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“Tutti i racconti Vol. 4 1999-2010” di Richard Matheson

Breve riepilogo dell’opera nel suo insieme: 4 volumi che raccolgono tutti i racconti di Richard Matheson. I primi tre li trovi linkati più in basso, a fine post. Questo quarto e ultimo volume si occupa della produzione nel periodo tra il 1999 e il 2010 (Matheson morirà poco dopo, nel 2013).

Sono quasi due mesi che non ti parlo di libri qui sul blog, questo può già farti capire che questo enorme tomo non mi è risultato molto digeribile. Già: i primi due volumi sono stati stupendi, il terzo una via di mezzo, il quarto, ahimè, un pacco. Avevo già letto, in giro sul web, di quanto la parte finale della produzione di Matheson non fosse all’altezza del resto dei suoi scritti e non posso che essere d’accordo. Glielo possiamo perdonare? Credo proprio di sì, Matheson è uno dei miei scrittori preferiti e questa esperienza non cambierà la mia opinione.

Non credo nemmeno di dovermi dilungare molto. Lo stile narrativo è sempre fresco e brillante, quello che manca sono proprio le storie. Ci sono, certo, alcuni buoni racconti ma, per la maggior parte del tempo, la sensazione che si prova è quella del disinteresse, della assenza di curiosità. Un peccato.

Proprio per non proseguire in questa negatività – poiché, ripeto, Matheson non la merita – ti parlerò solo di un paio di racconti emblematici che, forse, hanno un significato quasi metaforico.

Il rosso è il colore del desiderio.
Racconto o, più probabilmente, libro incompiuto. Ci sono circa 60 pagine. La cosa interessante è che nella parte finale è presente un breve riassunto di Matheson su come la storia sarebbe dovuta proseguire, quindi non ti lascia con la curiosità.
Ecco, qui si respira l’aria di una volta. È una storia d’amore tra due vicini di casa, con una lei che nasconde un terribile segreto. L’interesse rimane vivo, ti senti in mezzo alla storia. È un vero peccato che questa opera sia rimasta incompiuta.

La finestra nel tempo
Un ottantenne passa attraverso una finestra e si trova catapultato in un’altra epoca, quella in cui aveva quindici anni. Rivede tutti i posti della giovinezza e “si incontra”. Cerca in ogni modo di convincere il suo io più giovane a farsi avanti con quella ragazza che gli piace/va tanto (il vero amore mancato), senza riuscirci.
Racconto ambivalente: qui Matheson ti annoia per molte pagine semplicemente guardandosi intorno e descrivendo i luoghi e i ricordi del protagonista. Poi, all’improvviso, ecco il lampo accecante sulle opportunità perdute, sulle sliding doors. Nostalgia e rimpianto. Si vede qualcosa di quello che era un tempo, ma non c’è modo di tornarci, cosa che, in fondo, può benissimo essere un perfetto riassunto di quello che rappresenta questo volume.

Aspetterò che traducano i restanti romanzi di Matheson con ansia, nel frattempo ho ancora I ragazzi della morte da leggere. Ci risentiremo, quindi.

Libri che ho letto di Richard Matheson:
Io sono leggenda (1954)
Tre millimetri al giorno (1956)
Io sono Helen Driscoll (1958)
La casa d’inferno (1971)
Ghost (1982)
Tutti i racconti Vol. 1 1950-1953 (2013)
Tutti i racconti Vol. 2 1954-1959 (2013)
Tutti i racconti Vol.3 1960-1993 (2013)
Tutti i racconti Vol.4 1999-2010 (2013)

“The life of Chuck” di Mike Flanagan

Ti avevo già parlato de La vita di Chuck quando avevo letto l’ottima raccolta di racconti di Stephen King Se scorre il sangue, quindi già sai che il racconto era veramente bello. E no, King non scrive solo horror, ma questa è difficile da far digerire al pubblico (che ha sempre bisogno di etichettare tutto per sentirsi a proprio agio). Mike Flanagan, invece, fino ad ora aveva diretto solo robe horror (o molto affini) e questo è, credo, il suo primo sconfinamento. A me Flanagan piace, sia nelle serie che nei film, ti cito solo Oculus – Il riflesso del male e Midnight Mass come esempi, ma c’è altro suo di notevole (peraltro è al terzo adattamento – di seguito – da King).

