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“Oceano” di Francesco Vidotto

Ho appena finito di leggere Oceano e la prima sensazione che ho provato è stata il rimpianto. Dovevo aspettarmelo, considerato quanto mi era piaciuto Fabro, non poteva che essere così. Ma ora ti spiego il perché del rimpianto, un attimo.

Sono stato al Salone del libro di Torino (ahimè di sabato, quando c’è più casino) e, ovviamente, ho fatto la spesa (un buon venti chili di libri).
Apro un piccolo inciso.
Ho acquistato solo da quegli editori che proponevano offerte dedicate alla fiera. Non ho mai capito perché si dovrebbe pagare un biglietto di ingresso per poi pagare la merce a prezzo pieno (che, in fin dei conti, significa a un prezzo più alto rispetto all’acquisto sui vari siti online). Edizioni Minerva era uno degli editori che applicavano degli sconti, e qui chiudo l’inciso e arrivo al mio rimpianto.
Di Francesco Vidotto, al Salone, ho comprato solo Oceano e Siro, lasciando lì (nel tentativo di contenere l’emorragia monetaria) Il selvaggio e Zoe.
È stato un errore.

Oceano racconta la storia di un uomo, quasi centenario, che fa visita a Vidotto (in più riprese) e gli racconta la propria vita, chiedendogli di scriverne un libro. Gli incontri si susseguono e la trama della vita di Oceano (perché è questo il nome dell’uomo) prende forma, come l’amicizia tra l’anziano e lo scrittore. Oceano ha affrontato la guerra, le difficoltà e l’amore, sempre con grande coraggio e umiltà. Ha una moglie, Italia, e un figlio che, però, non si vede mai… mi fermo.

Così come accadrà in Fabro (che è successivo), anche in Oceano Vidotto descrive la vita del protagonista con uno stile che definirei poetico. In poche pagine lo scrittore condensa tutti gli eventi che contano – quelli che hanno un vero significato – e te li propone con la forza di un pugno nello stomaco. Non perché siano particolarmente violenti (spesso non lo sono), ma perché, terminato il romanzo, sei costretto a riflettere sulla vita (l’Universo e tutto quanto, aggiungerei).
Terminato il romanzo, tu sei Oceano. Tu tiri le somme e cerchi di capire cosa hai fatto, cosa non hai fatto e cosa avresti dovuto fare. Come Oceano, che non ha mai visto il mare e che cerca, per quello che può, di recuperare.

P.S. Ci risentiamo a breve. Di certo con Siro, ma anche con tutto il resto dei “venti chili”. Son riuscito a trovare la Trilogia della frontiera di McCarthy (grazie a Libraccio) e tanto altro. E poi, lo sai, ieri è uscito Billy Summers

“L’ultimo sorso – Vita di Celio” di Mauro Corona

È difficile parlarti di questo L’ultimo sorso – Vita di Celio, faccio davvero fatica a inquadrarlo. Mauro Corona, nell’introduzione, ci tiene molto a precisare che Celio è un personaggio inventato, una sorta di summa di molti uomini che lui stesso avrebbe incontrato nel corso della propria vita. E quindi, cosa ho letto? Già, perché il tono è quello dell’omaggio nostalgico a un amico morto…

Celio è un uomo solitario, (molto) avezzo alle sbronze, amante della bottiglia, alcolista e bevitore (si è capito?). Trascorre gli anni tra scalate montane ed ermetismi verbali, cacciando qua e là camosci e altra selvaggina. Corona è per lui una sorta di figlio adottivo, qualcuno da prendere sotto la propria ala protettiva. Fine, più o meno.

Facciamo finta che Celio sia esistito davvero, che l’intro di Corona serva a non avere problemi legali per aver scritto una biografia non autorizzata. In questo caso il romanzo sarebbe davvero un gentile e sentito omaggio dell’autore a una vita “qualsiasi”, ma per lui molto importante. Il libro avrebbe, quindi, un valore morale ed emotivo molto alto. La realtà dei fatti caricherebbe di pathos anche le vicende meno interessanti (cioè quasi tutte), dando un significato al romanzo al di fuori del romanzo stesso.

