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“Putin – Vita di uno zar” di Gennaro Sangiuliano

Difficile parlare di questo libro, richiederebbe una discussione prolungata, tanti sono gli argomenti toccati. Non ho quindi intenzione di addentrarmi nei singoli fatti, poichè ogni vicenda richiederebbe la giusta trattazione. Sarò quindi sintetico e di parte. Sangiuliano è chiaramente un sostenitore di Putin, così come lo sono io, e ne evidenzia quindi tutti i lati positivi. Ne descrive la storia dalla nascita nel 1952 fino al 2016, passando per le guerre, le rielezioni, il miracolo economico russo, il terrorismo, l’Isis e tutto ciò che ne segue.

Ogni evento è basato sui fatti, senza false congetture o complottismi, quindi non ci sono dietrologie. Putin viene descritto come un uomo d’azione, che si è costruito da solo e si è guadagnato tutto quello che ha ottenuto. Dati alla mano, Putin ha sconfitto l’oligarchia riportando i beni al popolo, ha consentito che la poverta passasse dal 35 al 15% con la creazione di un benessere diffuso, che alcune piaghe sociali come la criminalità e l’alcolismo venissero pesantemente ridimensionate. C’è un capitolo intero di dati matematici sul confronto pre e dopo Putin che rende impossibile non considerarlo un parente di Superman. Oltre alle sue doti strettamente personali, intendo (tipo l’essere campione di Judo).

La cultura russa è talmente diversa dalla nostra che qualsiasi critica mi pare sinceramente impossibile (e inaccetabile). Si può non essere d’accordo con i metodi (forse), ma la coerenza è innegabile. Per un occidente che è abituato a dare lezioni di umanità, mentre da sempre vive rubando alla parte povera del mondo, Putin non può che essere un nemico. Per un binomio Europa-Usa che gozzoviglia nell’ipocrisia della falsa democrazia, un uomo del genere è un pericolo.

Si, sono uno di quelli che ritiene positivo ciò che è stato compiuto in Cecenia. Le guerre si fanno con i morti, non con le foto dei bambini, questa è la realtà. Pochi mesi, tutto risolto. Siamo così (falsamente) occupati a difendere i diritti di tutti che restiamo immobili. Putin è sicuramente fatto di un’altra pasta, la Russia è fatta di un’altra pasta. E’ un paese dove, dal 2000 in poi, gli interessi economici vanno a beneficio del popolo, non ci siamo abituati.

A qualcuno questo machismo economico-culturale potrebbe sembrare arretrato, ma perchè? Noi siamo forse più avanti? Dovremmo fare un passo indietro e imparare da chi vive ancora legato ai valori delle “antiche” potenze. Poi sicuramente si potrà riprovare a fare nuovi passi avanti, magari stavolta, non con i piedi nella merda.

“Rogue One: A Star Wars Story” di Gareth Edwards

La vicenda penso sia ormai nota a tutti, e per una volta farò una breve sintesi. Mooolto breve. Il film parla di come sia stato scoperto il punto debole della Morte Nera, che verrà distrutta in Star Wars: Una Nuova Speranza, attraverso il furto da parte dei ribelli dei piani di costruzione della macchina-pianeta.

E’ sicuramente un film divertente, come tutti i film della serie di Star Wars (ad eccezione de La minaccia fantasma, che faceva proprio cagare). C’è ritmo, frenesia, non ci si ferma mai. Però. Verrò sicuramente messo in croce per quanto sto per dire, quindi ci tengo anticipatamente a sottolineare che ritengo tutta la saga godibilissima ed unica nel suo genere. Il pregio principale di Star Wars è quello di portarti totalmente in un altro mondo, dove è normale tutto quello che accade. Cioè, si può mettere in dubbio la trama, alcuni personaggi, ecc., ma non si mette mai in dubbio la veridicità di questo universo parallelo costruito benissimo. E questo è grandioso. Ma..

