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“Il grande libro di Stephen King” di George Beahm

Sto per parlarti de Il grande libro di Stephen King di George Beahm ma, soprattutto, sto per scrivere una lettera d’amore. Tu lo sai bene quanto King sia importante per me. È sempre lì, che mi segue, che mi accompagna. È lì da quando ho cominciato a leggere davvero, con Gli occhi del drago (una scelta consapevole, non un’imposizione scolastica). È lì dal primo film horror che ho intravisto, quasi di nascosto. È lì dal primo libro che non ho potuto aprire (It) perché «sei troppo piccolo per quello». Come un parente, come un amico. Come un’eterna ispirazione. Mi ci sono laureato, con King (e non nel senso metaforico). Ho letto tutto, ma non tuttissimo (indietro: Il talismano, La casa del buio, La storia di Lisey) perché ho paura di cosa non-succederà dopo, ho paura che si possa fermare la ruota del Ka.

Ancora, non credo di essere stato chiaro.
Avrei voluto essere Mick Jagger, sì. Cantare su un palco, adorato come una divinità. Vivere una vita pienissima, mentre tutti si chiedono come io faccia a essere ancora vivo, tra droga, drammi ed eccessi.
Avrei voluto essere uno di quegli attori bravi e irresistibili. Un Robert Redford, un Brad Pitt. Uno di quelli che non devono “chiedere mai”.
Ma non avrei voluto nascere al posto di Stephen King, quello no. Mi sarebbe piaciuto, piuttosto, essere un suo amico, un vicino di casa. Quello con il quale condivide il pranzo della domenica, con cui beve una birra sotto il portico in una calda serata estiva. Quello che ha l’opportunità di apprendere dal Re. Perché io King lo ammiro davvero. Sono il suo fan numero uno (Annie Wilkes style).

Per inciso: lo so, lo so, che c’è tutta una pletora di pseudoletterati frustrati che ritiene King materiale da bancarella o da supermercato. Evidentemente non l’hanno mai letto. In ogni caso, per riassumere quello che penso di loro, ci sta molto bene una citazione da Scent of a woman del grande Al Pacino: «Dovunque siate laggiù… andate a fare in culo!»

Tutto questo per dire cosa? Te lo starai chiedendo, giustamente.
Tutto questo per dire che George Beahm, con il suo supermegamaxitomo da 640 pagine (scritto nemmeno-troppo-grande, avrebbero potuto essere 1000), ci è riuscito abbastanza bene a farmi sentire quel vicino di casa, quell’amico. Non lo dico così per dire, è la prima volta che un saggio su King mi fa questo effetto.

Di cosa parla Il grande libro di Stephen King? Di tutto, semplicemente. C’è la storia della vita di King, le interviste, indicazioni sulle edizioni da collezione, filmografia con aneddoti vari, siti internet e tante, tantissime immagini in bianco e nero (oltre a un inserto a colori con le tavole di Michael Whelan su La Torre Nera – sito dell’artista: MichaelWhelan.com).

Beahm è riuscito a emozionarmi anche dove è “già stato detto tutto”. Mi riferisco all’avvio della carriera del Re, quando riesce a vendere il suo primo (ma non primo, in realtà) romanzo, Carrie. Con King che risponde trafelato al telefono, nella scuola dove insegna, perché sa che la moglie Tabitha potrebbe chiamarlo solo per due motivi: è successo qualcosa a uno dei figli oppure è arrivato il telegramma di un editore (ricordiamolo: in quel periodo i King vivono in una casa mobile, senza linea fissa, Tabitha deve usare il telefono dei vicini).
Il resto, poi, è davvero storia.

Beahm intervista – e riporta interviste di – chiunque abbia a che fare con King. La più inaspettata è quella a Terry Steel, l’uomo che ha progettato e costruito la ringhiera e il cancello della casa di Bangor. Quello con i pipistrelli, per capirci. È interessante perché non è “gossip”, ma un riepilogo di quelle che sono le richieste e le esigenze pratico/artistiche di una famiglia di artisti (i King scrivono, tutti) e un loro punto di vista sulla quotidianità.
Tra le altre interviste, ci sono quelle agli amici, ai compagni di università, ai collaboratori, faccendieri vari, illustratori e tanti, tanti altri.

Ho scoperto che, oltre al noto e ufficiale StephenKing.com, esiste un sito creato da un fan svedese nel 1996 e riconosciuto dal Re in persona: LiljasLibrary.com. C’è tutto un mondo – enorme – fuori dall’Italia che vive di Stephen King. Librai che si occupano solo di prime edizioni e rarità del Re (uno su tutti il Betts Books).

Preso da frenesia irrefrenabile, ho acquistato pochi giorni fa un’edizione limitata di Night Shift (da noi pubblicato come A volte ritornano) della Cemetery Dance. La CD è di proprietà di Richard Chizmar, lo scrittore con il quale King ha scritto la serie di Gwendy (è appena uscito L’ultima missione di Gwendy – ovviamente l’ho già ordinato e te ne parlerò). La CD si occupa, tra le altre cose, di riproporre i romanzi di King in edizioni di pregio, numerate e illustrate. A proposito, Night Shift è illustrato da Glenn Chadbourne (GlennChadbourne.com) che, ovviamente, è presente ne Il grande libro di Stephen King, intervistato dallo stesso Beahm.

