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“Racconti bresciani” AA.VV. (Edizione 2021)

Dalla quarta di copertina:

Un’antologia che raccoglie stili e storie diverse, che narrano Brescia e i suoi abitanti. Ma non solo. Un viaggio che coinvolge presente, passato e futuro: è così riusciamo a percepire queste voci, immergendoci in piccoli stralci di vita. A volte guardando dal buco della serratura, altre spalancando la porta.

Ogni anno Historica Edizioni indice diversi concorsi gratuiti (non ci sono tasse d’iscrizione e il premio è la pubblicazione) dedicati sia a generi letterari definiti che a specifiche aree geografiche. Senza girarci troppo attorno, nel 2021 ho partecipato al concorso riservato a Brescia (la mia città, guarda caso) e ho così avuto il piacere di vedere il mio racconto Il freddo consumatore  selezionato per l’antologia Racconti bresciani. Non è da solo, ovviamente; ci sono altri 34 brevi racconti a fargli compagnia, scritti da altrettanti autori residenti/domiciliati/nati nel comune o nella provincia di Brescia.

È stato piacevole leggere questa antologia, ricca di ricordi e aneddoti legati alle “mie zone”, che in realtà conosco troppo poco. Ho potuto distinguere chiaramente gli autori meno giovani, che narrano di una Brescia di altri tempi, da quelli contemporanei, che descrivono una città più moderna. È così che si salta dalla metropolitana al fascismo, dal lockdown alla guerra, attraverso una sorta di diario della memoria condiviso e geolocalizzato. Non mancano anche i racconti più “classici”, che poi sono i miei preferiti. Ma io, si sa, sono di parte, preferisco sempre la finzione alla realtà…

“L’apprendista di Goya” di Sara Di Furia

Arrivo decisamente in ritardo su L’apprendista di Goya (2019), avevo in programma di leggerlo da parecchio tempo ma – tra una pandemia e l’altra – ho rimandato a lungo. Un po’ perché desideravo procurarmi il libro a una delle presentazioni dell’autrice (che nel frattempo ho avuto il piacere di conoscere) e di presentazioni, nel 2020, non è che se ne potessero fare tante, un po’ perché l’arte pittorica è da sempre, per me, un argomento abbastanza ostico (un modo ben costruito per dire che sono una capra).
Alla fine, comunque, ho approfittato del Salone del Libro di Torino (dietro l’angolo… perché cercare a Brescia il libro di una scrittrice bresciana?) e sono riuscito ad averlo con tanto di dedica. Peraltro della Di Furia ti avevo già parlato de La regina rossa, romanzo storico-gotico di atmosfera Edgarallanpoiana (no, non il rapace, il maestro dell’horror).

L’apprendista di Goya si colloca ancora nel genere romanzo storico – meglio, thriller-storico – ma questa volta la trama non ha nulla a che vedere con il soprannaturale. A fare gli “onori di casa” sono omicidi, sangue, arte, sangue, intrighi e… sangue. Non troppo eh, non è un romanzo splatter, chiariamoci, ma quanto basta per tenere alta la tensione e il livello percepito di pericolo.

1791, Madrid. Il giovane Manuèl Alvèra si trasferisce dal colorificio di famiglia allo studio del pittore Francisco Goya, con l’incarico di occuparsi della produzione dei colori per il noto artista. In cambio, Goya si impegna a prepararlo per l’esame di ammissione alla Real Accademia di San Fernando. Mentre tra i due si instaura un complesso rapporto maestro-discepolo (reso difficile dal carattere instabile di Goya), a Madrid scorrazza libero e felice un misterioso serial killer, el diablo, che prende di mira solo gli artisti – diciamo – “birboni” (cioè quelli che dipingono le cose sconce, fregandosene dell’Inquisizione). Manuèl comincia a sospettare di tutti, a partire dal proprio maestro. Mi fermo.

