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“In fondo alla notte” di Dean Koontz

In fondo alla notte viene pubblicato per la prima volta nel 1979, Koontz in quell’occasione utilizza uno dei suoi pseudonimi: Leigh Nichols. Il romanzo viene poi rivisto intorno al 1995 e, questa volta, esce con il nome di Koontz.

Alex, un investigatore in vacanza a Kyoto, incontra per caso una ragazza scomparsa anni prima. La ragazza, Lisa, era la figlia di un senatore, ex-cliente di Alex, che l’investigatore non era mai riuscito a ritrovare. Il problema è che Lisa è convinta di chiamarsi Joanna e ricorda un passato totalmente di diverso da quello che Alex conosce. Joanna/Lisa ha incubi ricorrenti, il protagonista degli incubi è un dottore che la tiene legata a un lettino e ha una mano meccanica…

Manipolazione della mente, distorsione del passato, ipnosi… in questo datato romanzo di Koontz compaiono molte delle caratteristiche che poi si rivedranno nei suoi libri successivi, perlomeno in molti di quelli che ho letto io. Un romanzo veloce e molto semplice – purtroppo nel senso negativo del termine – che non rimarrà tra i miei ricordi a lungo.

Descrizioni semplici – non sto abusando del termine, è quello che calza meglio – unite a soluzioni semplici. La nota ricetta di Koontz (thriller, un pizzico di horror e un po’ di romanticismo, dicono) non mi è mai risultata così indigesta. A tratti siamo vicini al romance, con tanto di adolescenziale attesa dei protagonisti che, per fare sesso, aspettano di dirsi “ti amo”.
E poi spiegoni, spiegoni ovunque. Nei dialoghi, nei sentimenti, nelle situazioni. Quasi che il lettore medio di Koontz possieda un QI sotto la norma.
Mi dispiace essere così negativo, ma questa sembra l’opera prima (ma Koontz scrive dal ’68) di un autore che, in Italia, non verrebbe nemmeno pubblicato.

È incredibile come, solo quattro anni dopo, Koontz abbia scritto un romanzo di gran lunga superiore: Phantoms!. È altrettanto incredibile, tuttavia, come Koontz venga spesso associato a King, le cui prime opere sono tutte eccezionali (anche le vere prime opere, quelle scritte prima di Carrie sotto lo pseudonimo di Bachman).

Non smetterò di leggere Koontz, perché ho già acquistato altri suoi libri (spero migliori). Tuttavia inizio a pensare sia un autore che abbia prodotto troppo. All’americana, per capirci.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
In fondo alla notte (1979)
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Lampi (1988)
Cuore Nero (1992)
L’ultima porta del cielo (2001)
Il luogo delle ombre (2003)
Velocity (2005)
Nel labirinto delle ombre (2009)

“Le notti senza sonno” di Gian Andrea Cerone

Una decina di giorni fa IBS.it mi ha inviato una trentina di pagine in anteprima di Le notti senza sonno di Gian Andrea Cerone. Il “patto di marketing” era più o meno questo: tu leggi l’incipit e invii un commento a Guanda e in cambio, al prossimo ordine di libri, noi ti aggiungiamo il romanzo in omaggio. Questo è successo perché io sono un buon cliente – tipo adamantio – di IBS che, a mio parere, rappresenta un ottima alternativa allo strapotere di Amazon. Sarei curioso di sapere come funzioni la cosa, cioè cosa se ne facciano del mio commento, ma temo che questo rimarra per sempre avvolto in un giacobbiano mistero.

Il suddetto commento, in realtà, non era stato poi positivissimo. Questo non tanto per colpa di Cerone, quanto perché io sopporto poco i gialli e, in generale, leggo anche pochi autori italiani. Le due cose insieme, quindi…
Sono prevenuto? Sì, lo sono.
Il cadavere, chissà chi è stato, l’intrigo, eccetera. Diciamolo: un giallo non è quel romanzo che ti ricordi, ha il fascino di un cruciverba o di un sudoku. Ti diverte mentre lo fai-leggi, ma poi lo dimentichi. Poco stimolo alla riflessione (infatti in Italia va tantissimo). Idem per le trame nostrane (non solo dei gialli): a forza di fattorie e fratelloni è richiesta la semplificazione più assoluta, idonea per un pubblico spesso lobotomizzato.

