l’ostilità palesata sopra, quanto perché sono distribuite su più piattaforme ed è diventato impossibile stare al passo senza dover sottoscrivere diciotto abbonamenti diversi. Vedrei volentieri Castle Rock, che, a quanto ho capito, pare essere un omaggio riuscito abbastanza bene.

A breve ti parlerò anche de Il grande libro di Stephen King, di George Beahm, nel quale mi aspetto di trovare, vista la considerevole mole, parecchie cose che ancora non so (difficile, ma non impossibile, sebbene io mi ritenga il “fan numero uno” del Re).

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)

I fumetti (sempre solo quelli dei quali ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)

“Guns – Contro le armi” di Stephen King

Il 14 dicembre 2012 Adam Lanza, 20 anni, entra nella Sandy Hook Elementary School armato di un fucile d’assalto M4 e uccide 27 persone. 20 sono bambini tra i 6 e i 7 anni. Una strage, uguale a molte altre verificatesi negli Stati Uniti. Lanza, alla fine, si suicida. Su Wikipedia c’è una interessante pagina che descrive tutte le fasi di quella tragica mattina, ti consiglio di leggerla. Così, per avere un’idea. Bambini nascosti nei bagni, sotto i banchi, persone che chiedono pietà, insegnanti che si sacrificano facendo scudo con il proprio corpo. È questo quello che succede in quei momenti. Il problema è che l’arma utilizzata da Lanza era un’arma da guerra, con caricatori da 30 colpi, non c’è modo di sfuggire.

È su queste note che Stephen King scrive Guns (Contro le armi), un breve saggio nel quale esprime la sua opinione sul possesso indiscriminato di armi negli Stati Uniti. L’opinione di chi – da bravo americano – qualche arma ce l’ha (tre pistole, dichiara), ma non capisce come le armi automatiche possano essere in libera vendita, insieme a caricatori che contengono più di dieci colpi. King è (giustamente) inflessibile: un’arma di questo tipo, da guerra, può servire solamente a compiere stragi.
Perché si possa porre un limite a una situazione senza controllo, dovrebbe essere la stessa National Rifle Association ad assumere un forte senso di responsabilità e favorire la limitazione della vendita di armi (cosa che, sappiamo tutti, non accadrà mai). King paragona una decisione di questo tipo alla sua scelta di ritirare il romanzo Ossessione dal mercato, poiché avrebbe ispirato le gesta di alcuni malati di mente. Una scelta, appunto, di responsabilità, senza alcun obbligo imposto, se non dalla propria coscienza. In Australia, spiega King, dove queste scelte sono state prese, le morti per arma da fuoco sono diminuite del sessanta percento. Un dato incontrovertibile.

Un breve, brevissimo saggio che racconta anche un’altra storia. Quella del piccolo editore Marotta&Cafiero (Scampia) che decide di azzardare e diventare – come recita lo slogan – spacciatore di libri, pizzo free. Una scelta coraggiosa e un bel segnale da una zona difficile, una volta tanto. La mia edizione di Guns, peraltro, ha la copertina variant (già introvabile), quindi la simpatia verso questi spacciatori di libri non può che essere enorme. Ora Guns finirà a fianco dell’altrettanto raro Ossessione, che ovviamente possiedo nella prima edizione Sonzogno…

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)

“Gli orsi delle Alpi – Chi sono e come vivono” di Filippo Zibordi

Libro un po’ “fuori genere” rispetto al solito ma, dal momento che la regola esige ti parli di tutto quello che leggo, eccomi. Non mi dilungherò, comunque.

Sto studiando per scrivere una cosa e, la cosa in questione (senza entrare nei particolari e mantenendo un alone di mistero), richiede una minima conoscenza in ambito orsi. Cercavo quindi una lettura che mi fornisse quel genere di informazioni che fossero un po’ più approfondite rispetto a wikipedia ma che rimanessero comunque comprensibili per i comuni mortali. Gli orsi delle Alpi, del naturalista Filippo Zibordi, è stata di certo una scelta azzeccata.

È un breve saggio (circa 130 pagine), ricco di fotografie, che parla dell’orso (ma dai!) a 360°. Questo significa che affronta non solo le caratteristiche fisiche e le abitudini del plantigrado, ma anche tutto quello che riguarda il mondo che ci gira intorno, come ad esempio le leggi, la storia, i progetti di reinserimento e tanto altro. È ricco anche di tabelle e curiosità. Ora mi sembra superfluo farti degli esempi, ma io non sapevo che durante l’ibernazione l’orso arrivasse a respirare una volta al minuto (così, per dirne una).