Poi facciamo finta che sia davvero tutto inventato. Svuotato di una emotività reale, il romanzo perderebbe valore. Perché, in una storia così semplice, solo l’attinenza con il vero potrebbe rendere il racconto interessante. Nella lettura non mi sono affezionato a Celio, ma al nostalgico ricordo dell’autore. Se il ricordo risultasse essere un falso, la nostalgia non sarebbe sufficiente a reggere la storia (che vivrei un po’ come una presa in giro).

L’una o l’altra? Vero o inventato? Non lo so.

Libri che ho letto di Mauro Corona:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Vajont: quelli del dopo (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Venti racconti allegri e uno triste (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)
L’ultimo sorso – Vita di Celio (2020)

“Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti

Hai visto che sono stato di parola? Ti avevo detto che avrei letto più autori italiani e, nel giro di un mese, sono già a tre. Dopo Cognetti e Carofiglio, oggi ti parlo di Ilaria Tuti e del suo romanzo Fiori sopra l’inferno (2018), un thriller ambientato tra le Dolomiti friulane [della Tuti ti avevo già accennato qualcosa anche QUI, a proposito del suo racconto Above® per il Trofeo RiLL]. Sebbene questo libro sia stato pubblicizzato come l’esordio della scrittrice, so che esistono almeno due suoi romanzi precedenti, Isabel e La ragazza dagli occhi di carta, che credo proprio andrò a recuperare.

Non ti racconterò molto della trama di Fiori sopra l’inferno, rimarrò sul vago, poiché, come sai, ritengo che dei gialli/thriller non si debba mai svelare troppo. Per semplificare, potrei dirti che siamo nella zona della caccia al serial killer, sebbene sia, appunto, una semplificazione. La protagonista indiscussa del romanzo è Teresa Battaglia, commissario e profiler incaricata delle indagini. Teresa è una donna forte, che trae nutrimento dalle proprie debolezze. Un essere umano completo e complesso, insomma, con tutto quello che ne consegue a livello caratteriale. E poi c’è la montagna, imponente scenografia di tutta la vicenda, con la natura che esce letteralmente dalle pagine (e con questo, per conto mio, la storia aveva già vinto).

Non oso immaginare quanto lavoro di ricerca si sia reso necessario per scrivere questo libro. Se per l’ambientazione geografica l’autrice gioca in casa (è di Gemona del Friuli), per la criminologia e la psicologia sono evidenti le competenze acquisite da studi approfonditi (nelle note, al termine del romanzo, la Tuti cita anche un interessante studio di René Spitz sulla deprivazione sensoriale nei neonati, che mi andrò sicuramente a leggere). Io, poi, subisco terribilmente gli effetti della fascinazione del Male sulla mente umana, quindi quando il discorso si sposta sui serial killer non posso far altro che diventare molto curioso. Anzi, andrò a rivedermi il saggio I serial Killer, per stare in tema.

Ho letto le 360 pagine di Fiori sopra l’inferno in tre giorni. È uno di quei romanzi che ti tiene lì incollato per “partecipare” alle indagini, per scoprire il colpevole e la storia che nasconde. Intrattenimento e narrativa pura al 100%. Pur non amando le serie letterarie (sai cosa penso della serialità in generale), so che esistono almeno altri quattro libri aventi come protagonista Teresa Battaglia e li leggerò. Questo perché ho trovato la trama pienamente autoconclusiva, non mi ha dato l’impressione di essere una “trappola commerciale”. Nella quarta di copertina c’è l’endorsement di Donato Carrisi, autore del quale non ho letto ancora nulla (ho visto però il bel thriller montano di cui è regista, La ragazza nella nebbia) e che è nella mia lista da parecchio tempo. Quindi sai già di chi ti parlerò a breve…

P.S. Ilaria Tuti è stata scoperta da Longanesi grazie al torneo letterario IoScrittore, divenendo poi l’esordiente più venduta del 2018 (tradotta in 25 paesi). Quello del gruppo GeMS è un torneo molto divertente. Non aggiungo altro. Per scaramanzia.