Te lo dico subito, The life of Chuck mi è piaciuto. Non lo definirei certo, come indicato sul poster, “il miglior adattamento di Stephen King mai realizzato”, ma quello è marketing. Flanagan fa un buon compitino, ma questo non toglie che non sia Reiner e nemmeno Darabont. E ti cito nomi relativi a film “filosofici” tratti da King (un paragone onesto), senza spingermi su campi, appunto, horror, con De Palma, Carpenter o… ancora Reiner e Darabont!

Un po’ di trama, dai. Il film, come il racconto, è diviso in tre atti e parte dalla fine.
Atto tre: Grazie, Chuck! – Il mondo sta per finire. Seguiamo la vita di alcune persone che assistono a disastri sempre più catastrofici (senza che ci vengano mostrati). Dappertutto compaiono ringraziamenti diretti a un certo contabile di nome Charles “Chuck” Krantz per “39 fantastici anni”.
Atto due: Artisti di strada – Una batteria viene suonata da un’artista di strada. Chuck, contabile di 39 anni, si ferma a ballare coinvolgendo una donna. Offre al pubblico un vero e proprio spettacolo, una cosa da lasciare con la bocca aperta.
Atto uno: Contengo moltitudini – La giovinezza di Chuck. Genitori morti, vita con i nonni. Grande passione per la danza, destino da contabile. Un cupola in cima alla casa che nasconde qualcosa.

Nel vedere il trailer avevo pensato che ci fossimo: cazzo, stavolta si piange. Sentivo proprio il “groppo” in gola. E invece no. Per questo ti ho parlato di “compitino”, perché qualcosa manca in un film molto delicato, forse troppo. Eppure ci sono dei momenti di poesia stupendi: uno su tutti lo spegnimento delle stelle nell’atto tre (forse la sequenza più bella di tutto il film). La lacrima, tuttavia, non scende. C’è sempre un certo contenimento, anche nella scena di ballo che, con poco, sarebbe potuta esplodere (mi viene in mente il ballo simile e carico di significato di Mikkelsen in Druk).

Oh, chiariamoci, è un bel film, vai a vederlo. Poi io l’ho visto nel cinema di paese, dove ho preso due biglietti con 8 euro invece di comprarne uno con 10 nella blasonata multisala monopolistica cittadina. Quindi nessun rimorso.

“Una celebrazione della vita”… non lo so.
Qui ti offrirei una doppia lettura.

La prima è per gli ottimisti.
Chuck ama la danza ma nella vita finisce a fare il contabile. Nonostante un lavoro noioso, Chuck riesce a vivere dei piccoli momenti di piacere – tra i quali quello del secondo atto – celebrando la sua passione e sapendosi accontentare di queste gioie inattese.

La seconda è per i realisti.
La parola chiave diventa “accontentare”. La vita uccide la passione di Chuck che può solo accontentarsi di piccoli momenti che gli ricordano, appunto, la sua vera passione, alla quale ha dovuto rinunciare.

Hai presente quando ti dicono che devi saperti accontentare delle piccole cose? Ecco. Tipo me, oggi, che mi stavo lavando i denti mentre rispondevo ai messaggi di lavoro sul telefono e con un piede libero accarezzavo il cane. Tutto per guadagnare tempo e, magari, riuscire a fare una corsetta nel pomeriggio. Spoiler: ho interrotto la corsa per lavorare.
Contengo moltitudini, sì, che si spengono come le stelle di Chuck.

Fanculo l’accontentarsi delle piccole cose, rimango realista.

