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“007 – No time to die” di Cary Fukunaga

C’è così tanto da “piangere”, a proposito di questo James Bond, che non so davvero da che parte cominciare. No time to die, esclusa qualche scena spettacolare e degna di nota, è fondamentalmente un film per persone brutte. Molto brutte. È un peccato, perché su Fukunaga (True Detective, una delle poche serie che mi siano piaciute, sai che le odio tutte) ci contavo tanto. Ma forse no, non è nemmeno colpa sua, poveraccio.

Sono demotivato e demoralizzato, la pianterei qui. Quindi cominciamo con qualcosa che mi farà subito dare del sessista. Che tanto del sessista me lo prenderò anche dopo, quindi vale la pena di portarsi avanti.
Mi sono perso venti minuti di film appena è comparsa. E, con buona pace della corrente imperante del momento, non aveva né liane di pelo sotto le ascelle né assorbenti mostrati con fierezza. Ana.

So che impazza il gossip online su di lei, poiché alla prima di 007 pare le sia sfuggito un capezzolo dal lato del vestito. Chiaramente chi si è meravigliato non deve aver mai visto Knock Knock, nel quale lei e Lorenza Izzo “stuprano” Keanu Reeves. Ma questa è un’altra storia.

Bond, torniamo a Bond. L’arma, questa volta, è rappresentata da un veleno selettivo (in realtà sono dei nanobots, ma semplifichiamo, considerato il pubblico target) che è in grado di colpire utilizzando il DNA. Il nemico, pronto a distruggere il mondo, è Rami Malek. Il co-nemico – non più nemico – è il grande Christoph Waltz. La bond girl (chiamo “bond girl” l’unica con cui Bond fa sesso, per convenzione) è la bellissima Léa Seydoux, già vista nel capitolo precendente, Spectre. Il resto, al solito, sono sparatorie e inseguimenti.

Qualcosa mi è piaciuto, cominciamo da quello, così non sbagliamo.
La parte iniziale, quella girata a Matera, per capirci. C’è ritmo, azione. C’è un Bond emotivamente permeabile (Craig non è Connery, e non lo è nel modo giusto). La scena nella quale si fa sparare contro i vetri della macchina, non reagendo, è qualcosa di fantastico. Lì Bond è pronto a morire, pur di capire cosa stia accadendo nella sua vita, pur di capire di chi si possa fidare. Craig è superlativo, te lo tromberesti anche da uomo. Vorresti essere lui. L’inseguimento in auto, e poi in moto, è alla vecchia maniera, è James Bond. Ecco, sì. È James Bond, quella parte è James Bond.
Poi mi è piaciuta Ana. Non si era capito, vero?
Anche il secondo inseguimento non è male, quello tra fuoristrada. Funziona.
La scena dell’interrogatorio con Waltz è bella, con ancora una puntatina nella nuova vulnerabilità di 007, che ha dei tratti umani, un po’ – se vogliamo fare il paragone – alla Batman di Nolan.

Poi arriviamo ai Ghostbusters donne. O alla fatina di Cenerentola transessuale, se preferisci. Arriviamo al politicamente corretto a tutti costi, e regolarmente imposto nel modo sbagliato. (Arriviamo anche a scene di machismo esasperato, a controbilanciare il peggio con il peggio, ma vediamo dopo). E qui, però, prima di procedere, vorrei fare un piccolo fuoripista su come la penso.
Flusso di coscienza, senza troppo ordine.

Io sono per il partito dell’amore libero. Io credo che le persone dovrebbero trombare in strada, davanti a tutti. Uomini con donne, uomini con uomini, donne con donne. Bianchi con neri (sì, se dico bianco, posso anche dire nero, senza offendere nessuno), elefanti con giraffe o quel cazzo che preferisci. Io non ho mai capito perché nei negozi di giocattoli si possano vendere le pistole finte (che sono l’imitazione di uno strumento di morte, ricordiamolo) ma ci si debba scandalizzare quando un bambino vede due persone che fanno l’amore. Siamo riusciti (tanto, forse tutto, è dovuto ai credenti/creduloni) a trasformare una cosa naturale in scandalosa, e a rendere “commerciale” il Male (sì sì, tutti hanno giocato a indiani e cowboy – vallo a dire agli indiani, testa di cazzo). Non ho mai visto due zebre che si nascondano dai cuccioli per avere rapporti sessuali, ma vedo sparatorie e morti ammazzati in tv, senza problemi. Credo nella meritocrazia, non in quote imposte per una finta uguaglianza, anche se capisco che, talvolta, l’obbligo possa essere l’unica via per addomesticare le capre. Credo nella diversità, perché non siamo tutti uguali, tra maschi e femmine meno che meno. Il Male non è la differenza, ma quello che siamo riusciti a farla diventare, una questione di superiorità/inferiorità. Ma cosa potevi aspettarti? La specie umana non è certo destinata a una grande evoluzione. E non voto, non voto mai, perché mi fanno tutti schifo. Un po’ come gli esseri umani, in fondo. Mi fermo.

