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“The life of Chuck” di Mike Flanagan

Ti avevo già parlato de La vita di Chuck quando avevo letto l’ottima raccolta di racconti di Stephen King Se scorre il sangue, quindi già sai che il racconto era veramente bello. E no, King non scrive solo horror, ma questa è difficile da far digerire al pubblico (che ha sempre bisogno di etichettare tutto per sentirsi a proprio agio). Mike Flanagan, invece, fino ad ora aveva diretto solo robe horror (o molto affini) e questo è, credo, il suo primo sconfinamento. A me Flanagan piace, sia nelle serie che nei film, ti cito solo Oculus – Il riflesso del male e Midnight Mass come esempi, ma c’è altro suo di notevole (peraltro è al terzo adattamento – di seguito – da King).

Te lo dico subito, The life of Chuck mi è piaciuto. Non lo definirei certo, come indicato sul poster, “il miglior adattamento di Stephen King mai realizzato”, ma quello è marketing. Flanagan fa un buon compitino, ma questo non toglie che non sia Reiner e nemmeno Darabont. E ti cito nomi relativi a film “filosofici” tratti da King (un paragone onesto), senza spingermi su campi, appunto, horror, con De Palma, Carpenter o… ancora Reiner e Darabont!

Un po’ di trama, dai. Il film, come il racconto, è diviso in tre atti e parte dalla fine.
Atto tre: Grazie, Chuck! – Il mondo sta per finire. Seguiamo la vita di alcune persone che assistono a disastri sempre più catastrofici (senza che ci vengano mostrati). Dappertutto compaiono ringraziamenti diretti a un certo contabile di nome Charles “Chuck” Krantz per “39 fantastici anni”.
Atto due: Artisti di strada – Una batteria viene suonata da un’artista di strada. Chuck, contabile di 39 anni, si ferma a ballare coinvolgendo una donna. Offre al pubblico un vero e proprio spettacolo, una cosa da lasciare con la bocca aperta.
Atto uno: Contengo moltitudini – La giovinezza di Chuck. Genitori morti, vita con i nonni. Grande passione per la danza, destino da contabile. Un cupola in cima alla casa che nasconde qualcosa.

Nel vedere il trailer avevo pensato che ci fossimo: cazzo, stavolta si piange. Sentivo proprio il “groppo” in gola. E invece no. Per questo ti ho parlato di “compitino”, perché qualcosa manca in un film molto delicato, forse troppo. Eppure ci sono dei momenti di poesia stupendi: uno su tutti lo spegnimento delle stelle nell’atto tre (forse la sequenza più bella di tutto il film). La lacrima, tuttavia, non scende. C’è sempre un certo contenimento, anche nella scena di ballo che, con poco, sarebbe potuta esplodere (mi viene in mente il ballo simile e carico di significato di Mikkelsen in Druk).

Oh, chiariamoci, è un bel film, vai a vederlo. Poi io l’ho visto nel cinema di paese, dove ho preso due biglietti con 8 euro invece di comprarne uno con 10 nella blasonata multisala monopolistica cittadina. Quindi nessun rimorso.

“Una celebrazione della vita”… non lo so.
Qui ti offrirei una doppia lettura.

La prima è per gli ottimisti.
Chuck ama la danza ma nella vita finisce a fare il contabile. Nonostante un lavoro noioso, Chuck riesce a vivere dei piccoli momenti di piacere – tra i quali quello del secondo atto – celebrando la sua passione e sapendosi accontentare di queste gioie inattese.

La seconda è per i realisti.
La parola chiave diventa “accontentare”. La vita uccide la passione di Chuck che può solo accontentarsi di piccoli momenti che gli ricordano, appunto, la sua vera passione, alla quale ha dovuto rinunciare.

Hai presente quando ti dicono che devi saperti accontentare delle piccole cose? Ecco. Tipo me, oggi, che mi stavo lavando i denti mentre rispondevo ai messaggi di lavoro sul telefono e con un piede libero accarezzavo il cane. Tutto per guadagnare tempo e, magari, riuscire a fare una corsetta nel pomeriggio. Spoiler: ho interrotto la corsa per lavorare.
Contengo moltitudini, sì, che si spengono come le stelle di Chuck.