“Vajont: quelli del dopo” di Mauro Corona

Vajont: quelli del dopo è il diciassettesimo libro di Mauro Corona che leggo. Sebbene il “confezionamento” sia quello del romanzo, si può tranquillamente parlare di racconto (sono 73 pagine che, impaginate correttamente, equivarrebbero a circa 35). Per la cronaca, l’ho letto in una mezz’ora di relax, tra un capitolo e l’altro del “complicato” (da tutti i punti di vista) Glamorama di Ellis, di cui ti parlerò nel prossimo post.

Sarò breve, tolte le ovvie osservazioni commerciali (che non mi toccano: ho comprato questo libro a un euro al mercatino), Vajont è l’ennesimo omaggio di Corona alla tragedia del 1963 e, soprattutto, alle vittime di una strage annunciata.
Costruito come una pièce teatrale, il racconto riporta un immaginario (ma non troppo) dialogo tra tre anziani avventori di un’osteria di Erto e l’oste. Centro della discussione, ovviamente, la diga. Con la scusa della baruffa (così come la chiama sempre Corona), mentre i quattro si rinfacciano accuse e offese, viene raccontato quanto accaduto a Erto dopo il disastro.

Oltre 2000 morti, questo è il tragico bilancio dell’ennesima e impunita strage di Stato ed è forse la sola cosa che si ricorda, sbagliando. C’è molto altro, dietro. Ci sono le vite spezzate dei superstiti, le nefandezze degli sciacalli, c’è una comunità distrutta e i tentativi di corruzione a opera di chi ha tentato di lavarsi la coscienza “un tanto al morto” (con tanto di prezziario per rimborso perdite, chiamiamolo così, da parte dello Stato).

Vajont: quelli del dopo ricorda tutto questo. Con nostalgia e rabbia. Inutilmente, purtroppo. Non siamo in grado di imparare dai nostri errori.

Libri che ho letto di Mauro Corona:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Vajont: quelli del dopo (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Venti racconti allegri e uno triste (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Venti racconti allegri e uno triste” di Mauro Corona

Se ho fatto bene i conti, Mauro Corona dovrebbe aver scritto, tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, 34 libri (di cui alcuni a quattro mani). Un autore molto prolifico, considerato che la sua prima pubblicazione, Il volo della martora, è del 1997. Venti racconti allegri e uno triste è il sedicesimo libro che leggo di Corona (visto che, appunto, stiamo facendo i conti).

Non mi dilungherò.
Come evidente dal titolo, si tratta di ventuno racconti e i temi sono quelli classici dello scrittore: la natura, le bevute, la montagna e, in generale, la vita. La distinzione tra i racconti allegri e quello triste è smontata dallo stesso Corona nella prefazione, poiché in tutti si possono trovare parti comiche e altre più riflessive, come caratteristico del suo stile narrativo. L’ispirazione deriva da fatti reali implementati dall’utilizzo della fantasia (sempre spiegato in prefazione).
Devo ammettere che, rispetto ad altre sue raccolte, ho trovato effettivamente una maggiore leggerezza nel modo di narrare le vicende, dove per leggerezza intendo una minore presenza di violenza, sesso e atmosfere cupe. Aiuta, in questo, anche la brevità dei racconti (il libro consta di circa 150 pagine).

Che dire, a me Corona piace, mi rilassa e alcune sue ottime riflessioni hanno il grande e difficile potere della semplicità. Ti consiglierei Venti racconti allegri e uno triste se hai lo stomaco debole e non desideri essere turbato (insomma, è un libro con la T di “per tutti”). Se vuoi leggere racconti meno allegri potresti dirigerti su Come sasso nella corrente, anche se io continuo a consigliarti il romanzo Il canto delle manére.

Libri di Mauro Corona di cui ti ho già parlato:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Venti racconti allegri e uno triste (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Gli orsi delle Alpi – Chi sono e come vivono” di Filippo Zibordi

Libro un po’ “fuori genere” rispetto al solito ma, dal momento che la regola esige ti parli di tutto quello che leggo, eccomi. Non mi dilungherò, comunque.

Sto studiando per scrivere una cosa e, la cosa in questione (senza entrare nei particolari e mantenendo un alone di mistero), richiede una minima conoscenza in ambito orsi. Cercavo quindi una lettura che mi fornisse quel genere di informazioni che fossero un po’ più approfondite rispetto a wikipedia ma che rimanessero comunque comprensibili per i comuni mortali. Gli orsi delle Alpi, del naturalista Filippo Zibordi, è stata di certo una scelta azzeccata.