“La pelle fredda” di Albert Sánchez Piñol

Un giovane ex combattente per l’indipendenza irlandese decide di ritirarsi a lavorare, come incaricato per la registrazione degli agenti atmosferici, su una minuscola isola della Patagonia. Al momento dello sbarco, aiutato dall’equipaggio della nave, perlustra il fazzoletto di terra, largo poco più di un chilometro. Sono presenti solo due strutture: la casa del suo predecessore – del quale non vi è più traccia – e un faro, il cui guardiano, tale Batís Caffó, pare totalmente impazzito. Nonostante i suggerimenti del comandante, il giovane decide di fermarsi e assolvere al proprio compito. Durante la prima notte subisce un forte attacco da parte di creature dall’aspetto umanoide ma con pelle di pesce, si difende sbarrando porte e finestre e combattendo anche con i denti. Dal giorno successivo, tenta di entrare in contatto con il guardiano del faro e ottenere qualche risposta sui misteri che circondano l’isola. Ma Batís Caffó è tutt’altro loquace e per nulla disposto a condividere la sua postazione fortificata. Anche perché Batís Caffó vive con una di queste creature che, a prima vista, pare essere una sua schiava… Mi fermo.

Un paio di anni fa ho visto Cold Skin – La creatura di Atlantide e, onestamente, non lo ricordo come un gran film (l’ho rimesso in lista, così ripasso e cerco di capire). Avevo però deciso di leggere comunque La pelle fredda, il romanzo di Albert Sánchez Pinol dal quale il film è stato tratto. Non ricordo perché, forse semplicemente perché mi attraggono molto le storie e le ambientazioni con i fari (tipo i recenti The Lighthouse e The Vanishing). Il libro l’ho recuperato con colpevole ritardo, anche perché mi è piaciuto parecchio, il fatto che l’abbia letto in tre giorni ne è la prova.

Lo stile ricorda in qualche modo i classici di Verne o di Wells, tuttavia le tematiche sessuali presenti nella trama lo “svecchiano” discostandolo dai classici che, appunto, di sesso non potevano/volevano parlarne. La sensazione diventa quindi quella di una storia d’altri tempi raccontata in modo realistico. Un po’ come se L’uomo invisibile avesse sfruttato davvero (strizzatina d’occhio, strizzatina d’occhio) i proprio poteri, per capirci.

Io non voglio svelarti troppo di questo romanzo, ma i temi trattati sono sicuramente profondi, sebbene la trama vada avanti con un certo grado di leggerezza (non sempre in modo veloce, tuttavia). L’introspezione continua del protagonista e il conflitto con il nemico/alleato Batís Caffó si prestano a molteplici interpretazioni che riguardano la natura umana e, in un certo modo, il concetto dell’eterno ritorno. I mostri marini – le ranacce, come le chiama Caffó – sono fuori e dentro l’isola, fuori e dentro l’animo. È difficile stabilire chi sia il nemico di chi, dove stia il Bene e il Male e il confine tra quello che attrae e quello che respinge.

Un romanzo che sicuramente ti consiglio, anche per la capacità dell’autore di portarti su quell’isola insieme ai suoi personaggi, tanto da chiederti se, alla fine, anche tu non sia un po’ Batís Caffó.

“Fuoco nella polvere” di Joe R. Lansdale

Un po’ di intro su cose che non hanno a che fare con il romanzo di Lansdale, chiamiamoli aggiornamenti.
1 – Un proposito (che probabilmente non rispetterò): le mie letture, d’ora in poi, seguiranno un ordine alternato tra narrativa e non narrativa (saggi, biografie, finanza, crescita personale…). Questo perché la narrativa è un ottimo svago ma è spesso (non sempre) inutile; la saggistica, invece, migliora le conoscenze e le competenze. Non che tutto ciò serva a qualcosa nella vita, ma ho deciso così.
2 – I post tenderanno a diventare più schematici. Ultimamente ho molta meno voglia di portare avanti il blog e la qualità dei post ne ha risentito, rispetto a qualche anno fa. Le visite dovrebbero essere calate, seguendo una logica-logica, invece sono nettamente aumentate. Questo accade perché la qualità non premia nel mondo moderno, quindi tanto vale sbattersene e riprendere a dare al blog il senso iniziale, cioè quello di un bloc-notes dove appuntare ciò che ho letto per non dimenticarlo.