Detto questo, ho inserito il mio ordine – per la cronaca, ho comprato la Trilogia del Drive-in di Lansdale – e IBS ha mantenuto la promessa. Mi aspettavo un libretto e, invece, è arrivato un tomo dalle dimensioni bibliche di quasi 600 pagine. Un grande omaggio per me, insomma, e una prova d’esordio bella impegnativa per l’autore.

Dai, stacco con un po’ di trama. Sigla, siparietto.
Ambientazione: Milano. Periodo: appena prima del lockdown 2020, ombra del Covid inclusa. Durata temporale: otto giorni.
In un cassonetto viene ritrovato il cadavere (taaac) di una donna, le hanno amputato una mano e espiantato i bulbi oculari. Contemporaneamente, un noto gioielliere e commerciante in pietre preziose viene assassinato durante una rapina. I due casi sono affidati al commissario Mandelli e all’ispettore Casalegno. Il primo è un marito devoto con molta esperienza sul campo, è il razionale, per capirci. Il secondo è un beccafighe latin lover parecchio impulsivo, l’eroe. Attorno a loro, una squadra di colleghi composta anche da esperti informatici e anatomopatologi. Mi fermerei qui, trattandosi di un giallo, considera però che l’intreccio, proseguendo nella lettura, diviene parecchio articolato.

Sulle prime sono rimasto un po’ infastidito dalla presenza del Covid, perché è quella caratterizzazione temporale che ultimamente hanno tutti molta fretta di inserire in qualsiasi opera (l’ha fatto perfino King in L’ultima missione di Gwendy). Devo dire, però, che Cerone non esagera in questo e lascia la pandemia sullo sfondo, come utile conto alla rovescia prima dell’imminente lockdown. Il Covid ha quindi una funzione specifica, cioè quella di velocizzare le indagini. Una scelta furba e intelligente per imprimere un maggior ritmo alla storia.

E tu adesso mi chiederai: «Quindi, ti è piaciuto o no Le notti senza sonno
L’ho letto in una settimana scarsa, se non mi fosse piaciuto ci avrei messo molto di più. È un romanzo scorrevole, nonostante la mole, con capitoli brevi. Si presta bene a riempire i “cinque minuti liberi” in accappatoio appena uscito dalla doccia o mentre aspetti che cuocia la pasta. Si fa leggere.
Ho apprezzato lo stile di Cerone, la ricerca dei cliché del genere giallo/poliziesco più vicini alla produzione cinematografica/televisiva che al reale vero e proprio. L’ho trovato molto italiano nel suo volermi convincere della presenza di un serial killer (al primo omicidio sono già tutti sicuri che non sarà l’ultimo) ancora prima che le prove e i fatti lo confermino. Credo che la cosa sia intenzionale, che l’autore ami giocare. Come quando decide di cambiare il punto di vista del narratore, generalmente onniscente, e per un po’ smette di mostrarti chi siano i personaggi all’inizio di un capitolo oppure quando non ti consente di vedere i messaggi ricevuti su un telefono. È come se ti dicesse: «Ehi, io sono qui e so esattamente come dovrebbe funzionare, ma a volte me ne frego». Mi piace il senso di sfida che trasmette questo tipo di scelta.