È un breve saggio (circa 130 pagine), ricco di fotografie, che parla dell’orso (ma dai!) a 360°. Questo significa che affronta non solo le caratteristiche fisiche e le abitudini del plantigrado, ma anche tutto quello che riguarda il mondo che ci gira intorno, come ad esempio le leggi, la storia, i progetti di reinserimento e tanto altro. È ricco anche di tabelle e curiosità. Ora mi sembra superfluo farti degli esempi, ma io non sapevo che durante l’ibernazione l’orso arrivasse a respirare una volta al minuto (così, per dirne una).

Ho trovato quello che cercavo? Decisamente sì.
Di sicuro ne so più di prima e posso così pensare di limitare eventuali errori dovuti alla mia ignoranza sull’argomento. Peraltro io amo fare escursionismo in montagna e la possibilità di incontrare un orso mi ha sempre abbastanza intimorito (no, non sono uno di quelli che spera in un avvistamento). Avendo letto Gli orsi delle Alpi, però, la mia paura è decisamente diminuita… sto ovviamente mentendo, la verità è che adesso so che non dovrei aver paura, ma ne ho comunque. Tuttavia ora, nel caso rarissimo di un incontro, eviterò di comportarmi come il pupazzo gonfiabile che saluta come uno scemo (e che urla facendosela sotto), ed è già un gran passo avanti.

Il consiglio è: se vuoi fare escursionismo in zone frequentate da orsi, leggi questo libro e non guardare Revenant o Backcountry. Vivrai davvero molto meglio.

“Storia di Neve” di Mauro Corona

Ho fatto due conti, su Wikipedia, e mi risulta che Mauro Corona abbia scritto trentadue libri (uno più uno meno) e io, con Storia di Neve, ne ho letti quindici (li trovi elencati a fine post). Questo supertomo (circa 820 pagine) l’avevo lasciato appositamente da parte, sperando mi regalasse grandi soddisfazioni come L’ombra del bastone e Il canto delle manére, ma purtroppo non è andata esattamente così…

Partiamo con un po’ di trama (ermetica).
Neve nasce a Erto nel 1919. È una bambina strana, ogni tanto compie qualche miracolo, curando dei malati, ma è molto fragile, tende a sciogliersi come un cubetto di ghiaccio, trasformandosi in acqua. Questo accade soprattutto quando le capita di incontrare per le vie del paese un suo (quasi) coetaneo, Valentino, per il quale ha una forte attrazione resa impossibile proprio dalle circostanze.
Intanto Felice, il padre di Neve, fiutando l’affare dei miracoli ne organizza di finti per rafforzare la nomea della figlia e far sì che le persone bisognose la raggiungano in pellegrinaggio, pronte ad aprire le tasche in cambio di una speranza. Felice accumula ricchezze, complici e amanti mentre in paese iniziano a sparire i testimoni “scomodi”.
Mi fermo.

Storia di Neve è di certo un romanzo cupo e violento, su questo non c’è alcun dubbio. I personaggi buoni, o che comunque si salvano, si possono contare sulle dita di una mano, Neve inclusa. I morti sono tanti e spesso se ne vanno in modo truculento, talvolta al limite del grottesco (esempio: due amanti vengono divorati dai topi durante un amplesso e continuano a montarsi – come direbbe Corona – fino a quando diventano scheletri). L’erotismo è sempre dietro l’angolo, ogni occasione è buona per stupri, accoppiamenti vari e alzate di còtole, senza tuttavia mai entrare nei particolari (non ci sono descrizioni di tipo pornografico). Insomma, per quanto riguarda il sesso c’è più quantità che qualità.
Le vicende di Neve e di suo padre Felice rappresentano la parte centrale della storia ma sono circondate da mille altre sottotrame che si dipanano nel corso dei ventinove anni di vita della protagonista (non è uno spoiler, lo si sa da subito).