Fanculo l’accontentarsi delle piccole cose, rimango realista.

“Fairy Tale” di Stephen King

C’è qualcosa che devo premettere prima di parlarti di Fairy Tale, il nuovo romanzo di Stephen King. Non amo i gialli, e infatti ne leggo pochi. Non amo i romanzi storici, e infatti ne leggo pochi. Non amo del tutto i sentimentali, e infatti non ne leggo. Ebbene, anche il fantasy non è tra i miei generi preferiti eppure… eppure un po’ ne ho letti, di fantasy. Tutti i must, per capirci. Il Signore degli Anelli, ovviamente (ed è immenso), La Saga di Terramare, Le Cronache di Narnia… solo per citarne alcuni. Di King, nel genere, ho letto Gli occhi del drago e, sempre che possa considerarsi un fantasy – ma non credo proprio – tutta la stratosferica serie de La Torre Nera. Non ho ancora letto Il Talismano e La casa del buio, sono tra quei tre libri che lascio indietro che cito sempre a fine post.

Perché non apprezzo il fantasy? Perché il fantasy, a differenza dell’horror e della fantascienza, si pone già in una condizione di totale irrealtà che rende difficile empatizzare con i personaggi, capirne le turbe e i problemi. Mi spiego. Posso immaginare come mi sconvolgerebbe, a livello emotivo, un’invasione aliena o una creatura che esce dal fosso dietro casa (si parla di un reale che conosco che si scontra con l’immaginario/imprevisto), ma non riesco a identificarmi in un mondo dove elfi, draghi e giganti siano sempre eistiti. Come potrei? Non è il mio mondo. È un vero e proprio scostamento dal vivere quotidiano. Per me, almeno.

King, con Fairy Tale, fa qualcosa di grandioso, almeno inizialmente. In un romanzo di 700 pagine, le prime 200 non hanno nulla di fantasy.
Boom.
Le ho letteralmente divorate, quelle 200 pagine. Mi son ritrovato in un’atmosfera che ricordava moltissimo il racconto Il telefono del signor Harrigan (da Se scorre il sangue – tra poco ne uscirà il film su Netflix).

Un ragazzo, Charlie, entra in confidenza con il misterioso e burbero anziano che vive nella casa in cima alla collina e che ha palesemente qualcosa da nascondere. La madre di Charlie è morta in un incidente e il padre è un ex alcolizzato. A Charlie, alla sua storia, ti affezioni. Poi Charlie scende nel pozzo nascosto dietro la casa e raggiunge un altro mondo, insieme al fido cane Radar. E, all’inizio, funziona tutto comunque, perché quelle 200 pagine (il mondo reale) te le porti dietro. In quel pozzo ci stai scendendo anche tu, con tutti i tuoi problemi tangibili.
Ma, ahimè, non dura.
Non dura perché King questa volta calca la mano e – tra grilli semi-parlanti, principesse e gigantesse – ho avuto la sensazione (lo sto per dire, mai avrei immaginato) che il Re cercasse di parlare ai giovani… come lo farebbe un “vecchio” che cerca di imitare il loro linguaggio. A pagina 300 il mondo reale, che mi ero tenuto tanto stretto, l’ho dimenticato e ho cominciato ad annoiarmi (per inciso, il primo libro che ho letto di King è stato Gli occhi del drago e, nonostante fosse un fantasy puro, l’ho adorato). La storia prosegue con un regno che è stato usurpato e che deve essere riconquistato da un principe e una principessa. Mi fermo.

Non è stato sufficiente l’omaggio a Bradbury e a Il popolo dell’autunno per emozionarmi. Magari sono io, magari quel linguaggio funziona benissimo e i giovani, che oggi divorano i fantasy, rimarrranno soddisfattissimi da questo romanzo di King. Non lo so. Io appartengo a un mondo che è “andato avanti” e che “non ha dimenticato il volto di suo padre”. Un altro mondo, insomma, probabilmente posto lungo un altro Vettore, dove non gira una meridiana ma la ruota del Ka.