Detto ciò, quello che avviene in James Bond è sintetizzabile in questo (qui c’è un piccolo spoiler, ma niente di pericoloso): abbiamo uno scienziato che si prostituisce al miglior offerente, per vendere la propria anima a chi vuole fare solo del male. Lo vedi dall’inizio che è una persona di merda. È uno che merita la morte dai titoli di apertura. Uno che, in una storia normale, verrebbe ucciso già durante il casting. Invece no, viene tenuto miracolosamente in vita e non si capisce il perché. Poi dice una frase razzista e, finalmente, lo ammazzano. E allora capisci. Capisci che doveva dire quella frase ed essere ucciso (un po’ come il vero spirito di 007, insomma). Peraltro una frase razzista pronunciata di fronte al nuovo 007 che, guardacaso, è donna e, guardacaso, è nera.
Ma è questo il livello? Perché se per lanciare un messaggio corretto, dobbiamo creare “Holla e Benja”, allora si è già fallito.

Dopodiché, non bastasse tutto questo, James Bond si trasforma in James Rambo. In una scena da machismo estremo anni Ottanta, Craig sale delle interminabili scale e uccide tutti a colpi di pistola. So che dire irreale in 007 significa poco, ma questa parte del film lo è. Non diverte, non emoziona. È degna del peggior Steven Seagal. È il dover controbilanciare per forza, il far contenti tutti e non deludere nessuno.

Ora dirai: «Ma questo è per l’amore libero, ma contrario a uno 007 femmina. Ce l’ha con il machismo, ma apprezza Ana de Armas. Vuole rimanere nel passato, pur accettando la nuova emotività di Bond. Dice che si farebbe Craig, ma pare sessista. Non si capisce nulla».

È così, la vita è una cosa complessa. Gli schemi vanno bene per gli stupidi, se ti piacciono vai pure a votare (sono favorevole a questo, allora DEVO essere contrario a quell’altro). Ma non è rinnegando il passato che si cambia il futuro. Bond è Bond, con i suoi pregi e i suoi difetti, e se non deve essere Bond forse val la pena che muoia davvero (questa è proprio per chi ha visto il film).
Spero non resuscitino un Cavill, un Elba o, peggio che peggio, una terribile Lashana Lynch, per il prossimo 007. Perché rischiamo che uccida solo chi parcheggia senza permesso nei posti riservati ai disabili.
A quel punto, a morire, potrei essere io.

Ho letto una bella frase riassuntiva, in un’altra recensione che parla di questo film, su MyMovies. Avrei voluto farla mia, ma la verità è che l’ha scritta una donna, e la cosa mi fa piacere, perché forse non sono il solo a vedere le cose in modo simile e forse mi salvo da stupide accuse di sessismo.
Una tagline perfetta: “Ogni epoca ha il Bond che si merita.”

“Knives Out – Cena con delitto” di Rian Johnson

Sono andato a vedere Knives Out – Cena con delitto aspettandomi qualcosa di molto simile a Assassinio sull’Orient Express e non sono rimasto deluso. Di Rian Johnson, peraltro, avevo già visto Brick – Dose mortale, Looper e Star Wars: Gli ultimi Jedi (che non ricordo nemmeno quale fosse della saga: Star Wars mi ha stufato). Per questo giallo, in stile Agatha Christie (non a caso Johnson dichiara apertamente di essersi ispirato a diversi film tratti dai romanzi della nota scrittrice britannica), è stato inoltre messo insieme un cast eccezionale: Chris Evans, Jamie Lee Curtis, Toni Collette, Don Johnson, Michael Shannon,  Christopher Plummer e, ovviamente, un leggermente imbolsito Daniel Craig (che non vedo l’ora di rivedere nei panni di James Bond in 007No Time to Die).
Ma che cazzo, piantiamola di dire stronzate…

Sono andato a vedere Knives Out – Cena con delitto per lei, Ana de Armas. Il “delitto” è chiaro ed evidente fin da subito: questa povera e umile ragazza è stata imbruttita (è un termine un po’ forte, lo so) e resa quasi irriconoscibile nei panni di una sciacquetta qualunque, ben lontana dalla bellezza androide di Blade Runner 2049 o da quella innocente e casalinga di Trafficanti. Ma, soprattutto, in un ruolo totalmente diverso da quello che tutti ricordiamo e che l’ha resa indimenticabile: la pazza psicopatica di Knock Knock. Anche ora, mentre scrivo, non posso immaginare cosa abbia provato Keanu Reeves nell’essere violentato dalle due protagoniste di quel film (per ben due volte, prima sotto la doccia e poi nel letto, mentre veniva chiamato “papino”). Non riesco a dimenticare il terrore nei suoi occhi e gli inutili tentativi con i quali provava a ribellarsi a quella tortura.