A differenza di molte persone, io non ho mai avuto problemi con la presenza di violenza, stupri o negatività. Te lo dico perché molte critiche che ho letto, rivolte al romanzo, sono proprio dirette verso queste forti caratteristiche che permeano la narrazione. Quello che, in realtà, non mi è piaciuto de La storia di Neve è la sua lunghezza. Credo che se Corona avesse scritto 400 pagine, invece di 800, la storia sarebbe filata molto meglio. Purtroppo questa prolissità si paga spesso con (tri-quadri)ripetizioni, personaggi che vengono presentati tante (troppe) volte allo stesso modo (quasi che Corona dubitasse che il lettore potesse ricordarsene) e l’uso continuo di similitudini (ogni cosa è come qualcos’altro, nello stile dell’autore, certo, ma qui si esagera). Peccato.

Di bello c’è che il romanzo non è ben identificabile in un singolo genere. Come dicevo, in alcuni momenti potrebbe rientrare addirittura nel gore, ma altre volte sembra un fantasy e altre ancora una storia di mistero. Questa parte dell’esperimento (perché credo che lo sia) l’ho gradita parecchio.

Libri di Mauro Corona di cui ti ho già parlato:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“127 ore – Intrappolato dalla montagna” di Aron Ralston

Sto cercando di riordinare le idee per capire da dove iniziare a parlarti di questo libro, ma la sintesi è che è una bomba. 127 ore (Between a rock and a hard place) è un romanzo di quelli che piacciono a me, dove si parla di montagna, avventura e sopravvivenza (a fine post ti elenco un po’ di titoli affini), ed è una storia vera. Aron Ralston è ufficialmente uno dei miei nuovi eroi. Ok, ora che ho scaricato l’entusiasmo mi ricompongo e vado per ordine.

Due righe sulla trama che, comunque, è presente in forma integrale nel risvolto della copertina, poiché è nota. Probabile peraltro tu abbia visto il film del 2010 di Danny Boyle con James Franco.
Aron Ralston è un arrampicatore esperto e nella sua vita non mancano certo le esperienze estreme. Una volta sta per venire mangiato da un orso, un’altra viene seppellito da una valanga, una quasi annega in un fiume, un’altra ancora rimane appeso per un soffio su un baratro di seiecento metri… insomma, un tipo tranquillo. Un giorno decide di avventurarsi nel Blue John Canyon, nello Utah, per un’escursione delle sue, composta da cammino a piedi, tratti in bici e scalate su roccia. Il programma è già abbastanza arduo così ma, nell’appoggiarsi su un masso incastrato tra due pareti, si trova a cadere insieme a questo sul fondo del canyon. Lì, la sua mano destra rimane incastrata tra il masso e la parete del canyon, a poco più di un metro da terra. Aron, che non ha informato nessuno su dove sarebbe andato a fare l’escursione, ci mette circa cinque giorni (le famose 127 ore, di cui 120 intrappolato) a decidere di amputarsi il braccio, unico modo per sopravvivere.

Foto originale scattata da Aron Ralston durante l’incidente.

Qualsiasi cosa io possa dirti non restituirà la potenza di questo libro. Aron Ralston è un personaggio unico e che sia speciale lo si capisce anche dai racconti precedenti al suo incidente, avvenuto nel 2003 quando aveva 28 anni. Nelle 350 pagine del romanzo (che per forza di cose non sono tutte “imprigionate” dal masso) Aron racconta anche altre esperienze nella natura selvaggia, mettendo in luce la sua continua ricerca del limite. E, chiariamoci, anche dopo l’incidente Aron non ha smesso di fare quello che faceva prima: ha indossato la sua bella protesi (in realtà tre diverse, a seconda dell’utilizzo) e ha continuato a cercarlo, quel limite.

Per capirci meglio:

Aron Ralston in arrampicata anni dopo l’incidente.