Veniamo a Fuoco nella polvere e iniziamo con una polemica. Questo romanzo fa parte della trilogia di Ned la foca che, al momento, risulta tradotta solo per i primi due libri. Il terzo, del 2019, non è ancora uscito in Italia. I lavori si finiscono o non si cominciano, per come la vedo io. Questa abitudine di iniziare una cosa e poi vedere come và e, in caso, se va male, lasciare che il consumatore “si attacchi” comincia un po’ stufarmi. È anche uno dei motivi per cui non guardo le serie, perché spesso vengono piantate lì a metà quando il pubblico dimostra un calo di interesse. Hai comprato? Hai pagato? Gnam gnam, io ho mangiato.

Avevo letto un po’ di recensioni su Fuoco nella polvere e mi aspettavo fosse una cagata pazzesca (cit.), mi sono in gran parte dovuto ricredere. Non è certo il miglior Lansdale che abbia letto, ma le 180 pagine sono volate via in un attimo, leggere e intrattenenti. È un romanzo assurdo, che mischia steampunk e citazionismo estremo, coinvolgendo personaggi della storia con quelli della letteratura, in una sorta di mondo parallelo in cui tutto è intrecciato.

Eccone alcuni: Buffalo Bill, Wild Bill Hickok, Annie Oakley, Toro Seduto, Ned Buntline, il mostro di Frankenstein, Dracula, l’Uomo di latta…
Tieni conto che, insieme a questi, compaiono varianti di altri personaggi come il Capitano Nemo e Jack lo squartatore. Tutto ciò è frullato in una trama che riprende in gran parte L’isola del Dottor Moreau di H.G. Wells. Una battaglia iniziale tra zeppelin (il titolo originale è Zeppelins West), con fuga dal Giappone, fa naufragare i personaggi su un’isola, dove il dottor Momo sta ibridando uomini con animali. Qui succede di tutto, con tanto di mostro di Frankenstein che titilla il bullone erotico dell’Uomo di latta dopo avergli dichiarato eterno amore. Una cosa tipicamente alla Lansdale, dove il non-sense e l’uomorismo si aggrovigliano tra loro. Devo dire che, nonostante a me le storie troppo assurde generalmente non piacciano, questa è riuscita davvero a coinvolgermi, forse perché segue un percorso “logico nell’illogico” ben definito.

Ho già il secondo romanzo, Londra tra le fiamme, che cercherò di non leggere a stretto giro e alternare così la narrativa con qualcosa di diverso da Lansdale (se ci riesco, altrimenti chi se ne frega). Così magari nel frattempo mi traducono il terzo, eh? (Questo è sarcasmo.)

 

Romanzi che ho letto di Joe R. Lansdale:
La morte ci sfida (1984)
La sottile linea scura (2002)
Notizie dalle tenebre (2014)

Trilogia Drive-in:
Il drive-in (1988)
Il drive-in 2 (non uno dei soliti seguiti) o Il giorno dei dinosauri (1989)
La notte del drive-in 3. La gita per turisti (2005)

Trilogia Ned la Foca:
Fuoco nella polvere (2001)

Ciclo Hap & Leonard:
Una stagione selvaggia (1990)
Mucho Mojo (1994)
Il mambo degli orsi (1995)
Bad chili (1997)

“Alien Romulus” di Fede Álvarez

Questo sarà un post cattivo, incazzato e stanco (cit. Highway Gunny), te lo dico subito, così lo sai. Ieri sera sono andato a vedere Alien Romulus di Fede Álvarez con grandi aspettative, considerate le recensioni positive, e sono rimasto profondamente deluso. Peraltro, cena (nel poco-più-che-fast-food vicino al cinema) e film totale 40 euro, una cifra esorbitante. Dimmi tu se devo pagare un film 10 euro e una birra 7, siamo alla follia…