Ma.. Star Wars Rogue One manca, a mio parere, totalmente di empatia, come tutti gli altri episodi. I personaggi sono divertenti, ci si affeziona come ci si affeziona a un bel giocattolo, ma tutto finisce qui. Un esempio: l’umanità del Ford-Deckard è totalmente superiore a quella del Ford-Solo (si, lo so che non c’è Harry in questo episodio!), e di conseguenza anche il coinvolgimento emotivo. Certo non si può avere tutto, Star Wars ha creato un mondo, ed è già moltissimo. Tuttavia, l’estremo fanatismo creato da questa saga lo considero esagerato, nella fantascienza preferirò sempre un Blade Runner, Alien o Interstellar. Potrei forse dire riguardo a Star Wars la temibile frase “visto uno visti tutti”. Che poi sia un piacere vederli tutti è sicuro, ma una volta visto il primo, la novità, l’innovazione, il coinvolgimento, sono da un’altra parte e non certo in tutto quello che è seguito. Diciamo che per me Star Wars equivale ad una serie televisiva ad altissimo costo.

Ah, altro pregio è sicuramente l’operazione vintage/amarcord in cui ci sono ancora superpulsanti giganti sulle astronavi, come nella fantascienza anni ’70. Ed i cattivi cascano come mosche (quelle armature bianche devono proprio valere un cazzo). Insomma, il bello del rivivere un cinema dei tempi andati (con tanto di attori della trilogia originale resuscitati con la computer grafica).

Sarò estremamente sintetico, ed in questa conclusione spoilero, quindi non leggere se devi ancora andare al cinema: alla fine di Rogue One muoiono tutti, solo che non te ne frega un cazzo. Ed in questo c’è qualcosa che non funziona.

“Millennium – La ragazza che giocava con il fuoco” di Stieg Larsson

Che dire, non ho molto da aggiungere rispetto a quanto già scritto per il primo volume Uomini che odiano le donne, sono nuovamente volate altre 750 pagine in un attimo. In copertina dicono “Entrate nel mondo di Stieg Larsson e non vorrete più uscirne!”, ed è una buona sintesi di quanto succede davvero.

Nel primo volume il tema centrale era un serial killer, qui si parla di mafia della prostituzione (trafficking) e di intrighi segretati che hanno al centro Lisbeth Salander, di cui si scopre molto, svelando quindi l’alone di mistero che la circonda. Il tema del serial killer mi è più caro, ma è una preferenza personale, non per questo saprei dire quale dei due libri è il migliore. C’è molta azione, molta più violenza rispetto al primo volume e molta più storia personale di Lisbeth. Questo romanzo è inoltre una introduzione a quanto succederà nel terzo, è chiaro dal finale (non spoilero).

Una menzione particolare ad una scena di combattimento di boxe (o quasi) che ti lascia col fiato sospeso per qualche pagina, e non è certo facile, a livello narrativo, sviluppare così bene una situazione palesemente più visuale che scritta. Altra curiosità: il buon Mikael Blomkvist riesce a trombarsi un altro membro della famiglia Vanger, è davvero incontenibile!

Forse Larsson non sarà ricordato per la profondità dei suoi romanzi, ma a livello di coinvolgimento è davvero inimitabile, sembra di vedere un film. E’ la classica lettura per cui  appena hai cinque minuti prendi il libro in mano e vuoi vedere cosa succede nella pagina dopo.

Ho già La regina dei castelli di carta pronto.

“Millennium – Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson

Credo che 700 pagine di tomo terminate in una settimana siano già un buon riassunto di quello che penso di questo libro. Mi ha totalmente coinvolto e anche stupito, ero scettico di fronte al “fenomeno editoriale”, ed infatti l’ho letto solo ora, ma mi sono dovuto totalmente ricredere. Narrativa pura al 100%, tutto intreccio e suspance, da rimanere senza fiato.

La storia è ben nota, anche perchè da questo volume hanno tratto due film, quello svedese e quello, più noto, americano di Fincher con Daniel Craig. Io ho visto solo quest’ultimo e devo dire che segue abbastanza il libro (salvo inevitabili concessioni e semplificazioni), ora però devo al più presto recuperare anche il primo, di Niels Arden Oplev.