Durante la “permanenza” nel canyon, bloccato dalla pietra, Aron ha escogitato tutta una serie di strategie per sopravvivere il più a lungo possibile. Ha assemblato un’imbragatura sospesa per fare riposare le gambe e non stare sempre in piedi, ha provato a scalfire il masso con un coltellino (lo stesso che utilizzerà per amputarsi il braccio), ha filtrato l’urina per allungare la sua esigua riserva idrica. Senza parlare della forza psicologica che ha dimostrato, anche grazie a un continuo auto-incoraggiamento che si è imposto per non perdere la speranza. Se non ti bastasse tutto questo, considera che la lama di cui disponeva non era idonea per segare le ossa, quindi lui quelle ossa le ha spezzate, per poter lavorare solo su carne, muscoli e tendini. Fatto questo, per tornare alla vita, ha dovuto affrontare una discesa su parete (venti metri) e diversi chilometri di cammino nel deserto tra i canyon. Con un braccio appena amputato!

Mentre è intrappolato, Aron dispone anche di una videocamera con la quale registra una serie di filmati (su youtube se ne possono trovare alcuni). Saluta tutti, gli amici, i parenti e, ovviamente, dedica molto spazio ai suoi genitori. Nei rari momenti di abbandono, quelli in cui è convinto ormai di morire (nei cinque giorni perde circa 18 chili per la disidratazione), si occupa anche delle comunicazioni prettamente pratiche (oggetti da restituire, beni da donare, conti da saldare) lasciando tutte le dovute indicazioni per chi ritroverà il suo corpo.

Continuano a venirmi in mente altre cose da raccontarti per farti capire la potenza e la forza che deve avere avuto Ralston per riuscire a reagire in modo tanto determinato in una situazione così estrema. Come ti dicevo, tuttavia, questo è un libro da leggere, riportarlo qui non produce un decimo dell’effetto. Non farti influenzare dal film, inevitabilmente molto più superficiale, né dall’idea che possa trattarsi di una storia statica. Aron è fermo ma la sua cazzutissima mente gira a mille e, ti assicuro, girano anche le pagine.

Alcuni libri che ho letto e che ti consiglio se ti piace il genere avventura/bio/survivor:
Aria Sottile di Jon Krakauer
Nelle terre estreme di Jon Krakauer
La verità sul Titanic di Archibald Gracie
Wild – Una storia selvaggia di avventura e rinascita di Cheryl Strayed
Verso il polo con Armaduk di Ambrogio Fogar
Papillon di Henri Charrière

“Come sasso nella corrente” di Mauro Corona

Come già successo in passato, prima di leggere quello che sto per scrivere, ti chiedo di effettuare un enorme sforzo cognitivo e dimenticare il Mauro Corona personaggio per concentrarti solo su Mauro Corona scrittore. Anche se ormai lo saprai, sono due entità ben distinte. (Se non lo sai significa che è la prima volta che passi di qui. Scorri il post fino alla fine, dove trovi gli altri libri di Corona che ho letto, e ripassa.)

Come sasso nella corrente.
Mi è piaciuto? Ni. Per certi versi è uno dei migliori romanzi di Corona (senza scomodare quel paio di titoli che nemmeno ti vado più a citare), per altri uno dei peggiori. Ma prima vediamo di cosa parla, così sei contento e non ti vengono le emorroidi da stress.

Autobiografia in terza persona dello scrittore (o almeno lo sembra molto) fino alle ultime pagine, quando vira verso un genere misterioso/fantastico. Ecco, questa è la trama, sono stato più ermetico del solito. Ok, ok, ancora un paio di cose. Cupo e triste, questo romanzo racconta l’esistenza di un uomo che dalla vita ha avuto tutto e niente. Tutto, perché ha ottenuto il successo e la notorietà, che hanno gonfiato il suo ego e soddisfatto il suo narcisismo; niente, perché l’infelicità non lo ha mai lasciato, impedendogli di godersi anche quei momenti superficiali a fronte della ricerca di qualcosa di profondo, che non è riuscito a trovare. Ad ogni modo, è chiaro che una delle principali cause di questa sofferenza sia imputabile a un’infanzia negata, caratterizzata da una madre assente e da un padre violento. Solo dopo è arrivata la vita, che ha cinghiato il protagonista laddove non lo aveva già cinghiato il padre.
Cupo, dicevo. Triste.