Partiamo dalle cose positive (non so perché parlo al plurale che ce n’è una sola), cioè la trama. Diciamolo, tutta la saga di Alien non si è mai distinta per l’intreccio, non ha mai puntato su questo e non è quasi mai stato un problema, perché i film erano, in genere, sostenuti da altri fattori. Romulus in questo non fa differenza. C’è una storia accettabile e dignitosa che non ha nulla di più e nulla di meno di quelle dei suoi predecessori.

Sunto breve breve eh, che se lo vuoi intero su Wiki c’è tutto.
La protagonista è Rain, una ragazza orfana e contrattualmente schiavizzata da una compagnia mineraria – su un pianeta lontano-lontano – che vive con un androide nero e ritardato (e con questo posso salutare definitivamente il politically correct) che rappresenta la sua unica famiglia. I co-protagonisti sono gli amici altrettanto schiavizzati di Rain, che scoprono una nave enorme e abbandonata della Weyland Corp in orbita attorno al pianeta che sta per essere distrutta da un anello di detriti (come possano scoprirlo solo loro e nessun altro dei “poteri forti” rimane un mistero). Sulla nave sono presenti delle capsule di stasi criogeniche, indispensabili al gruppo per affrontare la fuga, lunga anni luce, sotto forma di bastoncini Findus congelati. La chiave per la riuscita del furto e della fuga è proprio Andy, l’androide ritardato, perché può accedere ai sistemi della Weyland. Partono all’avventura e, ovviamente, la nave è piena di facehugger (i famosi ingravidatori orali). Mi fermo.

Questo film doveva strizzare l’occhio alle nuove generazioni, e probabilmente lo fa, ma sceglie quelle brutte, quelle dei trapper, dei maranza e simili, non certo le nuove promesse per il futuro. Ne avevo giusto dietro una decina in sala (di simil-maranza), che hanno fatto un casino bestia, totalmente disinteressati ai pochi momenti di costruzione della trama e parzialmente attenti solo alle scene di azione.
Io ricordo quei film “spaziali” del passato dove l’equipaggio era composto da membri che avevano competenze specifiche definite, come razionalmente dovrebbe essere. Il medico, il militare, il pilota, il tecnico riparatore e via dicendo. Qui no, qui è il tripudio di quelli che non sanno fare un cazzo ma riescono a fare tutto. La festa dei non-studiati. Un po’ come quelli che oggi, sui social, ti spiegano la politica internazionale e la scienza senza aver capito come funziona l’italiano. Ecco, l’equipaggio è questo, a partire da quello che sa usare un’arma multifunzionale perché gioca con i videogiochi. Finiamola: io ho preso tutte le patenti oro di Gran Turismo ma prova a mettermi su una Ferrari che ti faccio vedere come muoio alla prima curva.
Ecco come Alien Romulus strizza l’occhio alle generazioni sbagliate del futuro, ignorando quelle giuste e relegandole ai margini.

I membri dell’equipaggio non sono più divisi per competenza ma per distinzione sociale in stile Netflix. Un sistema che si accartoccia su sé stesso. C’è l’androide nero e ritardato che viene tutelato per tutto il tempo, nonostante sia insito nel suo programma originario di servire la compagnia Weyland, che vorrebbe ibridare gli alieni con l’uomo. Eppure l’unico che vorrebbe vedere il sintetico morto (perché un sintetico gli ha ucciso la madre, mica così, gratis) viene chiaramente malvisto, quasi fosse un nemico della minoranza di turno. Eh, ma non si può certo volere morto un nero ritardato passandola liscia, no? Che poi io mi chiedo, un robot che sarà sempre al servizio di qualcuno – sia essa la compagnia o la stessa Rain – nero? Ma davvero? Forse è perché l’anno costruito i cattivi, che non sono abbastanza furbi da pensare ai problemi relativi alle disuguaglianze. D’altra parte sono troppo impegnati a conquistare l’Universo.