Ho trovato quello che cercavo? Decisamente sì.
Di sicuro ne so più di prima e posso così pensare di limitare eventuali errori dovuti alla mia ignoranza sull’argomento. Peraltro io amo fare escursionismo in montagna e la possibilità di incontrare un orso mi ha sempre abbastanza intimorito (no, non sono uno di quelli che spera in un avvistamento). Avendo letto Gli orsi delle Alpi, però, la mia paura è decisamente diminuita… sto ovviamente mentendo, la verità è che adesso so che non dovrei aver paura, ma ne ho comunque. Tuttavia ora, nel caso rarissimo di un incontro, eviterò di comportarmi come il pupazzo gonfiabile che saluta come uno scemo (e che urla facendosela sotto), ed è già un gran passo avanti.

Il consiglio è: se vuoi fare escursionismo in zone frequentate da orsi, leggi questo libro e non guardare Revenant o Backcountry. Vivrai davvero molto meglio.

“Cangrande, Dante e il ruolo delle stelle” di Maurizio Brunelli

Nel 2021 ricorrerà il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri e io, per rimanere “sul pezzo”, così come poco tempo fa avevo fatto per Leonardo da Vinci, mi sono letto un saggio a tema: Cangrande, Dante e il ruolo delle stelle di Maurizio Brunelli (scrittore storico per passione ed esperto della figura di Cangrande). In realtà in questo testo si parla anche di molto altro, non solo del poeta fiorentino, ma ci arriveremo.

Prima però, come si fa per le malattie sui siti medici, vorrei esporti un elenco di sintomi per verificare se tu sia destinato alla lettura di questo volume. [Per inciso: io su quei siti ho sempre 9 sintomi su 10, soffro di tutte le patologie esistenti, dall’infiammazione della prostata all’ovaio policistico.]
Sarà sufficiente averne uno solo perchè tu possa procedere:

• Sei interessato alla vita di Cangrande della Scala;
• Ti piace la storia (il Medioevo, in particolare);
• Beh, anche Dante Alighieri, ovviamente;
• Vivi a Verona;
• Sei appassionato di astrologia;
• Hai difficoltà nel mantere l’equilibrio (no scusa, questo era per la labirintite, non c’entra).

Sì, io lo so che tu hai letto “astrologia” e hai subito alzato gli occhi al cielo pensando all’oroscopo di Paolo Fox, ma la situazione è in realtà un po’ più complessa rispetto a «oggi è una giornata molto buona per il Toro che potrebbe ottenere ottimi risultati professionali e incontrare la sua anima gemella».
Brunelli, infatti, tenta di capire, stimando la data di nascita di Cangrande e verificando quale possa esserne il relativo oroscopo, se un’eventuale vaticinio astrologica abbia influenzato le scelte dei Dalla Scala e, in seguito, anche quelle di Cangrande stesso. Questo perché, all’epoca dei fatti, a metà del XIII secolo, l’astrologia era tenuta molto da conto, tanto da essere insegnata nelle Università. Non è quindi da escludersi che Cangrande fosse stato designato come il prescelto per formare il Regno dell’Alta Italia (questo indipendentemente dal fatto che tu creda o meno all’oroscopo!). Cangrande che, nel corso della sua vita, oltre ad aver conquistato città e territori, ha ospitato a lungo l’esiliato Dante, meritandosi così la dedica del Paradiso, terza cantica della Divina Commedia.

La mia avversione per l’oroscopo, e per l’astrologia in generale, mi ha fatto iniziare la lettura con un cattivo presagio, ma devo dire invece che l’abbinamento funziona. Brunelli individua quelle che dovrebbero essere le caratteristiche della personalità di Cangrande, secondo l’astrologia del tempo, e le confronta con gli eventi storici di cui si ha traccia (anche grazie a scrittori meno noti dell’epoca, come Ferreto Ferreti). Il risultato è un alleggerimento che consente una lettura più fluida, anche dove, per forza di cose, la nozionistica prende il sopravvento (ricordati che si parla di un periodo di continui cambi di potere, tradimenti, guerre… e quindi di centinaia di nomi e date).
Dante accompagna e condisce il viaggio, così come ha accompagnato il Signore di Verona nel corso della sua vita e tutti quelli che l’hanno amato sui banchi di scuola (o, recentemente, in tv letto da Roberto Benigni).
Pensa, io Dante l’ho sempre detestato, ritenendolo l’Alfonso Signorini del 1300, ma questo volume te lo consiglio lo stesso. Non credo di dover aggiungere altro…

Copia ricevuta in omaggio da Gingko Edizioni.

