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“Siro” di Francesco Vidotto

Siro è il terzo romanzo che leggo di Francesco Vidotto, dopo Oceano e Fabro. Sto cercando di capire da dove cominciare a parlartene, perché anche Siro mi è piaciuto molto.

La parola che mi viene in mente, di primo acchito, è semplice. Ma cosa significa semplice? Se io ti dicessi che ho letto un romanzo semplice, be’, forse non suonerebbe benissimo. Effettivamente, potresti fraintendere. Eppure Siro, fin dal titolo (il nome del protagonista, diminutivo di Zeffiro), un romanzo semplice lo è.

Lo è nella copertina: un pino, qualche ramo spoglio e una montagna. Eppure io quella copertina continuerei a guardarla, come se da un momento all’altro potessi sentire l’odore umido del bosco e il fresco di una giornata senza sole. Cose semplici, ma vere.
Lo è nella trama: la storia della vita di un pastore che affronta difficoltà quali un grande amore mancato, la morte dei propri cari, i sogni che svaniscono. Non una passeggiata, certo, ma chi non si è mai trovato ad affrontarle? Sono situazioni, se non proprio semplici, comuni.
Lo è nel linguaggio: poiché tutto è raccontato tramite il diario di Siro stesso che, sebbene legga parecchio, non è certo uno scrittore di professione. Anzi, il fatto che sappia scrivere lo rende una specie di mosca bianca, nel suo contesto.

È tutto molto semplice in Siro, sì, ma di una semplicità devastante. Quella di una vita che si riassume in 170 pagine, come una goccia nell’oceano. Tra miliardi di anni, tra miliardi di persone, c’è Siro che, con la sua semplicità, ti fa capire quanto sia tutto precario, quanto siano poche le cose che contino davvero. I suoi silenzi, le sue sofferenze, ti ridimensionano. Le poche pagine che valga la pena riportare, di un’intera vita, ti costringono ad analizzare il tuo tempo e le tue azioni. E quello che ti resta, alla fine, è un emozione tutt’altro che semplice.

Romanzi che ho letto (per ora) di Francesco Vidotto:
Siro (2011)
Oceano (2014)
Fabro (2016)

“Oceano” di Francesco Vidotto

Ho appena finito di leggere Oceano e la prima sensazione che ho provato è stata il rimpianto. Dovevo aspettarmelo, considerato quanto mi era piaciuto Fabro, non poteva che essere così. Ma ora ti spiego il perché del rimpianto, un attimo.

Sono stato al Salone del libro di Torino (ahimè di sabato, quando c’è più casino) e, ovviamente, ho fatto la spesa (un buon venti chili di libri).
Apro un piccolo inciso.
Ho acquistato solo da quegli editori che proponevano offerte dedicate alla fiera. Non ho mai capito perché si dovrebbe pagare un biglietto di ingresso per poi pagare la merce a prezzo pieno (che, in fin dei conti, significa a un prezzo più alto rispetto all’acquisto sui vari siti online). Edizioni Minerva era uno degli editori che applicavano degli sconti, e qui chiudo l’inciso e arrivo al mio rimpianto.
Di Francesco Vidotto, al Salone, ho comprato solo Oceano e Siro, lasciando lì (nel tentativo di contenere l’emorragia monetaria) Il selvaggio e Zoe.
È stato un errore.

Oceano racconta la storia di un uomo, quasi centenario, che fa visita a Vidotto (in più riprese) e gli racconta la propria vita, chiedendogli di scriverne un libro. Gli incontri si susseguono e la trama della vita di Oceano (perché è questo il nome dell’uomo) prende forma, come l’amicizia tra l’anziano e lo scrittore. Oceano ha affrontato la guerra, le difficoltà e l’amore, sempre con grande coraggio e umiltà. Ha una moglie, Italia, e un figlio che, però, non si vede mai… mi fermo.