Quello che mi ha più (piacevolmente) sorpreso è che in alcune parti, principalmente quelle di carattere finanziario, il romanzo è abbastanza complesso e, diciamo, non per tutti. Non è la classica lettura rilassante insomma, bisogna starci un minimo dietro. Già, perchè a contorno della vicenda principale, la ricerca dell’assassino, c’è tutta una sottotrama di carattere economico, che nel film viene trascurata per ovvie ragioni di tempo e di difficoltà di trasposizione.

Inoltre, c’è da dirlo come aneddoto, questo Mikael Blomkvist è un trombatore seriale, più che nel film. Riesce ad avere anche una storia con una dei membri della famiglia Vanger, oltre ad ovviamente con la sua direttrice della rivista Millennium e con la più che desiderabile Lisbeth Salander.

Ora mi dirigo velocemente sul capitolo finale della trilogia poliziesca di Stephen King, Fine turno, e poi mi fiondo su La ragazza che giocava con il fuoco, per forza.

“Sinistre Presenze – 17 Racconti horror impegnati” di AA.VV.

Sono generalmente poco incline a tutto ciò che provenga dall’Italia, che sia cinema, musica o letteratura. Questo libro tuttavia, mi è stato regalato, e di conseguenza ho provato ad affrontarlo con spirito nuovo, anche se tutti gli autori sono ovviamente italiani. Pensavo peggio.
Per prima cosa non bisognerebbe leggere l’introduzione, infatti dalle prime pagine si ha l’impressione di un libro schierato politicamente (almeno nella narrativa che la politica se ne stia fuori dalle palle), invece è solo un’intro a mio parere mal riuscita. I racconti sono socialmente impegnati, ma un impegno condivisibile di critica alla società, non uno schieramento destra-sinistra da stadio, che ancora è tanto di moda tra chi crede che esista davvero una divisione di questo tipo. Per capirci è un po’ una critica del tipo Zombie di Romero, argomenti di innegabile esistenza riguardo ai difetti del genere umano.

(Scrivo per chi ha già letto più che per chi deve ancora leggere.)
Detto questo i racconti sono altalenanti, alcuni molto coinvolgenti e interessanti, altri terribilmente noiosi. Non sto a farti titoli e nomi, non ne ho voglia. C’è però un ottimo racconto proprio sugli zombie come critica all’omologazione di massa, una divertente e anticlericale (con tanto di copula tra un prete e una suora) rivisitazione di Tremors e un bel racconto finale (questo più che per la trama per lo stile di scrittura) di Danilo Arona sulle pozioni magiche. Come contrappeso un paio di lunghi racconti veramente indigeribili, quello sul libro satanico e quello degli uomini che chiacchierano in osteria, entrambi estremamente pesanti e noiosi.

Metà e metà insomma. L’avrei comprato? Probabilmente no. Ed ora che l’ho letto? Si, qualche racconto vale davvero la pena di leggerlo, diciamo che si potrebbe ridurre a 10/12 racconti e salterebbe fuori proprio un bel libro. D’altra parte, con le raccolte di autori vari non può che essere così.
E’ comunque sicuramente apprezzabile questo intento di voler inserire dell’impegno sociale nell’horror, anche se è davvero molto difficile mantenere il giusto mix tra divertimento e critica, e solo in pochi autori ci riescono..

“Trafficanti” di Todd Phillips

Ah, non è la locandina del film? No? Devo aver sbagliato.. Si si, col cazzo che ho sbagliato. Ana de Armas scala con prepotenza la mia personale classifica salendo sicuramente sul podio del figametro, devo ancora capire bene dove, ma molto in alto. L’avevo già apprezzata in Knock knock, in cui faceva parecchio la birichina, ma qui ha proprio colpito al cuore, cioè, io adesso la amo e dobbiamo sposarci. E’ così versatile poi, da stupratrice di Keanu Reeves a mogliettina modello e incorruttibile di questo Trafficanti, ha proprio tutte le caratteristiche che si possono cercare.