In ogni caso, il film sarebbe finito subito se non fosse che, fortunatamente, gli xenomorfi devono aver firmato qualche contratto con una casa di dentifrici che li costringe a digrignare i denti per dieci minuti prima di ogni attacco, dando così il tempo ai protagonisti di difendersi ogni volta. Che poi, io ricordo quanto ci volesse, nei primi Alien, a far fuori uno di questi cosi dall’alito fetente: tipo mezzo film. Qui no, qui con un fucile in due minuti uccidi dieci mostri. Sarà che bisogna essere bravi con i videogiochi e Sigourney Weaver evidentemente non lo era. O sarà che oggi si ha fretta di vedere le cose accadere, il sangue schizzare, mica si può star lì a costruire la tensione, sai che noia.

Insomma, citazionismo a parte (sempre apprezzato in mood nostalgia amarcord) questo Alien Romulus si piazza appena sopra ai due contro i Predator, che facevano, come noto, proprio schifo.

“Sopravvissuto” di Dean Koontz

Un volo aereo con duecento passeggeri precipita in picchiata da seimila metri e si schianta al suolo con una violenza tale da lasciare detriti grandi al massimo quanto francobolli. Joe Carpenter, su quell’aereo, aveva tutto ciò a cui teneva: la moglie e le due figlie. È un uomo distrutto, disperato e che aspira solo al suicidio. Trascorre un anno cercando il coraggio di spararsi, fino a quando non incontra Rose, una donna che, contro qualsiasi logica, sembra essere uscita illesa dallo schianto. Ma Rose, che sta cercando di mettersi in contattao con i famigliari di tutte le vittime, è braccata da uomini armati che vogliono metterla a tacere e, mentre Joe indaga, chiunque incontri Rose si suicida nei modi più bizzarri.

Eh, Koontz, Koontz, Koontz… che difficoltà parlare di questo tuo romanzo. 400 pagine lette in meno di una settimana. Quindi buono, no? Eh, che difficoltà…

Indubbiamente la trama è coinvolgente e sei sempre curioso di sapere cosa stia per accadere. Koontz gioca molto bene le sue carte e per ogni risposta che offre ti regala anche due domande, in un gioco infinito alla ricerca della soluzione. Una soluzione che, bisogna dirlo, non delude. La storia sta in piedi ed è anche abbastanza originale (si parla di un romanzo del 1997). Avevo voglia di prendere in mano il libro per vedere come stava procedendo la situazione, una cosa abbastanza rara, ultimamente. Però…

Però, come spesso ripeto, Koontz è un po’ il King dei lettori facili. Deduzioni forzate, conseguenze immediate, soluzioni imposte. Talvolta il protagonista arriva a capire una cosa che viene data per certa solo perché lui ha deciso che sia così. E, per intenderci, questa non rimane una posizione in dubbio, ma è una vera e propria scorciatoia letteraria che anche il lettore deve accettare. Perché lo sentiva nel suo cuore. Insomma, un po’ come nei romanzi sentimentali delle casalinghe frustrate. Questa è proprio una caratteristica dello stile di questo autore che non riesco a mandare giù, perché implica una sottostima intellettuale del lettore. Probabilmente sarà anche corretto per molti lettori, ma non per me.

Detto questo, salverei comunque questo romanzo perché la trama è davvero buona. Avrei voluto leggerlo scritto da King, sarebbe stato di un altro livello. Il continuo richiamo a King è voluto non solo dall’accostamento – sbagliato – che viene spesso fatto tra questi due autori, ma anche perché (e qui dico poco per non spoilerare) Sopravvissuto potrebbe essere uno spinn-off proprio de L’istituto scritto dal Re.