Così come accadrà in Fabro (che è successivo), anche in Oceano Vidotto descrive la vita del protagonista con uno stile che definirei poetico. In poche pagine lo scrittore condensa tutti gli eventi che contano – quelli che hanno un vero significato – e te li propone con la forza di un pugno nello stomaco. Non perché siano particolarmente violenti (spesso non lo sono), ma perché, terminato il romanzo, sei costretto a riflettere sulla vita (l’Universo e tutto quanto, aggiungerei).
Terminato il romanzo, tu sei Oceano. Tu tiri le somme e cerchi di capire cosa hai fatto, cosa non hai fatto e cosa avresti dovuto fare. Come Oceano, che non ha mai visto il mare e che cerca, per quello che può, di recuperare.

P.S. Ci risentiamo a breve. Di certo con Siro, ma anche con tutto il resto dei “venti chili”. Son riuscito a trovare la Trilogia della frontiera di McCarthy (grazie a Libraccio) e tanto altro. E poi, lo sai, ieri è uscito Billy Summers

“L’ultimo sorso – Vita di Celio” di Mauro Corona

È difficile parlarti di questo L’ultimo sorso – Vita di Celio, faccio davvero fatica a inquadrarlo. Mauro Corona, nell’introduzione, ci tiene molto a precisare che Celio è un personaggio inventato, una sorta di summa di molti uomini che lui stesso avrebbe incontrato nel corso della propria vita. E quindi, cosa ho letto? Già, perché il tono è quello dell’omaggio nostalgico a un amico morto…

Celio è un uomo solitario, (molto) avezzo alle sbronze, amante della bottiglia, alcolista e bevitore (si è capito?). Trascorre gli anni tra scalate montane ed ermetismi verbali, cacciando qua e là camosci e altra selvaggina. Corona è per lui una sorta di figlio adottivo, qualcuno da prendere sotto la propria ala protettiva. Fine, più o meno.

Facciamo finta che Celio sia esistito davvero, che l’intro di Corona serva a non avere problemi legali per aver scritto una biografia non autorizzata. In questo caso il romanzo sarebbe davvero un gentile e sentito omaggio dell’autore a una vita “qualsiasi”, ma per lui molto importante. Il libro avrebbe, quindi, un valore morale ed emotivo molto alto. La realtà dei fatti caricherebbe di pathos anche le vicende meno interessanti (cioè quasi tutte), dando un significato al romanzo al di fuori del romanzo stesso.

Poi facciamo finta che sia davvero tutto inventato. Svuotato di una emotività reale, il romanzo perderebbe valore. Perché, in una storia così semplice, solo l’attinenza con il vero potrebbe rendere il racconto interessante. Nella lettura non mi sono affezionato a Celio, ma al nostalgico ricordo dell’autore. Se il ricordo risultasse essere un falso, la nostalgia non sarebbe sufficiente a reggere la storia (che vivrei un po’ come una presa in giro).

L’una o l’altra? Vero o inventato? Non lo so.

Libri che ho letto di Mauro Corona:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Vajont: quelli del dopo (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Venti racconti allegri e uno triste (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)
L’ultimo sorso – Vita di Celio (2020)

“Fiori sopra l’inferno” di Ilaria Tuti

Hai visto che sono stato di parola? Ti avevo detto che avrei letto più autori italiani e, nel giro di un mese, sono già a tre. Dopo Cognetti e Carofiglio, oggi ti parlo di Ilaria Tuti e del suo romanzo Fiori sopra l’inferno (2018), un thriller ambientato tra le Dolomiti friulane [della Tuti ti avevo già accennato qualcosa anche QUI, a proposito del suo racconto Above® per il Trofeo RiLL]. Sebbene questo libro sia stato pubblicizzato come l’esordio della scrittrice, so che esistono almeno due suoi romanzi precedenti, Isabel e La ragazza dagli occhi di carta, che credo proprio andrò a recuperare.

Non ti racconterò molto della trama di Fiori sopra l’inferno, rimarrò sul vago, poiché, come sai, ritengo che dei gialli/thriller non si debba mai svelare troppo. Per semplificare, potrei dirti che siamo nella zona della caccia al serial killer, sebbene sia, appunto, una semplificazione. La protagonista indiscussa del romanzo è Teresa Battaglia, commissario e profiler incaricata delle indagini. Teresa è una donna forte, che trae nutrimento dalle proprie debolezze. Un essere umano completo e complesso, insomma, con tutto quello che ne consegue a livello caratteriale. E poi c’è la montagna, imponente scenografia di tutta la vicenda, con la natura che esce letteralmente dalle pagine (e con questo, per conto mio, la storia aveva già vinto).