Se ami i gialli Le notti senza sonno ti piacerà di certo. Io intanto ho tanta roba nuova sulla mia mensola. Oltre a Lansdale, c’è Pasolini, Orwell, Dick e tanto Hemingway. Ho recuperato anche la saga di Narnia

“L’apprendista di Goya” di Sara Di Furia

Arrivo decisamente in ritardo su L’apprendista di Goya (2019), avevo in programma di leggerlo da parecchio tempo ma – tra una pandemia e l’altra – ho rimandato a lungo. Un po’ perché desideravo procurarmi il libro a una delle presentazioni dell’autrice (che nel frattempo ho avuto il piacere di conoscere) e di presentazioni, nel 2020, non è che se ne potessero fare tante, un po’ perché l’arte pittorica è da sempre, per me, un argomento abbastanza ostico (un modo ben costruito per dire che sono una capra).
Alla fine, comunque, ho approfittato del Salone del Libro di Torino (dietro l’angolo… perché cercare a Brescia il libro di una scrittrice bresciana?) e sono riuscito ad averlo con tanto di dedica. Peraltro della Di Furia ti avevo già parlato de La regina rossa, romanzo storico-gotico di atmosfera Edgarallanpoiana (no, non il rapace, il maestro dell’horror).

L’apprendista di Goya si colloca ancora nel genere romanzo storico – meglio, thriller-storico – ma questa volta la trama non ha nulla a che vedere con il soprannaturale. A fare gli “onori di casa” sono omicidi, sangue, arte, sangue, intrighi e… sangue. Non troppo eh, non è un romanzo splatter, chiariamoci, ma quanto basta per tenere alta la tensione e il livello percepito di pericolo.

1791, Madrid. Il giovane Manuèl Alvèra si trasferisce dal colorificio di famiglia allo studio del pittore Francisco Goya, con l’incarico di occuparsi della produzione dei colori per il noto artista. In cambio, Goya si impegna a prepararlo per l’esame di ammissione alla Real Accademia di San Fernando. Mentre tra i due si instaura un complesso rapporto maestro-discepolo (reso difficile dal carattere instabile di Goya), a Madrid scorrazza libero e felice un misterioso serial killer, el diablo, che prende di mira solo gli artisti – diciamo – “birboni” (cioè quelli che dipingono le cose sconce, fregandosene dell’Inquisizione). Manuèl comincia a sospettare di tutti, a partire dal proprio maestro. Mi fermo.

Tutta la storia è narrata in prima persona da Manuèl e questo ti butta direttamente dentro lo studio di Goya. Sei lì anche tu, a creare i colori insieme al protagonista, a cercare di capire chi sia l’assassino, a tremare per quello che penserà il maestro di te. Se ciò non fosse sufficiente a coinvolgerti, c’è persino un po’ di erotismo qua e là, che non guasta mai (lo diceva pure Bukowski, ma non so se vale, come fonte).
Per scrivere questo romanzo deve essersi reso necessario un grande lavoro di ricerca, in diversi campi. Oltre a quello più evidente, cioè quello storico, vi è poi tutta l’attenzione dedicata alla composizione dei colori, alla descrizione dei pigmenti, e tutto ciò che riguarda la pratica della pittura.

Nonostante la mia scarsa conoscenza artistica (casomai non si fosse capito), questo romanzo mi ha coinvolto molto, tanto che ho terminato in soli due giorni le sue 300 pagine. Ti dirò di più: ho addirittura cercato Goya su Wikipedia, per fare un breve ripasso della sua vita e delle opere. Ora, questo per te potrebbe non significare niente, ma ti assicuro che è un evento veramente straordinario.
Te l’avevo già promesso dopo aver letto La regina rossa (poi è andata diversamente), ma te lo ripeto: recupererò anche Jack.

“Velocity” di Dean Koontz

Velocity è un thriller molto godibile, che si legge rapidamente nonostante le 400 pagine abbondanti. Sono contento, davvero. Dopo quella cosa orribile che è stata L’ultima porta del cielo temevo il peggio, invece Koontz è riuscito a farmi ricredere. Peraltro, essendo uscito nel 2005, Velocity è anche il romanzo più recente che ho letto di questo autore (gli altri li trovi a fine post). Lo piazzerei al secondo posto, dopo Phantoms!, tra i miei preferiti. Ho grandi aspettative per Intensity, del quale tutti parlano benissimo, e che è già sulla mia mensola.