Libri che ho letto di Dean Koontz:
In un incubo di follia (1973)
In fondo alla notte (1979)
Il tunnel dell’orrore (1980)
La casa del tuono (1982)
Phantoms! (1983)
Incubi (1985)
Lampi (1988)
Cuore Nero (1992)
Sopravvissuto (1997)
L’ultima porta del cielo (2001)
Il luogo delle ombre (2003)
Velocity (2005)
Nel labirinto delle ombre (2009)

“Preda” di Michael Crichton

Ogni tanto mi capita di fare qualche conto sui libri che ho letto, in particolare mi ritrovo a pensare a quali autori abbia frequentato di più. Crichton è uno di questi, Preda è il sedicesimo suo romanzo che leggo. Altri sono, ad esempio, King (ma questo è ovvio), Palahniuk, Bukowski, Matheson, Doyle, Steinbeck, Asimov… giusto per elencare qualche nome.

Preda è stato un romanzo da vacanza, bruciato a Favignana in soli quattro giorni. Se dovessi semplificare al massimo, ti direi che Preda è uno Sfera di terra. L’ambientazione è quella di una base nel deserto – rispetto ai fondali oceanici – ma la claustrofobia è la stessa. Questa volta il buon Michael affronta il tema delle nanotecnologie che si trasformano in virus, infettando il corpo umano. Non aggiungo altro, perché già così ti ho detto troppo.

La cosa incredibile è, come sempre, la visionarietà di questo autore che, nel 2002, scrive su un tema ancora attualissimo e futuribile. Non si ha mai la sensazione di leggere qualcosa di sorpassato, nonostate la tecnologia, ora più che mai, compia passi da gigante. Probabilmente non il miglior romanzo di Crichton, ma nemmeno il peggiore, anzi, se la cava molto bene. Se non hai mai letto un suo romanzo potresti iniziare da qui, c’è tutto quello che contraddistingue il suo stile.

Libri che ho letto di Michael Crichton:
Andromeda (1969)
Casi di emergenza (1970)
Codice Beta (1972)
Il terminale uomo (1972)
La grande rapina al treno (1975)
Mangiatori di morte (1976)
Congo (1980)
Sfera (1987)
Jurassic Park (1990)
Sol levante (1992)
Rivelazioni (1994)
Timeline – Ai confini del tempo (1999)
Preda (2002)
Stato di paura (2004)
Next (2006)
L’isola dei pirati (2009)

“Dune – Parte due” di Denis Villeneuve

Questo post è più o meno un promemoria (serve a me per sapere cosa ho visto/letto nel tempo, d’altra parte in origine il blog era nato esclusivamente per questo), non starò a parlarti di Dune – Parte due. Perché? Perché mi è sempre sembrato abbastanza ridicolo parlare dei singoli film di una saga (con lo stesso regista e lo stesso cast, peraltro) suddividendo il commento in base a quanti film sono stati prodotti. Vuoi sapere cosa penso di Dune – Parte due? Puoi leggere quello che ho scritto di Dune – Parte uno, la mia opinione non è cambiata.

Frivolezze: inizio ad apprezzare Zendaya, soprattutto dopo aver visto il trailer di Challengers di Luca Guadagnino. In Dune – Parte due compare anche Lea Seydoux, che è sempre un gran bel comparire. Sembra incredibile che Elvis/Butler possa apparire così cattivo, bella trasformazione. Ho scoperto che ci sarà un terzo film, sempre di Villeneuve, che dovrebbe anche essere l’ultimo. Preghiamo tutti gli innumerevoli dei dell’umana fantasylandia religiosa perché il livello si mantenga a questa altezza.

Unica critica possibile per questo film è che soffra un pochino delle limitazioni che hanno tutti i film di mezzo di una trilogia: non ha inizio e non ha fine, ciò lo rende forzatamente più debole tra gli eventuali tre. Un po’ come per Le due Torri de Il Signore degli Anelli, insomma.