Non oso immaginare quanto lavoro di ricerca si sia reso necessario per scrivere questo libro. Se per l’ambientazione geografica l’autrice gioca in casa (è di Gemona del Friuli), per la criminologia e la psicologia sono evidenti le competenze acquisite da studi approfonditi (nelle note, al termine del romanzo, la Tuti cita anche un interessante studio di René Spitz sulla deprivazione sensoriale nei neonati, che mi andrò sicuramente a leggere). Io, poi, subisco terribilmente gli effetti della fascinazione del Male sulla mente umana, quindi quando il discorso si sposta sui serial killer non posso far altro che diventare molto curioso. Anzi, andrò a rivedermi il saggio I serial Killer, per stare in tema.

Ho letto le 360 pagine di Fiori sopra l’inferno in tre giorni. È uno di quei romanzi che ti tiene lì incollato per “partecipare” alle indagini, per scoprire il colpevole e la storia che nasconde. Intrattenimento e narrativa pura al 100%. Pur non amando le serie letterarie (sai cosa penso della serialità in generale), so che esistono almeno altri quattro libri aventi come protagonista Teresa Battaglia e li leggerò. Questo perché ho trovato la trama pienamente autoconclusiva, non mi ha dato l’impressione di essere una “trappola commerciale”. Nella quarta di copertina c’è l’endorsement di Donato Carrisi, autore del quale non ho letto ancora nulla (ho visto però il bel thriller montano di cui è regista, La ragazza nella nebbia) e che è nella mia lista da parecchio tempo. Quindi sai già di chi ti parlerò a breve…

P.S. Ilaria Tuti è stata scoperta da Longanesi grazie al torneo letterario IoScrittore, divenendo poi l’esordiente più venduta del 2018 (tradotta in 25 paesi). Quello del gruppo GeMS è un torneo molto divertente. Non aggiungo altro. Per scaramanzia.

“Vajont: quelli del dopo” di Mauro Corona

Vajont: quelli del dopo è il diciassettesimo libro di Mauro Corona che leggo. Sebbene il “confezionamento” sia quello del romanzo, si può tranquillamente parlare di racconto (sono 73 pagine che, impaginate correttamente, equivarrebbero a circa 35). Per la cronaca, l’ho letto in una mezz’ora di relax, tra un capitolo e l’altro del “complicato” (da tutti i punti di vista) Glamorama di Ellis, di cui ti parlerò nel prossimo post.

Sarò breve, tolte le ovvie osservazioni commerciali (che non mi toccano: ho comprato questo libro a un euro al mercatino), Vajont è l’ennesimo omaggio di Corona alla tragedia del 1963 e, soprattutto, alle vittime di una strage annunciata.
Costruito come una pièce teatrale, il racconto riporta un immaginario (ma non troppo) dialogo tra tre anziani avventori di un’osteria di Erto e l’oste. Centro della discussione, ovviamente, la diga. Con la scusa della baruffa (così come la chiama sempre Corona), mentre i quattro si rinfacciano accuse e offese, viene raccontato quanto accaduto a Erto dopo il disastro.

Oltre 2000 morti, questo è il tragico bilancio dell’ennesima e impunita strage di Stato ed è forse la sola cosa che si ricorda, sbagliando. C’è molto altro, dietro. Ci sono le vite spezzate dei superstiti, le nefandezze degli sciacalli, c’è una comunità distrutta e i tentativi di corruzione a opera di chi ha tentato di lavarsi la coscienza “un tanto al morto” (con tanto di prezziario per rimborso perdite, chiamiamolo così, da parte dello Stato).

Vajont: quelli del dopo ricorda tutto questo. Con nostalgia e rabbia. Inutilmente, purtroppo. Non siamo in grado di imparare dai nostri errori.