Knock Knock (2015) di Eli Roth

Ti prego, non farmici più pensare, è uno strazio. Torniamo a Knive Out
C’è un omicidio, un ricchissimo scrittore muore con la gola tagliata. Attorno a lui una famiglia di parassiti, un’infermiera dolce, bella e premurosa (ehm…), due agenti di polizia e un detective privato. Non posso certo dirti altro, essendo un giallo. Tuttavia ti anticiperò che il mistero non risiede solo in chi abbia compiuto il delitto, ma in tanti altri piccoli dettagli che servono a tenere sempre desta l’attenzione e l’interesse. E ci riescono.

Probabilmente non ricorderò Knive Out a lungo, come tutti i gialli si basa su un mistero che, una volta svelato, rende quasi inutile qualsiasi ulteriore visione del film. Però mi è piaciuto, è intrattenimento allo stato puro e centra il suo obiettivo in pieno. Due ore sono volate come niente, grazie anche a una buona dose d’ironia che non guasta mai. Insomma, te lo consiglio, se vuoi svagarti è l’ideale.
Ma smettiamola: c’è Ana de Armas, serve altro?

“Blade Runner 2049” di Denis Villeneuve

Lo dico subito: Villeneuve non mi ha deluso nemmeno questa volta. E sì che il rischio era alto, andando a confrontarsi con una delle pietre miliari della fantascienza. (Recentemente, peraltro, ho visto il suo Enemy: stupendo.) Blade Runner è stato trattato con la venerazione che merita, senza cadere nella tentazione di strafare. E’ come se il regista abbia esplorato nuove zone dell’universo creato da Dick evitando di cercare di imitare il film di Scott, ma ampliandone gli orizzonti geografici. E’ un film carico di smog, nebbie, deserti urbani. Era un seguito indispensabile? Forse no. E’ un buon seguito? Sicuramente sì, e accade di rado.

Trama, non spoilero. Dai primi dieci minuti salta subito fuori che, trent’anni prima delle vicende narrate, è nato un bambino da una replicante. Su questo gira tutta la storia. Di chi è il bambino? Chi è? Se i replicanti potessero riprodursi sarebbe un nuovo gradino dell’evoluzione? Non aggiungo altro, per non togliere il gusto della visione.

C’è qualcosa di disumanizzante nel seguire le vicende di Gosling, che è a sua volta un replicante (si sa fin da subito), qualcosa che però viene smorzato dal suo bisogno di compagnia, che lo rende comunque “umano”, in un certo modo. E poi beh, la compagnia gliela offre Ana de Armas sotto forma di ologramma. Amore tra androidi, difficile da digerire inizialmente, ma poi ci si abitua. Soprattutto perché è Ana.

Ci sta anche Harrison Ford nei panni di Deckard invecchiato, è ormai una parte a cui sarà abituato, dopo Ian Solo e Indiana Jones.

Quello che mi è mancato è l’angoscia che il Blade Runner dell’82 ti lascia nell’animo ogni volta che ne termini la visione. Quel misto tra comprensione e tristezza che provi nei confronti di Rutger Hauer durante il suo ultimo monologo.
Ma non si può avere tutto (così dicono).

“Trafficanti” di Todd Phillips

Ah, non è la locandina del film? No? Devo aver sbagliato.. Si si, col cazzo che ho sbagliato. Ana de Armas scala con prepotenza la mia personale classifica salendo sicuramente sul podio del figametro, devo ancora capire bene dove, ma molto in alto. L’avevo già apprezzata in Knock knock, in cui faceva parecchio la birichina, ma qui ha proprio colpito al cuore, cioè, io adesso la amo e dobbiamo sposarci. E’ così versatile poi, da stupratrice di Keanu Reeves a mogliettina modello e incorruttibile di questo Trafficanti, ha proprio tutte le caratteristiche che si possono cercare.

Ah già, c’è anche il film.

Oscurato dalla presenza della carismatica Ana (non so se si è capito) il film è comunque ben godibile e divertente. Mi sono letto anche la storia vera di David Packouz (che fa un cameo) e Efraim Diveroli per non presentarmi impreparato e, per quanto il film sia sicuramente stato romanzato, la realtà non discosta troppo dalla fantasia: due freschi ventenni sono diventati davvero, senza troppa esperienza, due trafficanti d’armi internazionali per conto della Difesa degli Stati Uniti. Insomma il classico sogno americano che diventa realtà (reale). Condito con qualche battuta e gag classica dei film con Jonah Hill (che peraltro mi preoccupa molto, sta diventando un pianeta).

La classica ascesa e discesa in stile Scarface (a cui il film fa moltissmi riferimenti), anche se gestita in modo abbastanza leggero, non manca di divertire. Insomma se hai due ore guardalo, male che vada t’innamorerai.