È l’idea di base a funzionare, l’incipit, direbbero i “tecnici”.
Billy è un tipo qualsiasi, fa il barista e ha una compagna che, a seguito di una reazione allergica (te la faccio semplice, in realtà si tratta di un avvelenamento alimentare), si trova in un coma semi-profondo (in pratica: sogna e parla ogni tanto, dicendo cose apparentemente senza senso). Un giorno Billy esce dal bar e trova un biglietto sul parabrezzo della sua auto. I biglietto dice che, se lui non farà nulla, morirà un’adorabile insegnante e se, invece, avviserà la polizia, morirà un’anziana filantropa. Billy ignora il messaggio e muore un’insegnante. Seguirà una secondo biglietto, un terzo e così via, fino a quando Billy sarà talmente coinvolto da temere per la vita della propria compagna. Mi fermo.

Ripeto: un romanzo che mi ha coinvolto. È puro intrattenimento, chiaro, ma è davvero divertente tentare di capire, insieme al protagonista, chi possa essere l’assassino. Non credo si possa parlare di “giallo” (i puristi non sarebbero d’accordo), ma il confine tra questo genere e il thriller, qui, è molto sottile.

Un’ultima curiosità, prima che mi dimentichi. A badare a Barbara, la compagna di Billy, c’è un dottore che vorrebbe “staccarle la spina”. Questo è un dettaglio del tutto marginale per la trama del romanzo, eppure Koontz ci tiene a spiegare come il dottore in questione sia un sostenitore della bioetica utilitaristica. Il tema era molto sentito anche in L’ultima porta del cielo, evidentemente è qualcosa che tocca profondamente l’autore. Sarebbe interessante capire il perché, studierò.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Lampi (1988)
Cuore Nero (1992)
L’ultima porta del cielo (2001)
Il luogo delle ombre (2003)
Velocity (2005)

“Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti

Hai visto che sono stato di parola? Ti avevo detto che avrei letto più autori italiani e, nel giro di un mese, sono già a tre. Dopo Cognetti e Carofiglio, oggi ti parlo di Ilaria Tuti e del suo romanzo Fiori sopra l’inferno (2018), un thriller ambientato tra le Dolomiti friulane [della Tuti ti avevo già accennato qualcosa anche QUI, a proposito del suo racconto Above® per il Trofeo RiLL]. Sebbene questo libro sia stato pubblicizzato come l’esordio della scrittrice, so che esistono almeno due suoi romanzi precedenti, Isabel e La ragazza dagli occhi di carta, che credo proprio andrò a recuperare.

Non ti racconterò molto della trama di Fiori sopra l’inferno, rimarrò sul vago, poiché, come sai, ritengo che dei gialli/thriller non si debba mai svelare troppo. Per semplificare, potrei dirti che siamo nella zona della caccia al serial killer, sebbene sia, appunto, una semplificazione. La protagonista indiscussa del romanzo è Teresa Battaglia, commissario e profiler incaricata delle indagini. Teresa è una donna forte, che trae nutrimento dalle proprie debolezze. Un essere umano completo e complesso, insomma, con tutto quello che ne consegue a livello caratteriale. E poi c’è la montagna, imponente scenografia di tutta la vicenda, con la natura che esce letteralmente dalle pagine (e con questo, per conto mio, la storia aveva già vinto).

Non oso immaginare quanto lavoro di ricerca si sia reso necessario per scrivere questo libro. Se per l’ambientazione geografica l’autrice gioca in casa (è di Gemona del Friuli), per la criminologia e la psicologia sono evidenti le competenze acquisite da studi approfonditi (nelle note, al termine del romanzo, la Tuti cita anche un interessante studio di René Spitz sulla deprivazione sensoriale nei neonati, che mi andrò sicuramente a leggere). Io, poi, subisco terribilmente gli effetti della fascinazione del Male sulla mente umana, quindi quando il discorso si sposta sui serial killer non posso far altro che diventare molto curioso. Anzi, andrò a rivedermi il saggio I serial Killer, per stare in tema.