Libri che ho letto di Mauro Corona:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Vajont: quelli del dopo (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Venti racconti allegri e uno triste (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Venti racconti allegri e uno triste” di Mauro Corona

Se ho fatto bene i conti, Mauro Corona dovrebbe aver scritto, tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, 34 libri (di cui alcuni a quattro mani). Un autore molto prolifico, considerato che la sua prima pubblicazione, Il volo della martora, è del 1997. Venti racconti allegri e uno triste è il sedicesimo libro che leggo di Corona (visto che, appunto, stiamo facendo i conti).

Non mi dilungherò.
Come evidente dal titolo, si tratta di ventuno racconti e i temi sono quelli classici dello scrittore: la natura, le bevute, la montagna e, in generale, la vita. La distinzione tra i racconti allegri e quello triste è smontata dallo stesso Corona nella prefazione, poiché in tutti si possono trovare parti comiche e altre più riflessive, come caratteristico del suo stile narrativo. L’ispirazione deriva da fatti reali implementati dall’utilizzo della fantasia (sempre spiegato in prefazione).
Devo ammettere che, rispetto ad altre sue raccolte, ho trovato effettivamente una maggiore leggerezza nel modo di narrare le vicende, dove per leggerezza intendo una minore presenza di violenza, sesso e atmosfere cupe. Aiuta, in questo, anche la brevità dei racconti (il libro consta di circa 150 pagine).

Che dire, a me Corona piace, mi rilassa e alcune sue ottime riflessioni hanno il grande e difficile potere della semplicità. Ti consiglierei Venti racconti allegri e uno triste se hai lo stomaco debole e non desideri essere turbato (insomma, è un libro con la T di “per tutti”). Se vuoi leggere racconti meno allegri potresti dirigerti su Come sasso nella corrente, anche se io continuo a consigliarti il romanzo Il canto delle manére.

Libri di Mauro Corona di cui ti ho già parlato:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Venti racconti allegri e uno triste (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Storia di Neve” di Mauro Corona

Ho fatto due conti, su Wikipedia, e mi risulta che Mauro Corona abbia scritto trentadue libri (uno più uno meno) e io, con Storia di Neve, ne ho letti quindici (li trovi elencati a fine post). Questo supertomo (circa 820 pagine) l’avevo lasciato appositamente da parte, sperando mi regalasse grandi soddisfazioni come L’ombra del bastone e Il canto delle manére, ma purtroppo non è andata esattamente così…

Partiamo con un po’ di trama (ermetica).
Neve nasce a Erto nel 1919. È una bambina strana, ogni tanto compie qualche miracolo, curando dei malati, ma è molto fragile, tende a sciogliersi come un cubetto di ghiaccio, trasformandosi in acqua. Questo accade soprattutto quando le capita di incontrare per le vie del paese un suo (quasi) coetaneo, Valentino, per il quale ha una forte attrazione resa impossibile proprio dalle circostanze.
Intanto Felice, il padre di Neve, fiutando l’affare dei miracoli ne organizza di finti per rafforzare la nomea della figlia e far sì che le persone bisognose la raggiungano in pellegrinaggio, pronte ad aprire le tasche in cambio di una speranza. Felice accumula ricchezze, complici e amanti mentre in paese iniziano a sparire i testimoni “scomodi”.
Mi fermo.

Storia di Neve è di certo un romanzo cupo e violento, su questo non c’è alcun dubbio. I personaggi buoni, o che comunque si salvano, si possono contare sulle dita di una mano, Neve inclusa. I morti sono tanti e spesso se ne vanno in modo truculento, talvolta al limite del grottesco (esempio: due amanti vengono divorati dai topi durante un amplesso e continuano a montarsi – come direbbe Corona – fino a quando diventano scheletri). L’erotismo è sempre dietro l’angolo, ogni occasione è buona per stupri, accoppiamenti vari e alzate di còtole, senza tuttavia mai entrare nei particolari (non ci sono descrizioni di tipo pornografico). Insomma, per quanto riguarda il sesso c’è più quantità che qualità.
Le vicende di Neve e di suo padre Felice rappresentano la parte centrale della storia ma sono circondate da mille altre sottotrame che si dipanano nel corso dei ventinove anni di vita della protagonista (non è uno spoiler, lo si sa da subito).