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)
L’ultima missione di Gwendy (2022, con Richard Chizmar)
Fairy Tale (2022)

I fumetti (sempre solo quelli di cui ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)
Il grande libro di Stephen King di George Beahm (2021)

“Se scorre il sangue” di Stephen King

Ho finito ieri Se scorre il sangue (If it bleeds) e la domanda che mi sono posto subito dopo è stata: «E ora cosa leggo?». Già, perché, come ti ho sempre detto, Stephen King è casa. E, se King è casa, Se scorre il sangue è la poltrona comoda che conosci da sempre, che ti coccola le chiappe dall’infanzia alla vecchiaia. Un libro vero, un Re in gran spolvero che richiama i vecchi tempi quando i racconti erano tutti dentro le sue (vere) raccolte e non travestiti da romanzi. Se scorre il sangue raccoglie il triplo del materiale di Elevation e La scatola dei bottoni di Gwendy messi insieme ed è all’altezza de Il bazar dei brutti sogni (l’ultimo che mi è davvero piaciuto). Credimi, se la giocava duro, perché ultimamente mi sono riascoltato in audiolibro le raccolte “classiche” A volte ritornano e Scheletri (momento di nostalgia, le ho lette che avevo… lasciamo stare).

Mi è piaciuto tutto. La copertina, rossa, che nell’edizione italiana della Sperling & Kupfer è anche migliore di quella arancione (?) originale. La traduzione, questo Luca Briasco è fresco, ti tiene attaccato alle parole come faceva Tullio Dobner. La dimensione dei racconti, brevi sì (500 pagine, 4 racconti), ma non troppo da non farti entrare completamente nella storia, a braccetto dei personaggi. E ora, cosa leggo?

Il telefono del signor Harrigan
L’amicizia tra un ragazzino e un ricco magnate ritiratosi (quasi) a vita privata. Craig legge al miliardario dei romanzi nei lunghi pomeriggi e lo erudisce sull’utilizzo della tecnologia, regalandogli un Iphone. Diffidenza e rispetto si mescolano fino alla morte dell’uomo, che si porterà lo smartphone nella tomba…

La vita di Chuck
Indescrivibile dal punto di vista della trama, è la somma di tre racconti. Ma è anche una stupenda celebrazione della vita e della scrittura. Il titolo del terzo capitolo, Contengo moltitudini, è la perfetta sintesi di questa opera d’arte.

Se scorre il sangue
Bello e coinvolgente ma (devo dirlo, tirandomi addosso le ire di tutti) il racconto che ho comunque preferito meno. Holly Gibney (sì, quella della trilogia di Mr. Mercedes) si trova alle prese con un altro Outsider. La storia fila via che è un piacere, ma a me la protagonista non ha mai fatto impazzire nemmeno nelle altre sue comparse, mi spiace.

Ratto
Torna il tema della scrittura e delle tempeste interiori che deve affrontare l’autore. King è bravissimo nel descriverle (se non lo sa lui, considerato il suo passato…). Questo racconto mi ha fatto venire in mente una frase di Hemingway: “Non ci vuole niente a scrivere. Tutto ciò che devi fare è sederti alla macchina da scrivere e sanguinare”. Ecco, Ratto ne è una buona rappresentazione e Drew Larson, che ha già avuto un esaurimento nervoso tentando di scrivere un precedente romanzo, dovrà affrontare tutti i suoi demoni, isolato dal mondo e pronto per una nuova stesura.

Sebbene, rispetto al passato, abbia notato un crescente aumento di product placement (non solo Iphone, ma anche Netflix, Amazon, ecc.), Se scorre il sangue scorre anche nella lettura. Credo che di meglio, al momento, non si possa chiedere, salvo lo zio Stephen non decida di tirar fuori dal cilindro un’altro romanzo costola de La torre nera. Un buon libro con cui iniziare, ma anche uno con cui ricordare i tempi andati. I migliori, sempre.

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (me ne mancano 4), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)