Ah già, c’è anche il film.

Oscurato dalla presenza della carismatica Ana (non so se si è capito) il film è comunque ben godibile e divertente. Mi sono letto anche la storia vera di David Packouz (che fa un cameo) e Efraim Diveroli per non presentarmi impreparato e, per quanto il film sia sicuramente stato romanzato, la realtà non discosta troppo dalla fantasia: due freschi ventenni sono diventati davvero, senza troppa esperienza, due trafficanti d’armi internazionali per conto della Difesa degli Stati Uniti. Insomma il classico sogno americano che diventa realtà (reale). Condito con qualche battuta e gag classica dei film con Jonah Hill (che peraltro mi preoccupa molto, sta diventando un pianeta).

La classica ascesa e discesa in stile Scarface (a cui il film fa moltissmi riferimenti), anche se gestita in modo abbastanza leggero, non manca di divertire. Insomma se hai due ore guardalo, male che vada t’innamorerai.

“I serial killer” di Vincenzo M. Mastronardi e Ruben De Luca

Il fascino del serial killer è qualcosa che subisco da sempre. E’ sufficiente uno di quei programmi in seconda serata sui delitti irrisolti per incatenarmi alla TV senza possibilità di fuga. Conscio di questa mia inclinazione (all’informazione si intende, non all’omicidio) ho deciso di cercare un libro completo ed esaustivo sull’argomento per togliermi tutti i dubbi e le curiosità e avere un quadro generale abbastanza completo. Incredibilmente, al primo colpo, posso dire di averlo trovato.

La ricerca non è stata semplice, tra eBay, Amazon e recensioni varie ho fatto passare tutta l’editoria riguardante questo argomento. Quello che mi ha portato ad acquistare I serial killer sono stati i commenti dei lettori, c’era chi diceva “libro completo ed esaustivo anche dal punto di vista psicologico” e chi scriveva “se avessi saputo che era un libro a carattere universitario non l’avrei acquistato”. Ho capito subito che era un volume non per tutti, e la cosa non ha fatto che convincermi: era quello che cercavo.

Effettivamente un libro per tutti non lo è. C’è moltissima psicologia e l’argomento è trattato in modo assolutamente didattico, con pagine e pagine sulle varie teorie e gli approcci di diverse correnti di pensiero. In poche parole è un libro davvero universitario, talvolta per dare una definizione impiega più pagine vagliando le varie teorie in merito, ma questo non deve spaventare poichè in cambio offre una completezza incredibile. Letto questo volume (sono circa 900 pagine) non ho più alcun dubbio, nessun interrogativo che non sia stato analizzato. Certo, se cerchi qualcosa di cinematografico, è meglio se ti riguardi Il silenzio degli innocenti per la 200° volta.

Gli argomenti trattati sono moltissimi e non limitati ai “classici” nomi quali Bundy, Manson, Chikatilo noti a tutti e in certo modo commerciali. Vengono analizzati anche molti casi sconosciuti al grande pubblico (anche se molto più prolifici, si parla di 500/1000 omicidi per alcuni assassini come il Dr. Shipman) meno risaltanti dal punto di vista scenico (ossia dell’atrocità) ma non da quello psicologico. Passando per tutte le perversioni e deviazioni possibili, tra cui necrofilia, cannibalismo, pedofilia, onnipotenza, satanismo, vengono analizzate le differenze tra i serial killer uomini e quelli donna, tra le diverse aree geografiche e i tentativi (inutili) di cura. Ci sono centinaia di schede dedicate a praticamente tutti i serial killer (pare che per scrivere il testo siano stati analizzati più di 2200 casi) inserite ad hoc all’interno del testo quali esempi degli argomenti trattati. C’è un capitolo bellissimo sui casi nostrani (Girolimoni, compagni di merende, bestie di Satana, Izzo, ecc.). La quantità di informazioni e di spiegazioni è impressionante, è impossibile anche solo farne un riassunto esaustivo.