A differenza di molte persone, io non ho mai avuto problemi con la presenza di violenza, stupri o negatività. Te lo dico perché molte critiche che ho letto, rivolte al romanzo, sono proprio dirette verso queste forti caratteristiche che permeano la narrazione. Quello che, in realtà, non mi è piaciuto de La storia di Neve è la sua lunghezza. Credo che se Corona avesse scritto 400 pagine, invece di 800, la storia sarebbe filata molto meglio. Purtroppo questa prolissità si paga spesso con (tri-quadri)ripetizioni, personaggi che vengono presentati tante (troppe) volte allo stesso modo (quasi che Corona dubitasse che il lettore potesse ricordarsene) e l’uso continuo di similitudini (ogni cosa è come qualcos’altro, nello stile dell’autore, certo, ma qui si esagera). Peccato.

Di bello c’è che il romanzo non è ben identificabile in un singolo genere. Come dicevo, in alcuni momenti potrebbe rientrare addirittura nel gore, ma altre volte sembra un fantasy e altre ancora una storia di mistero. Questa parte dell’esperimento (perché credo che lo sia) l’ho gradita parecchio.

Libri di Mauro Corona di cui ti ho già parlato:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Storia di Neve (2008)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Come sasso nella corrente” di Mauro Corona

Come già successo in passato, prima di leggere quello che sto per scrivere, ti chiedo di effettuare un enorme sforzo cognitivo e dimenticare il Mauro Corona personaggio per concentrarti solo su Mauro Corona scrittore. Anche se ormai lo saprai, sono due entità ben distinte. (Se non lo sai significa che è la prima volta che passi di qui. Scorri il post fino alla fine, dove trovi gli altri libri di Corona che ho letto, e ripassa.)

Come sasso nella corrente.
Mi è piaciuto? Ni. Per certi versi è uno dei migliori romanzi di Corona (senza scomodare quel paio di titoli che nemmeno ti vado più a citare), per altri uno dei peggiori. Ma prima vediamo di cosa parla, così sei contento e non ti vengono le emorroidi da stress.

Autobiografia in terza persona dello scrittore (o almeno lo sembra molto) fino alle ultime pagine, quando vira verso un genere misterioso/fantastico. Ecco, questa è la trama, sono stato più ermetico del solito. Ok, ok, ancora un paio di cose. Cupo e triste, questo romanzo racconta l’esistenza di un uomo che dalla vita ha avuto tutto e niente. Tutto, perché ha ottenuto il successo e la notorietà, che hanno gonfiato il suo ego e soddisfatto il suo narcisismo; niente, perché l’infelicità non lo ha mai lasciato, impedendogli di godersi anche quei momenti superficiali a fronte della ricerca di qualcosa di profondo, che non è riuscito a trovare. Ad ogni modo, è chiaro che una delle principali cause di questa sofferenza sia imputabile a un’infanzia negata, caratterizzata da una madre assente e da un padre violento. Solo dopo è arrivata la vita, che ha cinghiato il protagonista laddove non lo aveva già cinghiato il padre.
Cupo, dicevo. Triste.

Tuttavia…
Tuttavia in questo romanzo si trovano dei singoli paragrafi che sono i migliori che abbia mai letto scritti da Corona. Estrapolati dal contesto, sono poesia pura. Forse perché, in fin dei conti, vediamo la vita in modo simile. E, siccome un esempio vale più di mille parole…

Erano buone ore quando stavano assieme. Buone per ciò che restava delle loro anime. Le loro anime non erano intere. In passato le avevano divise con qualcuno che era stato allontanato. Chi viene allontanato non se ne va a mani vuote, ruba sempre un po’ d’anima all’altro. Non si esce ad anima integra da una separazione o da spartizioni di beni comuni. Il passato condiviso non si cancella, resta lì col muso duro e il pugno chiuso, a rammentarci che è esistito. Dentro al pugno un po’ d’anima dell’altro. E viceversa.