Ho letto le 360 pagine di Fiori sopra l’inferno in tre giorni. È uno di quei romanzi che ti tiene lì incollato per “partecipare” alle indagini, per scoprire il colpevole e la storia che nasconde. Intrattenimento e narrativa pura al 100%. Pur non amando le serie letterarie (sai cosa penso della serialità in generale), so che esistono almeno altri quattro libri aventi come protagonista Teresa Battaglia e li leggerò. Questo perché ho trovato la trama pienamente autoconclusiva, non mi ha dato l’impressione di essere una “trappola commerciale”. Nella quarta di copertina c’è l’endorsement di Donato Carrisi, autore del quale non ho letto ancora nulla (ho visto però il bel thriller montano di cui è regista, La ragazza nella nebbia) e che è nella mia lista da parecchio tempo. Quindi sai già di chi ti parlerò a breve…

P.S. Ilaria Tuti è stata scoperta da Longanesi grazie al torneo letterario IoScrittore, divenendo poi l’esordiente più venduta del 2018 (tradotta in 25 paesi). Quello del gruppo GeMS è un torneo molto divertente. Non aggiungo altro. Per scaramanzia.

“Ragionevoli dubbi” di Gianrico Carofiglio

Regionevoli dubbi (2006) è il terzo romanzo (per ora di sei) della serie dell’avvocato Guerrieri, scritta da Gianrico Carofiglio. No, in genere non si inizia a leggere una serie dal terzo episodio, ma quando ho trovato questo libro al mercatino dell’usato non sapevo facesse parte di una serie (c’è qualcosa che non ne fa parte, ultimamente?). Comunque, avendo, come sai, intenzione di leggere più autori italiani, e essendo Carofiglio uno scrittore da sei milioni di copie vendute (nel mondo), non ci ho pensato due volte e l’ho comprato.

È un thriller giudiziario, quindi ti racconto poca trama altrimenti perdi tutto il gusto della lettura.
Fabio Paolicelli, di ritorno dalle vacanze con moglie e figlia, si ritrova la macchina imbottita di cocaina (40 kg). Lo fermano, lo arrestano. Dopo un primo fallimentare processo, nel quale viene assistito da un avvocato che gli è stato imposto, si rivolge all’avvocato Guerrieri, ovviamente dichiarandosi innocente. Guerrieri, oltre a difenderlo, si prende una sbandata per la bella moglie orientale. Mi fermo.

Nonostante il mio acquisto impulsivo (o compulsivo), posso tranquillamente dirti che, sebbene mi mancassero i primi due episodi della serie, non ho avuto alcun problema di lettura (ti dirò di più: che il romanzo facesse parte di una serie l’ho scoperto cinque minuti fa). Meglio così, anche se, potendo scegliere, mi sarei diretto verso qualcosa di più vicino ai miei gusti, dello stesso autore, tipo Le tre del mattino. Come sai, non amo né le serie né i gialli, ma non è certo colpa di Carofiglio…

[Un inciso. Non amo i gialli perché hanno, per forza di cose, una trama “usa e getta” che perde qualsiasi attrattiva una volta terminato il libro. Non amo le serie (sia su schermo che su carta) perché mi piace ricevere stimoli nuovi, non cerco la quiete cerebrale. Ma di questo te ne ho già parlato approfonditamente QUI.]

Torniamo a Ragionevoli dubbi. L’ho letto in due giorni, quindi è parecchio scorrevole. Eliminando la trama, la forza del romanzo risiede tutta nel personaggio Guerrieri. Un uomo insicuro e ironico, che sa il fatto suo lavorativamente, ma dà sempre l’impressione di stare agendo un po’ a caso. Alla fine non può che risultare simpatico, nella sua debolezza, e rendere facile l’immedesimazione.

Quindi? Quindi leggerò ancora Carofiglio, magari evitando le serie e i gialli. Questo perché mi sarebbe piaciuto studiare ancora un po’ l’uomo Guerrieri e il suo modo di rapportarsi con il mondo, invece di entrare nei percorsi giudiziari e nei legalismi. Ma questo è un gusto mio, perché la costruzione della storia è ineccepibile, perfettamente a norma con il genere. Magari recupererò proprio Le tre del mattino.