“Cecità” di José Saramago

Cecità non è un romanzo facile. Forse non è nemmeno un romanzo, dal momento che il titolo originale, tradotto letteralmente, è Saggio sulla cecità. Era da tempo che volevo leggere qualcosa di José Saramago, per la precisione da quando ho visto lo stupendo Enemy di Villeneuve, tratto dal romanzo L’uomo duplicato. In realtà anche da Cecità è stato tratto un film, Blindness, con Julianne Moore, che però ricordo come noioso (l’ho visto anni fa, lo riguarderò).
Ma sto divagando.

Un po’ di trama.
In una nazione (o nel mondo intero?) non identificata scoppia un’epidemia di cecità, definita mal bianco, poiché chi ne viene colpito comincia a vedere tutto bianco. Nessuna causa fisica apparente giustifica la “malattia”, e te lo spiega un medico oculista che visita un cieco poco prima di diventare cieco a sua volta. In questa catastrofe Saramago ti fa seguire le vicende di un piccolo gruppo di persone, tra cui la moglie dell’oculista, unica persona (a quanto descritto) immune al male. Dapprima il governo mette in quarantena i malati, abbandonandoli a loro stessi in strutture isolate. Qui la bestialità umana prende il sopravvento, si formano delle tirannie, da cui derivano ricatti e minacce per ottenere il cibo. Le donne, ad esempio, devono diventare schiave sessuali di un drappello di uomini che possiedono una pistola. Tutto questo nella sporcizia più estrema, dove feci, sudore, sangue e morte si mescolano senza possibilità di salvezza. Poi anche i soldati a guardia di queste specie di lager (dove aguzzini e vittime sono tuttavia sempre i malati) diventano ciechi. Il mondo cade nel caos totale e il gruppo di non vedenti, capitanato dalla moglie “sana” dell’oculista, esce all’esterno, dove qualsiasi forma di organizzazione sociale è ormai crollata.

Dicevo, Cecità non è un romanzo facile.
Non lo è da nessun punto di vista.

Per prima cosa non è leggero, non è scorrevole, e per terminare le 280 pagine ci ho messo dieci giorni. Non ti aspettare un romanzo apocalittico nel senso comune del termine, Cecità è un viaggio nell’apocalisse dell’anima, più che in quella palpabile e terrena. Io ero pronto ed è stato comunque difficile. È carico di riflessioni, filosofia, meditazioni su quello che è l’uomo, su cosa possa diventare o, forse, su cosa faccia finta di non essere. Saramago permea di un pessimismo invincibile (che io condivido pienamente) la natura umana. Privata della vista, l’umanità recede nella sua più bassa forma, il crollo di qualsiasi valore morale e civile è totale. L’unico gruppo che sembra immune è quello dei “nostri” ciechi ma, attenzione, perché guidati da una persona che ancora ci vede. È attravero la vista che ha un senso la cooperazione, l’aiutarsi l’un l’altro. Chi ne è privo invece, chi non ha nemmeno una guida, può solo cadere nell’individualismo più estremo.

Cecità è incomprensibile finché non lo si legge. Queste mie poche righe non possono rendere la bravura con cui l’autore riesce a far diventare cieco il lettore. Cieco in un mondo di ciechi, non dimenticarlo. Ci sono persone (praticamente tutte) che non ritrovano casa propria, perché sono diventate cieche all’esterno e nessuno può aiutarle. La pulizia, l’igiene, non esistono più. Nessuno vede, quindi è possibile fare tutto ciò che non era socialmente accettato, defecare per strada, violentare una donna, uccidere per poco. Il peccato è negli occhi degli altri, se questi occhi non vedono, il peccato non esiste. L’uomo non ha un’etica propria, una morale intrinseca, di conseguenza se nessuno può giudicarlo sarà in grado di ritornare alla sua vera natura, peggiore di quella animale.

Dal punto di vista strettamente tecnico il romanzo sembra uno scritto sperimentale, tanto è lontano dalla narrativa canonica a cui siamo abituati. Per prima cosa non esistono i nomi, i personaggi sono definiti come “Il primo cieco”, “La moglie dell’oculista”, ecc. Anche i nomi fanno parte di un organizzazione sociale che crolla con il mal bianco, e non hanno quindi più senso di esistere. I dialoghi sono riportati senza alcun segnale grafico se non con la sola maiuscola.
Ma te ne riporto un estratto a caso, se no è davvero difficile capire:

“Finalmente ti sei svegliato, dormiglione, disse lei sorridendo. Si fece silenzio, e lui disse, Sono cieco, non ti vedo. La moglie lo rimproverò, Piantala con gli scherzi stupidi, su certe cose non ci si scherza, Magari fosse uno scherzo, la verità è che sono cieco sul serio, non vedo niente, Per favore, non mi spaventare, guardami, qui, sono qui, la luce è accesa, Lo so che ci sei, ti sento, ti tocco, immagino che tu abbia acceso la luce, ma io sono cieco.”