Per il resto, invece, Come sasso nella corrente non mi ha particolarmente coinvolto, la lettura è stata lenta. Questo anche per una certa ripetitività nella costruzione della frase (ecco, sono cose di cui di solito non mi accorgo, per dire) che tende a riformulare sempre lo stesso concetto, più volte, aiutandosi (troppo) spesso con elenchi di sinonimi. La sensazione è quella di una cantilena che procede per alti e bassi, senza mutamenti. Quando ti aspetti una ripetizione… taaac, arriva, puntuale.

Nel complesso ti direi di leggerlo, non tra i migliori libri dello scrittore/alpinista/scultore/showman, ma di sicuro molto diverso dagli altri. Ecco, forse è questa la cosa più interessante: mentre alcuni suoi titoli, trascorso un po’ di tempo, faccio fatica a distinguerli gli uni dagli altri (soprattutto quelli composti da racconti), questo mi rimarrà in mente. Ha una sua personalità intimista (cupa sempre, eh) ben definita. Così cupa che, in fondo, mi attira.
Ah, ho comprato anche Storia di neve, regolati.

Libri di Mauro Corona di cui ti ho già parlato:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
Come sasso nella corrente (2011)
La casa dei sette ponti (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Il volo della martora” di Mauro Corona

Il volo della martora è il primo libro pubblicato da Mauro Corona, anno 1997 (cioè 22 anni fa!) e, per quanto riguarda la “nostra” cronologia, il tredicesimo libro di cui ti parlo di questo autore. Per fare una cosa fatta bene dovrei far finta di non aver letto gli altri dodici e esporti le mie impressioni vergini, come se avessi conosciuto Corona solo ora. Non credo che ci riuscirò, ma tu tienine conto, perché i temi saranno quelli sempre cari allo scrittore ma, in fin dei conti, qui sono esposti per la prima volta.

Il volo della martora mi è piaciuto, questo te lo dico subito. È una raccolta di racconti carica di poesia, nostalgia e vecchi valori (se i valori possono essere vecchi). In poche pagine, circa 200, Corona tira fuori tutti gli argomenti che poi lo caratterizzeranno nella successiva produzione, ma lo fa forse con meno rabbia (giustificata), meno risentimento (giustificato), nei confronti di un mondo, il nostro, che sta andando a puttane (perdona il francesismo). Ci sono anche accenni a personaggi a cui l’autore dedicherà poi romanzi interi, vedi Santo Corona della Val, che sarà protagonista de Il canto delle manére, che come tu sai è il mio preferito tra i suoi libri. E poi c’è la vita di montagna, il lavoro, la fatica, ma anche le gioie dell’infanzia in un mondo in cui avere un paio di scarpe nuove è una vera festa. Se vuoi continuo eh? C’è il rapporto genitori e figli, le storie di vita vissuta, gli anziani che ricercano il senso della vita nei propri ricordi, il rispetto per la natura e gli animali, le tradizioni, gli amori, le donne. C’è tutto.

So che forse te l’ho già detto per altri suoi libri, ma questa volta vale più di altre, se vuoi conoscere Mauro Corona scrittore inizia pure da Il volo della martora. Perché qui tutto torna, ed è anche il primo libro, quindi è la famosa quadratura del cerchio.

E poi c’è un’altra cosa, che ho tenuto in fondo, perché in questa raccolta non c’è molta rabbia e non volevo riversarne subito io. C’è il Vajont, che è un argomento principe di questa come di altre opere di Corona. Qui lo scrittore ne parla amareggiato, quasi disilluso. Bambini che non hanno avuto un futuro, cumuli di scarpe, bambole senza arti, disperati che cercano tra le macerie il ricordo/feticcio di una vita cancellata. Genitori senza figli, figli senza genitori. Paesi distrutti, vite distrutte, speranze distrutte.
Nessuno che paga.