“Crash” di J.G. Ballard

Scrivere di pornografia violenta il giorno di Natale non può che avere comunque qualcosa di soddisfacente. Detto questo, Crash di J.G. Ballard non mi è piaciuto.
Romanzo pubblicato nel 1973 – e letto ampiamente fuori tempo per poter gioire del suo probabile effetto scandalizzante – Crash racconta le vicende di Ballard come testimone della vita di un certo Vaughan, uomo affetto da una forte perversione sessuale che lo porta ad associare (fondere?) il sesso con l’automobile e, in particolare, il sesso con gli incidenti e le menomazioni derivanti dall’utilizzo dell’automobile.
Libro spinto, molto spinto, non adatto ai palati raffinati – forse – che non cerca di nascondere il suo intento di critica allo snaturamento umano. Tutto molto condivisibile, nulla da dire, ma ripetitivo all’inverosimile e alla costante ricerca dell’eccesso. Un eccesso che in me non ha trovato radici, perlomeno quelle dello scandalo, perché non credo ci sia più nulla in grado di scandalizzarmi. Di certo, non la pornografia, sebbene mischiata alla malattia mentale psicopatologica.
Ballard utilizza lo stile di scrittura che sarà poi riconoscibile in autori successivi, uno su tutti Palahniuk, ma non riesce a tenere viva l’attenzione, perlomeno la mia. Sterminati elenchi di gesti erotici e di parti meccaniche protratti per pagine e pagine mi hanno costretto in alcuni tratti a una lettura obliqua, avevo proprio voglia di venirne fuori, insomma.
È un porno freddo, “inospitale”, scarsamente arrapante e, in fin dei conti, noioso.
Intento morale ottimo che, ripeto, condivido, ma narrativamente inaccettabile. Ani, vagine e cazzi non sono più sufficienti a tenere desta la mia attenzione, questo è un fatto. Il livello di perversione a cui ambisco per non cedere alla noia è di gran lungo più elevato e, magari, più malato.
Cercherò il film del 1996 di Cronenberg (indubbiamente la trama è carne per i suoi occhi) con James Spader, mi piacerebbe davvero sapere cosa sia riuscito a tirarne fuori. Alla prossima.

“Tutti i racconti Vol. 3 1960-1993” di Richard Matheson

Breve riepilogo dell’opera nel suo insieme: 4 volumi che raccolgono tutti i racconti di Richard Matheson. I primi due li trovi linkati più in basso, a fine post.
Questo terzo volume si occupa dell’arco temporale più lungo della produzione dell’autore, dal 1960 al 1993. Ho impiegato due mesi esatti per leggerlo: un po’ è colpa mia, un po’ è colpa di Matheson.

La prima metà del volume è assimilabile a quanto già letto nei primi due volumi, infatti è “passata” velocemente. I racconti sono originali e coinvolgenti. Tra questi, un paio molto famosi come Duel e The box, che hanno ispirato i film omonimi.

La seconda parte del volume, a differenza di quanto mi aspettassi, è risultata lenta e noiosa. Racconti poco coinvolgenti, sebbene scritti in modo eccellente con lo stile inconfondibile di Matheson. Uno su tutti Mr Mosca, nel quale un uomo cerca di uccidere una mosca nel proprio ufficio… per 20 pagine.
Si salvano giusto gli ultimi due, di ambientazione western. Anche qui, non tanto per la trama – pressoché inesistente – quanto per l’abilità dell’autore in un genere che io frequento poco ma che mi piace molto.

Ora, considerato il “peggioramento cronologico”, temo fortemente il quarto e ultimo volume con i racconti scritti dal 1999 al 2010. Vedremo.

Libri che ho letto di Richard Matheson:
Io sono leggenda (1954)
Tre millimetri al giorno (1956)
Io sono Helen Driscoll (1958)
La casa d’inferno (1971)
Ghost (1982)
Tutti i racconti Vol. 1 1950-1953 (2013)
Tutti i racconti Vol. 2 1954-1959 (2013)
Tutti i racconti Vol.3 1960-1993 (2013)