Nonostante questo però la lettura, per quanto riguarda la semplice comprensione degli eventi e dei discorsi, è estremamente fluida e facile. Non aspettarti qualcosa come il “flusso di coscienza”, non avrai alcuna difficoltà a seguire la trama e ciò che succede. Saramago è bravissimo anche in questo.

Avrai capito: questo è un romanzo che vuole (e ci riesce) insegnare qualcosa. Paradossalmente Saramago ti apre gli occhi. Come ogni lezione non è scorrevole e nemmeno divertente. Devi metterci del tuo e non te ne uscirai con un “che bello, lo voglio rileggere”. No, una volta basta. Ti sentirai in colpa a pensare che forse un po’ ti sei annoiato e avrai difficoltà ad ammetterlo, non solo con gli altri, ma anche con te stesso.
Allora, forse, significherà che qualcosa l’avrai imparato davvero.

“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.”

“I serial killer” di Vincenzo M. Mastronardi e Ruben De Luca

Il fascino del serial killer è qualcosa che subisco da sempre. E’ sufficiente uno di quei programmi in seconda serata sui delitti irrisolti per incatenarmi alla TV senza possibilità di fuga. Conscio di questa mia inclinazione (all’informazione si intende, non all’omicidio) ho deciso di cercare un libro completo ed esaustivo sull’argomento per togliermi tutti i dubbi e le curiosità e avere un quadro generale abbastanza completo. Incredibilmente, al primo colpo, posso dire di averlo trovato.

La ricerca non è stata semplice, tra eBay, Amazon e recensioni varie ho fatto passare tutta l’editoria riguardante questo argomento. Quello che mi ha portato ad acquistare I serial killer sono stati i commenti dei lettori, c’era chi diceva “libro completo ed esaustivo anche dal punto di vista psicologico” e chi scriveva “se avessi saputo che era un libro a carattere universitario non l’avrei acquistato”. Ho capito subito che era un volume non per tutti, e la cosa non ha fatto che convincermi: era quello che cercavo.

Effettivamente un libro per tutti non lo è. C’è moltissima psicologia e l’argomento è trattato in modo assolutamente didattico, con pagine e pagine sulle varie teorie e gli approcci di diverse correnti di pensiero. In poche parole è un libro davvero universitario, talvolta per dare una definizione impiega più pagine vagliando le varie teorie in merito, ma questo non deve spaventare poichè in cambio offre una completezza incredibile. Letto questo volume (sono circa 900 pagine) non ho più alcun dubbio, nessun interrogativo che non sia stato analizzato. Certo, se cerchi qualcosa di cinematografico, è meglio se ti riguardi Il silenzio degli innocenti per la 200° volta.

Gli argomenti trattati sono moltissimi e non limitati ai “classici” nomi quali Bundy, Manson, Chikatilo noti a tutti e in certo modo commerciali. Vengono analizzati anche molti casi sconosciuti al grande pubblico (anche se molto più prolifici, si parla di 500/1000 omicidi per alcuni assassini come il Dr. Shipman) meno risaltanti dal punto di vista scenico (ossia dell’atrocità) ma non da quello psicologico. Passando per tutte le perversioni e deviazioni possibili, tra cui necrofilia, cannibalismo, pedofilia, onnipotenza, satanismo, vengono analizzate le differenze tra i serial killer uomini e quelli donna, tra le diverse aree geografiche e i tentativi (inutili) di cura. Ci sono centinaia di schede dedicate a praticamente tutti i serial killer (pare che per scrivere il testo siano stati analizzati più di 2200 casi) inserite ad hoc all’interno del testo quali esempi degli argomenti trattati. C’è un capitolo bellissimo sui casi nostrani (Girolimoni, compagni di merende, bestie di Satana, Izzo, ecc.). La quantità di informazioni e di spiegazioni è impressionante, è impossibile anche solo farne un riassunto esaustivo.

Che dire, letto questo volume non sento il bisogno di approfondire l’argomento nell’ambito generico, poichè ha soddisfatto tutte le mie curiosità. Non solo. Mi ha fatto venire voglia di approfondire invece le singole tematiche o i singoli casi, stimolando la mia passione. Adesso il difficile sarà riuscire a trovare qualcosa all’altezza di questa lettura che mi ha portato a una vera conoscenza della psicologia del serial killer, sempre troppo esemplificata dal cinema e dalla nostra cultura di massa.