Che dire, letto questo volume non sento il bisogno di approfondire l’argomento nell’ambito generico, poichè ha soddisfatto tutte le mie curiosità. Non solo. Mi ha fatto venire voglia di approfondire invece le singole tematiche o i singoli casi, stimolando la mia passione. Adesso il difficile sarà riuscire a trovare qualcosa all’altezza di questa lettura che mi ha portato a una vera conoscenza della psicologia del serial killer, sempre troppo esemplificata dal cinema e dalla nostra cultura di massa.

“Tutto Sherlock Holmes” di Arthur Conan Doyle

Avevo iniziato il mammut-malloppone l’anno scorso, devo ammettere con pregiudizi sbagliatissimi. Questa “bibbia” racchiude tutto lo scibile riguardo allo Sherlock Holmes originale, ossia quello di Arthur Conan Doyle, in comodissime e praticissime (2 kg da portare in spiaggia) 1200 e passa pagine scritte in micronico. L’ho alternato ad altre letture per variare, ma devo dire fin da subito che, ora che ho terminato, Holmes e il fidato Watson già mi mancano.

Nel volume sono comprese tutte le opere (4 romanzi e 56 racconti), quindi:
• Uno studio in rosso
• Il regno dei Quattro
• Le avventure di Sherlock Holmes
• Le memorie di Sherlock Holmes
• Il mastino dei Baskerville
• Il ritorno di Sherlock Holmes
• La valle della paura
• L’ultimo saluto
• Il taccuino di Sherlock Holmes

Da ragazzino avevo letto Il mastino dei Baskerville, e ricordo che mi era piaciuto moltissimo, ecco, non è cambiato nulla. Doyle ti prende sia nei racconti che nei romanzi, non puoi sfuggire. E’ chiaramente una lettura “classica”, pulita, ma è comunque coinvolgente ed ogni volta ti fa sentire a casa grazie alla ritualità ripetitiva della costruzione della storia, all’ormai notissimo metodo deduttivo (che ricordiamo, ha inventato proprio Doyle) e alla consapevolezza dell’infallibilità dell’investigatore e alla fedeltà del suo amico Watson, che è poi colui che nella narrazione si occupa di mettere per iscritto le avventure.

Non si può aggiungere nulla oltre a quanto detto, Doyle è un incredibile maestro, sono rimasto davvero stupito, mi aspettavo qualcosa di noioso ed invece ho dovuto totalmente ricredermi. Spesso di Holmes si ricorda solo l’intuito incredibile ed il metodo deduttivo, ci sono però migliaia di sfaccettature meno note ed altrettanto interessanti, ad esempio la dipendenza dell’investigatore dalla droga quando è inattivo o la capacità camaleontica di travestimento o ancora la passione per gli esperimenti in ambito chimico.

In definitiva con pochi euro di investimento ti si apre un mondo intero da cui non vorrai più uscire, rateizzabile in diversi mesi di lettura. Se proprio dovessi essere pignolissimo ho trovato gli ultimi due libri leggermente sotto tono rispetto al resto, ma è proprio un voler trovare il pelo nell’uovo..

“12 anni schiavo” di Solomon Northup

Penso che scriverò in merito a questo il libro in modo un po’ sparso, così è.

Mi aspettavo un polpettone, essendo stato scritto nel 1853, invece sono stato piacevolmente sorpreso dallo stile fresco (per quanto si possa parlare di stile fresco considerato il tema) e dalla leggerezza con cui sono descritti i 12 anni di schiavitù a cui è stato sottoposto il protagonista, dopo essere stato rapito e privato della identità di uomo libero.

Avevo già visto il film di McQueen, bellissimo come tutti i suoi film, e dopo aver letto il libro non posso che apprezzarne ancora di più la regia. E’ uno di quei pochissimi casi in cui romanzo e trasposizione cinematografica si equivalgono, leggere il libro dopo il film devo ammettere che risulti quasi inutile (dal punto di vista conoscitivo), se non per sentire la storia dalle parole esatte di chi l’ha vissuta.