“Sfera” di Michael Crichton

Sfera è il quarto romanzo di Michael Crichton che leggo. Sto procedendo in un ordine abbastanza casuale anche se, a voler essere pignolo (e forse anche un po’ psicopatico, ma la cosa non mi spaventa), dovrei cominciare dall’inizio, cioè dai romanzi che Crichton ha scritto con lo pseudonimo di John Lange (il primo, del 1966, è Non previsto dal computer). Ciò per dire che, come forse ti ho già anticipato, intendo leggerli tutti e Sfera non ha fatto altro che rafforzare questa mia convinzione.

A differenza di Jurassic Park, del quale avevo già visto il film di Spielberg (bello, ma comunque inferiore al romanzo), con Sfera sono partito a mente abbastanza libera. L’abbastanza è d’obbligo perché, in realtà, anche da questo libro è stato tratto un film, omonimo, nel 1998 (di Barry Levinson con Dustin Hoffman, Samuel Lee Jackson e Sharon Stone) del quale però non ho mai visto la fine. Non perché non fosse coinvolgente, capiamoci, quanto perché lo mandano sempre e solo su Rete 4 e ciò si traduce o in dieci ore di pubblicità (fascia pomeridiana) o nel fare l’alba con i Bellissimi che iniziano regolarmente a mezzanotte (e il film dura qualcosa come due ore e mezza). Comunque, ora, lo recupererò di certo.

Della trama non posso dire molto perché, dopo il primo centinaio di pagine (su circa 380), i colpi di scena si susseguono e ti darei troppe anticipazioni (tradotto nel fichese moderno: spoilererei).
A trecento metri di profondità, sul fondo del Pacifico meridionale, viene trovata una gigantesca astronave, precipitata almeno da trecento anni. Sul posto vengono inviati, oltre ai consueti elementi dell’esercito/marina, un gruppo selezionato di scienziati. Tra questi c’è lo psicologo Norman, incaricato di controllare il benessere “interiore” dei membri della spedizione (è lui il punto di vista del lettore), il matematico Harry e la biologa Beth. Presto si scopre che l’astronave non è extraterrestre ma americana, costruita con una tecnologia ancora sconosciuta, e che al suo interno contiene un oggetto “raccattato” probabilmente nello spazio, cioè una misteriosa sfera. Mi fermo qui.

Un libro stupendo, che ho letto in nove giorni solo perché in questo periodo sono molto incasinato, ma che altrimenti mi avrebbe tenuto incollato dalla prima all’ultima pagina. Come sempre nella narrativa di Crichton a essere potente non è solo la storia, ma anche tutto quello che l’autore inserisce per rendere verosimile quanto accade. La scenografia è scientifica, documentata e ricostruita con criterio.
Ti faccio qualche esempio.
Il gruppo di scienziati deve, ovviamente, trasferirsi a vivere in strutture costruite sul fondale oceanico. Crichton ti spiega cosa succede al corpo umano a quella pressione, come si compensa l’ossigeno e tutta la procedura di decompressione. L’astronave sembra essere transitata vicino a un buco nero. Crichton ti spiega quali sono le leggi che regolano lo spazio-tempo al variare della gravità e della velocità dei pianeti. La sfera comunica in un sistema numerico. Crichton illustra i vari tipi di codice matematico, dal più complesso fino al binario. Essendo poi il protagonista uno psicologo, Crichton espone quelle che sono le basi della psicologia… e via dicendo.
La cosa incredibile è che non risulta mai noioso o pesante, le informazioni sono così intrecciate alla narrazione da divenirne parte integrante (era così anche con i dinosauri).

È puro intrattenimento, chiaro, ma è intrattenimento intelligente. Ho già recuperato Next, Congo, Punto critico e La grande rapina al treno. Non mi fermerò.