Tuttavia…
Tuttavia in questo romanzo si trovano dei singoli paragrafi che sono i migliori che abbia mai letto scritti da Corona. Estrapolati dal contesto, sono poesia pura. Forse perché, in fin dei conti, vediamo la vita in modo simile. E, siccome un esempio vale più di mille parole…

Erano buone ore quando stavano assieme. Buone per ciò che restava delle loro anime. Le loro anime non erano intere. In passato le avevano divise con qualcuno che era stato allontanato. Chi viene allontanato non se ne va a mani vuote, ruba sempre un po’ d’anima all’altro. Non si esce ad anima integra da una separazione o da spartizioni di beni comuni. Il passato condiviso non si cancella, resta lì col muso duro e il pugno chiuso, a rammentarci che è esistito. Dentro al pugno un po’ d’anima dell’altro. E viceversa.

Per il resto, invece, Come sasso nella corrente non mi ha particolarmente coinvolto, la lettura è stata lenta. Questo anche per una certa ripetitività nella costruzione della frase (ecco, sono cose di cui di solito non mi accorgo, per dire) che tende a riformulare sempre lo stesso concetto, più volte, aiutandosi (troppo) spesso con elenchi di sinonimi. La sensazione è quella di una cantilena che procede per alti e bassi, senza mutamenti. Quando ti aspetti una ripetizione… taaac, arriva, puntuale.

Nel complesso ti direi di leggerlo, non tra i migliori libri dello scrittore/alpinista/scultore/showman, ma di sicuro molto diverso dagli altri. Ecco, forse è questa la cosa più interessante: mentre alcuni suoi titoli, trascorso un po’ di tempo, faccio fatica a distinguerli gli uni dagli altri (soprattutto quelli composti da racconti), questo mi rimarrà in mente. Ha una sua personalità intimista (cupa sempre, eh) ben definita. Così cupa che, in fondo, mi attira.
Ah, ho comprato anche Storia di neve, regolati.

Libri di Mauro Corona di cui ti ho già parlato:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Fabro – Melodia dei Monti Pallidi” di Francesco Vidotto

Fabro – Melodia dei Monti Pallidi è il primo romanzo che leggo di Francesco Vidotto, ma non sarà l’ultimo. Questo scrittore, che conoscevo per la vicinanza filosofica con Mauro Corona, la scenografia “dolomitica” e i post ambientalisti su Facebook, mi ha già convinto, non servono altre prove. Leggerò quanto ha scritto finora (al momento sette romanzi) e leggerò quanto scriverà. Non posso infatti far altro che ammirare chi sia in grado di parlare in modo così vero e diretto della vita, di quella semplice in particolare.
Ma andiamo per ordine, un po’ di trama.

Fabro racconta la vita semplice di un uomo, Fabro appunto, che vive per quasi un secolo, dal 1925 ai giorni nostri. Nel corso degli anni incontra la guerra, l’amore, la musica e molte, moltissime difficoltà. Eppure Fabro va avanti, tra le sue montagne, da cui trae ipirazione per le composizioni con l’armonium, e non molla. Ha due figlie, una moglie, tanti amici veri. Di più non posso e non voglio raccontarti, perché è un romanzo relativamente breve, 170 pagine, e dirti altro sarebbe svelare troppo.

Ogni argomento affrontato da Vidotto in questa narrazione ti colpisce come un pugno nello stomaco. La guerra, ad esempio, nella sua atrocità è vista dal punto di vista di chi ha paura, di chi non capisce perché debba rischiare la propria vita e i propri affetti per qualcun altro. Credo si possa parlare tranquillamente di poesia. Non ricordo un autore che, recentemente, sia riuscito a farmi immedesimare così tanto in esperienze che non ho vissuto, una per tutte la vecchiaia. E tutto avviene in uno stile molto semplice, diretto, senza fronzoli. La semplicità della natura e delle montagne, riportata sugli uomini. La capacità di sintetizzare la vita nelle sue caratteristiche e bisogni elementari.

Ti consiglio questo libro senza alcun dubbio. È una lettura che è in grado di insegnarti qualcosa (e già questa è una rarità), ma soprattutto è in grado di farlo attraverso una vita che, probabilmente, non vivrai, e questa è una cosa davvero difficile.

P.S. Sto sempre leggendo i Cento racconti di Ray Bradbury, dammi tempo e arriverò a parlarti anche di quello.