Questo romanzo ti consente di avere una visione precisa di cosa fosse la schiavitù in quegli anni, anche perchè chi scrive è una persona di cultura, cosa generalmente impossibile perchè gli schiavi venivano appositamente mantenuti nell’ignoranza più totale per evitare problemi. Solomon è invece un uomo che ha studiato, suona il violino e ha doti di artigiano. In realtà si intuisce una certa censura dovuta all’epoca, che limita i sopprusi subiti dagli schiavi alle frustate o comunque a punizioni “descrivibili”. Ma è chiaro, quando si parla di padroni “lussuriosi”, quali altre punizioni dovessero subire. Il padrone ha sullo schiavo qualsiasi diritto.

E’ una sorta di Fuga dal campo 14 del 1850. Quando l’uomo è ridotto in schiavitù il tempo sembra fermarsi, le differenze sono infatti minime a 150 anni di distanza. Quello che più mi colpisce di questi due libri è il concetto, più volte espresso in entrambi i romanzi, secondo cui chi nasce schiavo soffre molto meno rispetto a chi ha avuto modo di conoscere la libertà. E anche così non è forse ben detto. Più precisamente, chi nasce schiavo anela poco alla libertà, non la desidera come ci si aspetterebbe dovrebbe essere, non la immagina, non ha idea di cosa sia. Quello che io mi chiedo, o meglio, che chiedo a te perchè io la mia risposta la conosco, è questo: ormai è chiaro che siamo tutti schiavi, in modo più subdolo e meno cruento di Solomon certo, ma quanto siamo realmente coscienti di esserlo? Dove si ferma la nostra capacità di immaginare una reale libertà mai vista e provata?

“Il tiranno dei mondi” di Isaac Asimov

Prosegue la mia avventura galattica nel Ciclo Asimoviano, in particolare nel Ciclo dell’Impero (il Ciclo dei Robot l’ho letto prima di iniziare a scrivere su questo blog). Dopo Il paria dei cieli ho affrontato quindi in ordine cronologico (di scrittura) Il tiranno dei mondi. A breve leggerò Le correnti dello spazio, concludendo questa trilogia, per poi FINALMENTE arrivare al Ciclo della Fondazione, che non vedo l’ora di scoprire.

L’unica pecca del libro (e dopo procediamo ad inchinarci) non dipende ovviamente da Asimov, che è un genio assoluto e inimitabile del genere, ma nella traduzione del titolo. Il titolo originale è infatti The Stars, Like Dust (tradotto solo in poche edizioni in Stelle, come polvere) assolutamente più poetico e in linea con l’opera. Ma è una puntualizzazione fatta apposta per essere scassacazzo, chiariamoci.

Come al solito non starò a snocciolare la trama, composta da avventure, intrighi e viaggi stellari. Quello che lascia sempre a bocca aperta è il contesto in cui si svolge la vicenda, come viene storicizzato e reso coerente in millenni di storia dell’Umanità ormai alla conquista dell’Universo. Attualissimo direi anche il tema dei Tiranni che dominano su una serie di pianeti, dove ogni pianeta reclama la propria dignità e indipendenza dall’impero centrale. In questa gigantesca costruzione non manca comunque la visione dell’Uomo nel suo piccolo, con la storia d’amore e le conseguenti gelosie e paure del singolo individuo. L’avventuriero e la principessa, tema ripetuto in molte narrazioni, rivive qui ricordando una sorta di Guerre Stellari meglio costruita.

Non riesco ad esprimere bene ciò che Asimov crea nel lettore, o comunque in me in particolare. Quello che mi fa adorare questo scrittore è che, mentre l’adrenalina cresce nella trama, gli intrighi si infittiscono, la politica fa il suo orribile corso (come la nostra) e l’amore ha suoi alti e bassi, riesco a sentire costantemente, in sottofondo a tutto questo, il vuoto, il silenzio e la desolazione dello Spazio che avvolge tutto. Asimov riesce a far apparire piccolo anche un impero galattico composto da molti pianeti, come a ricordare, appunto, che in confronto all’infinito siamo granelli di polvere.