Devo fermarmi, ma potrei andare avanti in eterno. È una serie infinita di ramificazioni, quella che propone Beahm. A dirla tutta, è anche ben confezionata. La copertina gommosa e il piatto delle pagine in (quasi) rosso sangue mi fa venire voglia di mordere il libro. Ho divorato un saggio come se si trattasse di narrativa, che altro dire? Se ami King, devi avere questo volume.

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)

I fumetti (sempre solo quelli dii cui ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)
Il grande libro di Stephen King di George Beahm (2021)

“Stephen King sul grande e piccolo schermo” di Ian Nathan

Per gran parte questo Stephen King sul grande e piccolo schermo, di Ian Nathan, è stato un gigantesco viaggio amarcord nella mia infanzia e adolescenza. Mi sono sentito come quando ritrovi un vecchio album di foto, dimenticato in un cassetto, e riscopri momenti della tua vita andati persi nel tempo. Una sensazione alla Stand by me, per capirci. Ecco.

Un lavoro titanico, deve essere stato un lavoro titanico. Io lo so bene.
Stacco, flashback.

Mi sono laureato nel 2010, il titolo della mia tesi era Stephen King Audiovisivo (seguito da un sottotitolo blablabla che non ricordo). Anni e anni di letture di libri e visioni di film condensati in poche pagine (come se si potesse davvero riassumere l’enorme universo narrativo del Re). Una comparazione divisa per macrotemi tra romanzi, racconti e trasposizioni varie. Un lavoro titanico, appunto, anche se molto dilatato nel tempo. Ho iniziato a leggere Stephen King a dodici anni (Gli occhi del drago) e non ho più smesso. In realtà, a voler essere precisi, il primo film horror che ho visto, a circa otto anni, è stato Unico indizio la luna piena, quindi ancora precedente alle mie letture. Fine del flashback.

Alcune locandine di film tratti da opere di King.

Ian Nathan analizza ogni singola produzione e, in un paio di pagine per ognuna (quattro/sei per le opere maggiori), ne racconta la genesi e gli aneddoti più curiosi. Un lavoro volutamente e necessariamente di superficie (ci sono interi libri dedicati a singoli film, vedi Shining) ma molto molto interessante, soprattutto per quanto riguarda le produzioni minori – i b-movies tanto amati da King – delle quali spesso si conosce poco o nulla. Tutto questo mi ha riportato indietro, alle VHS da 180/240 minuti, alle programmazioni notturne, al videoregistratore (alias The Mangler) che si impianta e rovina scene fondamentali, alla speranza che il palinsesto non subisca ritardi (altrimenti ciaociao finale). Che tempi, altro che Netflix, quella sì che era sofferenza vera. Il timer indicava 2 ore e 59 minuti e, mentre un Brivido ti correva lungo la schiena, potevi solo sperare che il film terminasse nei 4/5 minuti extra di nastro. Quasi mi commuovo.

Da: Pet Sematary – Carrie – It – Misery

Quello che risulta evidente, leggendo questo volume, è come la produzione principale delle trasposizioni, con il tempo, si sia spostata (purtroppo, ma io sono di parte) dal cinema alla tv, con il sopravvento della serialità. A King non dispiace, è sempre stato molto più aperto di me, in questo senso. Non starò qui a discutere di questo, l’ho già fatto in Perché le serie tv sono i maccheroni Barilla e i film (alcuni) le tagliatelle tirate a mano della nonna, esplicitando tutti i miei malumori a riguardo.

Il dato semi-aggiornato di Nathan (è un valore quasi incalcolabile, considerando le produzioni secondarie e i lavori in corso) parla di 65 film e 30 produzioni televisive. Mi sono accorto di aver visto praticamente tutto fino al 2010 (che caso…) e di aver perso qualcosa negli anni successivi. Questo soprattutto per quanto riguarda le serie, non tanto per l’ostilità palesata sopra, quanto perché sono distribuite su più piattaforme ed è diventato impossibile stare al passo senza dover sottoscrivere diciotto abbonamenti diversi. Vedrei volentieri Castle Rock, che, a quanto ho capito, pare essere un omaggio riuscito abbastanza bene.

A breve ti parlerò anche de Il grande libro di Stephen King, di George Beahm, nel quale mi aspetto di trovare, vista la considerevole mole, parecchie cose che ancora non so (difficile, ma non impossibile, sebbene io mi ritenga il “fan numero uno” del Re).

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)

I fumetti (sempre solo quelli dei quali ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)

“The Stand / L’ombra dello scorpione” di Stephen King, Roberto Aguirre-Sacasa, Mike Perkins

Quale miglior periodo dell’anno per parlare del Male? Adoro il Natale…
Detto questo, ho letto L’ombra dello scorpione (romanzo) non meno di quindici anni fa, non ricordo esattamente in che periodo della mia vita. Ho visto anche la serie tv (rigorosamente quella anni ’90, non l’attuale), lunga “ben” sei ore (all’epoca – beata innocenza – una durata simile pareva un’infinità). Insomma, sul fumetto partivo preparato.