[Ora un po’ di rabbia, la mia]
Tu lo sai che io non parlo mai di politica. Il perché è presto detto (senza falsa modestia): perché sono superiore sia a chi la esercita sia a chi la vive come se fosse il derby della squadra del cuore, con inutili schieramenti, facendosi abbindolare dai talk show e dai “dibattiti”. Però questa volta, in questo preciso momento, alla caduta del millesimo governo e alla successiva lotta per chi ha ragione e chi torto, per chi “io tengo a questo” e “io tengo a quello”, leggere del Vajont assume un certo significato.
E mentre sei lì, a decidere chi ti stia raccontando la bugia migliore per la tua tranquillità, ricordatelo il Vajont. Ricordati il DC-9. Ricorda le stragi più moderne, più silenti ma forse peggiori perché non consentono la conta dei morti, che tolgono la voglia di fare, di vivere. I tumori. Ricorda i suicidi di chi non regge.
Chiediti quando il sistema (non solo italiano, ma globale) ti abbia fatto sentire parte di un’organizzazione evoluta a livello di specie. Mai.
Io non ti sto parlando di colori o partiti, di telefonini, automobili o aspirazioni economiche. Cerca di capirmi. Black friday, saldi e scarpette. È solo questo che siamo riusciti ad essere? Intendo, come forma di vita nell’Universo, siamo questo? Perché se è così, cosa di cui io sono purtroppo convinto, c’è solo da aspettare l’appuntamento con l’asteroide, sempre che non facciamo da soli, prima.
E se ancora sei lì, a distinguera tra questo e quello, a cercare il conforto nell’idea che uno sTATO possa uscire fuori da qualche parte, pensa ancora al Vajont, perché non ci hai pensato abbastanza.
La merda non si trasforma in oro. Mai.

Libri di Mauro Corona di cui ti ho già parlato:
Il volo della martora (1997)
Le voci del bosco (1998)
Nel legno e nella pietra (2003)
Aspro e dolce (2004)
L’ombra del bastone (2005)
Storie del bosco antico (2005)
I fantasmi di pietra (2006)
Cani, camosci, cuculi (e un corvo) (2007)
Il canto delle manére (2009)
La fine del mondo storto (2010)
La casa dei sette ponti (2012)
Confessioni ultime (2013)
Quasi niente con Luigi Maieron (2017)

“Fabro – Melodia dei Monti Pallidi” di Francesco Vidotto

Fabro – Melodia dei Monti Pallidi è il primo romanzo che leggo di Francesco Vidotto, ma non sarà l’ultimo. Questo scrittore, che conoscevo per la vicinanza filosofica con Mauro Corona, la scenografia “dolomitica” e i post ambientalisti su Facebook, mi ha già convinto, non servono altre prove. Leggerò quanto ha scritto finora (al momento sette romanzi) e leggerò quanto scriverà. Non posso infatti far altro che ammirare chi sia in grado di parlare in modo così vero e diretto della vita, di quella semplice in particolare.
Ma andiamo per ordine, un po’ di trama.

Fabro racconta la vita semplice di un uomo, Fabro appunto, che vive per quasi un secolo, dal 1925 ai giorni nostri. Nel corso degli anni incontra la guerra, l’amore, la musica e molte, moltissime difficoltà. Eppure Fabro va avanti, tra le sue montagne, da cui trae ipirazione per le composizioni con l’armonium, e non molla. Ha due figlie, una moglie, tanti amici veri. Di più non posso e non voglio raccontarti, perché è un romanzo relativamente breve, 170 pagine, e dirti altro sarebbe svelare troppo.

Ogni argomento affrontato da Vidotto in questa narrazione ti colpisce come un pugno nello stomaco. La guerra, ad esempio, nella sua atrocità è vista dal punto di vista di chi ha paura, di chi non capisce perché debba rischiare la propria vita e i propri affetti per qualcun altro. Credo si possa parlare tranquillamente di poesia. Non ricordo un autore che, recentemente, sia riuscito a farmi immedesimare così tanto in esperienze che non ho vissuto, una per tutte la vecchiaia. E tutto avviene in uno stile molto semplice, diretto, senza fronzoli. La semplicità della natura e delle montagne, riportata sugli uomini. La capacità di sintetizzare la vita nelle sue caratteristiche e bisogni elementari.

Ti consiglio questo libro senza alcun dubbio. È una lettura che è in grado di insegnarti qualcosa (e già questa è una rarità), ma soprattutto è in grado di farlo attraverso una vita che, probabilmente, non vivrai, e questa è una cosa davvero difficile.

P.S. Sto sempre leggendo i Cento racconti di Ray Bradbury, dammi tempo e arriverò a parlarti anche di quello.