Tutta la storia è narrata in prima persona da Manuèl e questo ti butta direttamente dentro lo studio di Goya. Sei lì anche tu, a creare i colori insieme al protagonista, a cercare di capire chi sia l’assassino, a tremare per quello che penserà il maestro di te. Se ciò non fosse sufficiente a coinvolgerti, c’è persino un po’ di erotismo qua e là, che non guasta mai (lo diceva pure Bukowski, ma non so se vale, come fonte).
Per scrivere questo romanzo deve essersi reso necessario un grande lavoro di ricerca, in diversi campi. Oltre a quello più evidente, cioè quello storico, vi è poi tutta l’attenzione dedicata alla composizione dei colori, alla descrizione dei pigmenti, e tutto ciò che riguarda la pratica della pittura.

Nonostante la mia scarsa conoscenza artistica (casomai non si fosse capito), questo romanzo mi ha coinvolto molto, tanto che ho terminato in soli due giorni le sue 300 pagine. Ti dirò di più: ho addirittura cercato Goya su Wikipedia, per fare un breve ripasso della sua vita e delle opere. Ora, questo per te potrebbe non significare niente, ma ti assicuro che è un evento veramente straordinario.
Te l’avevo già promesso dopo aver letto La regina rossa (poi è andata diversamente), ma te lo ripeto: recupererò anche Jack.

“La regina rossa” di Sara Di Furia

Per una volta partirò parlandoti del contenitore, invece che del contenuto. Sì, lo so, è una cosa superficiale, ma tanto ci viviamo in un mondo superficiale, quindi non vedo perché tu ti debba stupire. Comunque, questo libro è proprio bello fisicamente, è rilegato in un cartoncino rigido che da subito l’ha reso ai miei occhi, e soprattutto alle mie mani, un oggetto di pregio. In questa specie di atmosfera feticciamente cronenberghiana continuo inconsciamente a tastarlo e a palpeggiarlo, prima o poi finirò per morderne gli spigoli…

Bene, veniamo a noi. Ho tentato di divagare per non cascare da subito nel campanilismo che mi tenta (è tentacolare, direbbe la Giovanna de Il ragazzo di campagna) e mi spinge a parlarti bene di un’opera nata dalla penna (come se poi si scrivesse ancora a penna) di un’autrice originaria di Brescia [ridente cittadina del nord Italia immersa in un bucolico contesto a metà tra il lago e la montagna], come me.
Sì, insomma, veniamo a questo La regina rossa di Sara Di Furia.

Romanzo gotico, fantasy, horror, storico. Un multiatmosfera, in pratica, che ho trovato particolarmente idoneo per accompagnare l’arrivo fulmineo dell’inverno (non credo si possa leggere un romanzo gotico con il caldo, parere personale). La trama, come sempre, te la accenno soltanto.
Inghilterra, 1863. Una bambina, Christianne, viene adottata da una ricca e nobile famiglia, i Klein. Se si escludono le due sorelle più piccole, è sgradita da subito a tutti, poichè presenta dei segni ascrivibili al Male: un vistoso neo e l’abbozzo di un sesto dito. Passato qualche anno, e in seguito a un paio di disgrazie, la ragazza si trova effettivamente in situazioni paranormali che la costringono a fare i conti con sé stessa. Che sia davvero una strega? Perché vede gli spiriti dei morti? Non aggiungo altro, se non che c’è un costante rimando alle opere di Edgar Allan Poe, altrimenti ti spoilero troppo (hai visto che ho iniziato anche io a utilizzare questi termini stronzeggianti alla moda, eh?).

Mi è piaciuto? Sì, mi è piaciuto.
È un romanzo scorrevole e leggero, sono circa 200 pagine che vanno via veloci. C’è una parte centrale in cui le sottotrame amorose hanno rischiato di prendere un po’ troppo il sopravvento, per i miei gusti, ma questo probabilmente perché sono io a essere ostile a un certo tipo di emotività di stampo femminile (insomma, nell’immaginare questa vergine in costume, che desidera il suo precettore, già fantasticavo un’atmosfera “ott”, la versione hot dell’800). Per il resto l’autrice ha costruito una storia nella quale misteri e enigmi ti invogliano a girare pagina per scoprire come prosegue la vicenda. Ho apprezzato, peraltro, alcune cose di cui non posso parlarti troppo (per ovvi motivi), come la riflessione sull’immortalità e un finale che non è scontato.
Bene, recupererò il romanzo successivo di Sara Di Furia, Jack. Questo dovrebbe bastarti.