Libri che ho letto di Michael Crichton:
Mangiatori di morte (1976)
Sfera (1987)
Jurassic Park (1990)
Sol levante (1992)

“Sol levante” di Michael Crichton

Quando ti avevo parlato de Il cammino del Giappone – Shikoku e gli 88 templi ti avevo anche anticipato che sarei presto tornato in Oriente… e, infatti, eccomi qua.
[Sì, ci starebbe uno stacchetto con tipica musica locale, ma non abbiamo tutti ‘sti effetti speciali. Al limite si va a mangiare in un all you can eat. Ah, no, adesso non si può.]

Sol levante è il secondo romanzo di Michael Crichton che leggo, dopo Jurassic Park, e  sottoscrivo quanto già detto per i dinosauri: nonostante l’edizione datata che avevo tra le mani (in alcuni punti i caratteri erano finamai smangiucchiati) il libro è volato.
A onor del vero, giusto per non dire solo cattiverie di questa Edizione Club, era presente un “amico” che non incontravo da tempi immemori: il cordino segnalibro. Un piccolo dettaglio retrò ma di una comodità impagabile. Ora è raro trovarlo, ma io lo imporrei per legge agli editori. Fine dell’excursus sul cordino.

La trama è conosciuta, anche grazie al famosissimo film omonimo di Philip Kaufman con Sean Connery e Wesley Snipes, ma te ne riporto comunque un po’. Senza esagerare, è sempre un thriller/giallo, quindi…
A Los Angeles, durante una festa nel grattacielo della Nakamoto (multinazionale giapponese), una ragazza viene strangolata dopo un rapporto sessuale bello perverso come piace a noi. Incaricato di risolvere il caso è l’agente Peter Smith, al quale viene inviato in supporto John Connor (no, non è tornato indietro nel tempo => Terminator), esperto di tutto ciò che riguardi il Giappone. In ballo ci sono interessi economici che coinvolgono grosse aziende e importanti politici. Stop.

Se in Jurassic Park alla trama principale veniva associato tutto un discorso sull’utilizzo smodato della scienza, in Sol levante l’attenzione si sposta sulle strategie economiche commerciali tra USA e Giappone. Il fuoco sull’argomento è talmente mirato che Crichton ci tiene, in fondo al romanzo, a specificare che nella storia ha esternato quelle che sono le sue opinioni personali e non quelle di tutti gli informatori (un lunghissimo elenco di nomi) che l’hanno aiutato nella stesura. Negli USA il dibattito (siamo nel 1993) era infatti accesissimo. L’America si stava svendendo al Giappone? Le tecnologie dovevano essere protette dal Governo? Crichton ritiene apertamente che gli USA si siano venduti per mancanza di carattere e spirito di sacrificio, che non abbiano saputo/voluto difendersi in nome di un ideale di liberismo economico perdente, sconfitto dalla spietatezza della cultura giapponese (per la quale il commercio sarebbe ritenuto una guerra da vincere ad ogni costo).

La potenza di questo romanzo è quindi doppia, da una parte per la storia incalzante, il mistero, il thriller vero e proprio, dall’altra per gli argomenti trattati sotto la trama. Un poliziesco con molta sostanza appiccicata addosso. Certo, la scienza dei “dinosauri” era un tema universale, e di sicuro più condivisibile, rispetto al conflitto economico nippo-statunitense, ma spero di ritrovare questo tipo di bipartizione anche nei prossimi libri di Crichton che, di sicuro, leggerò.

“La settima fata” di Angelo Paratico

Di Angelo Paratico ti avevo già parlato dell’interessante saggio Leonardo da Vinci – Lo psicotico figlio d’una schiava, dedicato al noto inventore e artista del Rinascimento. Ora, invece, ti sto per parlare de La settima fata, che non è un saggio, né uno scritto politico (a differenza di quanto la copertina potrebbe far pensare), ma un’opera di narrativa che intreccia lo spionaggio con il poliziesco, senza tralasciare una strizzata d’occhio a dei risvolti amorosi e quindi, inevitabilmente, ai relativi rapporti umani.