Due note, però, sull’Opera originale del Maestro. L’ombra dello scorpione è, a mio parere, uno dei suoi romanzi più riusciti, questo è indubbio. Da sempre, tra lettori e fan del Re, si affrontano le due fazioni: quella che ritiene che sia il miglior lavoro di King e quella che, invece, gli preferisce IT. Se dovessi per forza schierarmi (e non si capisce perché, mica è un tempo sul giro, calcolabile matematicamente) credo lo farei con la seconda. IT mi ha sempre mosso qualcosa dentro, forse per tutta la questione riguardante l’adolescenza, della quale L’ombra dello scorpione è privo. Quest’ultimo ha, però, tutte le caratteristiche necessarie (il patriottismo, la “nascita di una nazione”, la ricostruzione, la protezione dei valori tipici) per essere candidato come “Il Grande Romanzo Americano”. Certo, c’è chi storcerà il naso nel vedere il nome di King insieme a quelli di Faulkner o Steinbeck, ma ricordiamoci che King è ancora vivo. Ne riparleremo a puzza sopraggiunta. È così che si fa, dalle nostre parti.

Un po’ di storia editoriale. Inizialmente il fumetto esce per la Marvel in 31 albi tra il 2008 e il 2012. Direttore artistico, ovviamente, Lui. Sceneggiatura di Roberto Aguirre-Sacasa, disegni di Mike Perkins e colori di Laura Martin. Bompiani raccoglie gli albi, una prima volta, in sei volumi tra il 2010 e il 2016. Li raccoglie, nuovamente, in un’edizione in due supertomi da 450 pagine l’uno – quella che ho letto – nel 2021. Packaging inappuntabile, bisogna dirlo: carta pregiata e rilegatura a prova di spaginamento (io, comunque, sono malato e non apro mai il volume a più di 40°). Uscirà, magari tra qualche anno, un Omnibus da 18 kg con le 900 pagine riunite per lettori dai bicipiti d’acciaio? Per ora non si sa.

A differenza dell’adattamento de La torre nera, che si ispirava ai romanzi ma vagava random per strade non prestabilite, L’ombra dello scorpione segue la storia per filo e per segno, tanto da crearti una vera e propria sovrapposizione cerebrale tra le immagini e lo scritto (questo significa che, a breve, non distinguerò quello che ho immaginato leggendo il romanzo da quello che ho visto nei disegni di Perkins). E ciò mi piace molto, lo devo ammettere, perché in generale mal sopporto le libere interpretazioni (tradotto: se vuoi fare qualcosa di tuo fallo, non sfruttare l’opera e l’ingegno di un altro). Lo stile è quello del fumetto americano contemporaneo, che prende tutto dal cinema e lo riproduce su pagina. Primi piani, dettagli, interruzioni, e via dicendo. De gustibus, in realtà non mi è ancora chiaro se questa cosa mi piaccia o meno, ma qui funziona davvero molto bene perché la scrittura di King è notoriamente parecchio “filmica” (l’importante, in un discorso più ampio, è che non diventi il solo e unico modo di fare fumetto).

Poca trama, perché se sei qui è probabile tu sappia già di cosa stiamo parlando.
Un virus – Captain Trips – sfugge a un laboratorio (ehm…) e uccide il 99% della popolazione (e l’1% sopravvissuto viene, per farla breve, messo ulteriormente alla prova da Darwin). Tra i superstiti nasce una sorta di spiritualità, che si mostra durante il sonno. Qualcuno sogna Mamma Abigail, una tenera ultracentenaria che vive in una fattoria, e qualcun altro Randall Flagg (L’uomo Nero, l’eterno nemico). I due schieramenti si organizzano, la guerra è prossima.

Randall Flagg
Randall Flagg

Che poi guerra non è, diciamolo. È l’eterna ruota del Ka, che gira, contrapponendo Bene e Male, ragno e tartaruga. È l’Universo che si morde la lingua all’infinito. Non a caso, la ricostruzione della società è sempre, in un certo modo, l’inizio della fine. L’Uomo che, nel Bene, si unisce ai suoi simili, ma che porta in sé il seme della propria insuperabile imperfezione. Il seme del Male, appunto, l’autodistruzione.

Se non hai letto il romanzo, dovresti leggerlo – è chiaro! – ma questo è uno di quei rari casi in cui la trasposizione (cinematografica o fumettistica che sia) è riuscita davvero bene. Non si può dire, peraltro, che ci siano stati tagli rilevanti, c’è praticamente tutto. Se sei pigro, se non hai voglia di prenderti la briga di immaginare perché hai il cervello moscio, la graphic novel è la soluzione che fa per te.
Se il romanzo l’hai letto, invece, credimi, non rimarrai deluso. Si tratta davvero di un bel ripasso, di quelli buoni, che funzionano e che non portano via (rubano) niente dalla sacca dei ricordi, anzi.

Comparsata di Richard Bachman, alias Stephen King
Comparsata di Richard Bachman, alias Stephen King

 

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)

E i fumetti:
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)