Raccontarti la trama di questo romanzo senza svelarne i colpi di scena è praticamente impossibile ma, come puoi facilmente immaginare dall’immagine qui sopra, c’è di mezzo l’Assassination (concedimi questa citazione dal mitico film che ho rivisto l’altra sera, con l’altrettanto mitico Charles Bronson) di Xi Jinping, il presidente della repubblica popolare cinese. Detto questo non ti anticipo altro ma, nel corso della vicenda, avrai modo di imbatterti anche nella mafia italiana, in valigette contenenti armi scambiate Cina e Stati Uniti, in una storia d’amore insidiata da ricatti e dubbi morali e ancora tanto altro.

La settima fata si legge molto velocemente proprio per il continuo mutare degli eventi e l’evolversi rapido della situazione, non ci sono parti “stanche” e le 125 pagine del romanzo volano via in un attimo. Te lo consiglio soprattutto se cerchi una lettura d’evasione, che ti porti via con la sua azione, spesso frenetica, in un paese, la Cina, da noi spesso ancora considerato esotico a causa della poca conoscenza che abbiamo delle usanze e tradizioni di una cultura così diversa dalla nostra.

Lo so che la copertina (la bandiera cinese, Xi Jinping in primo piano, il mirino stilizzato…) potrebbe ricordarti certi mattoni politici nostrani, cioè quei libri che ti chiedi sempre chi mai li legga ancora, stavo anche io per cadere in questo misunderstanding. Non badarci, non è così. Ho letto il romanzo in un’unica “sessione”, credo che questo possa essere già indicativo riguardo al fatto che non ti troverai di fronte a una narrazione pesante, anzi.

Curiosità, cito dalla quarta di copertina:
“Un libro stampato a Hong Kong nel 2017, in 100 copie e subito ritirate, per evitare complicazioni politiche.”
Sarà vero? Sarà marketing? Temo non lo sapremo mai.

Copia ricevuta in omaggio da Gingko Edizioni.

“Unsane” di Steven Soderbergh

Strano. Così strano che nella mia città di stronzi era programmato solo per una proiezione one shot, con tanto di dissertazione da salotto intellettuale con un criminologo allegato all’evento pseudoculturale. Ecco come si presenta questo Unsane di Steven Soderbergh.

Girato completamente con un Iphone 7 plus (ci si mette un po’ ad abituarsi), con un trailer fuorviante e un ambientazione al limite del credibile, Unsane può piacere o non piacere, ma difficilmente ti lascerà indifferente. A me è piaciuto.

La trama: Sawyer Valentini, vittima di uno stalker, si sposta in una città a 400 chilometri dalla sua, cambia amici, frequentazioni, lavoro. Però lei lo vede comunque, lo vedo ovunque. L’ossessione, quella psicologica, ha traslocato con lei. Decide quindi di sottoporsi a una visita con uno psicologo dove, vittima delle truffe assicurative, verrà internata per proteggerla da se stessa (sì, negli stati uniti esiste davvero questo tipo di meccanismo, controlla). E qui lui torna, davvero, non per finta.

Il trailer era costruito in modo da farti pensare che non fosse riconoscibile dove finisse l’ossessione e dove cominciasse la realtà, nel film, invece, dopo un quarto d’ora è tutto molto chiaro. Questo è forse un peccato ma, d’altra parte, così il regista si è potuto concentrare meglio sul fenomeno dei “trattamenti sociali obbligatori” all’americana e al problema dello stalking. Sono infatti questi i due temi principali trattati. E forse a fare più paura è il primo.

C’è una bella sequenza in cui vittima e carnefice sono rinchiusi in una cella d’isolamento e lo stalker passa in rassegna tutti i lati psicologici della sua patologia, tra pianti, rassicurazioni e scatti d’ira. Credo sia il momento migliore del film, da solo vale l’intera visione.
E c’è anche qualche scena con uno splatter appena accennato.

Finisco qui perché è tardi e ho sonno. E poi, siamo sinceri, purtroppo questo film non lo guarderà quasi nessuno. Roba da cineforum.