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“L’ultima missione di Gwendy” di Stephen King e Richard Chizmar

L’ultima missione di Gwendy, di Stephen King e Richard Chizmar, è il terzo e ultimo capitolo della trilogia di Gwendy, dopo La scatola dei bottoni di Gwendy, sempre scritto a quattro mani, e La piuma magica di Gwendy, del solo Chizmar. Si chiude, quindi, l’avventura della ormai sessantaquattrenne – e senatrice – Peterson.

2026, Gwendy è passeggera in una missione spaziale. Ha con sé la scatola dei bottoni e la sua, di missione, è esattamente quella di liberarsene. Nessuno spoiler, tranquillo, è tutto messo in chiaro da subito. Il nemico contro il quale combatte Gwendy, però, è un Alzheimer precoce, forse causato dalla scatola stessa. Un nemico che può pregiudicare la missione, dal momento che Gwendy fatica a ricordare anche come si faccia il nodo alle scarpe. Mi fermo.

12, 36, 64. No, non sto dando i numeri, queste sono le età di Gwendy nei tre romanzi della serie. Nel primo – il più brillante per l’idea, ma terribilmente breve – era una ragazzina impaurita; nel secondo, una donna che aveva già raggiunto parecchi obiettivi; nel terzo, un’anziana vedova con il desiderio di dare un senso alla sua strana vita. Questo era per fare il punto.

L’ultima missione di Gwendy è senza dubbio l’episodio più corposo (330 pagine vere) della trilogia, con il maggiore approfondimento psicologico della protagonista. È anche il romanzo più kinghiano dei tre, con Gwendy che combatte costantemente con il proprio handicap (come tanti dei personaggi del Re, costretti a vedersela con il Male che li attacca sia da fuori che da dentro). Il finale è all’altezza della storia, te lo dico perché sappiamo che il rischio è quello dello scivolone. Nessun alieno che gioca con gli umani questa volta (vedi The Dome), non temere.

King ti riporta lì, dove tutto è iniziato. Ho amato i richiami alla Torre. La nostalgia dei Vettori. Gli uomini bassi (can-toi) in soprabito giallo. C’è un pagliaccio a Derry. C’è il Male.

Non ho mai ritenuto King uno scrittore verboso o prolisso, ma so che per alcuni il suo modo di narrare risulta troppo lento. Inutile dire che io lo adoro. Credo, però, che il contributo di Chizmar si veda soprattutto in questo: lo stile è molto più veloce e scorrevole. Leggero, si potrebbe dire. Se non hai mai letto nulla di King, la trilogia di Gwendy potrebbe essere un buon primo gradino. Io, invece, attendo con ansia che esca in Italia Chasing the Boogeyman, dello stesso Chizmar (lo anticipano nell’aletta della copertina, non me lo sto inventando).

E finisce così, tra le stelle, perché ora non riesco a pensare ad altro. La forza della Torre mi ha ripreso, chissà che non decida di ricompiere il viaggio con Roland verso il fine-mondo. Ora o più avanti, qui o altrove.
Ci sono altri mondi oltre a questo.
Hile.

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)
L’ultima missione di Gwendy (2022, con Richard Chizmar)

I fumetti (sempre solo quelli dii cui ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)
Il grande libro di Stephen King di George Beahm (2021)

“La piuma magica di Gwendy” di Richard Chizmar

Gwendy Peterson è tornata o, meglio, non se ne è mai andata. A voler essere pignoli, ad essersene andata era stata la “scatola dei bottoni”, comparsa in La scatola dei bottoni di Gwendy, ed è la scatola ad essere tornata… Gwendy se la ritrova tra le mani a trentasette anni, all’improvviso, così come era accaduto la prima volta. La scatola, come sempre, elargisce dollari Morgan datati 1891, cioccolatini “ricostituenti” e può, ovviamente, causare una catastrofe (ovunque nel mondo) semplicemente schiacciando uno dei suoi pulsanti colorati. Gwendy ora è una donna di successo, attiva in politica e autrice di bestsellers, con molto più controllo sulla propria vita di quanto ne avesse da ragazzina. Tuttavia la scatola non agisce solo in modo evidente e Gwendy lo sa bene. La scatola è una responsabilità. In questa “seconda puntata” Gwendy torna a Castle Rock, dove delle ragazze stanno sparendo misteriosamente, forse per mano di un serial killer. Mi fermo.

La piuma magica di Gwendy è un romanzo davvero molto scorrevole, l’ho letto in due giorni. Temevo che l’assenza di Stephen King si sarebbe fatta sentire, invece Richard Chizmar (del quale non avevo mai letto nulla, se non in accoppiata con il Re) mi ha stupito in modo positivo. È un peccato non poter leggere altro di suo, so che ha scritto anche delle raccolte di racconti, ma mi pare che in Italia non siano state tradotte.

In realtà, in questo romanzo ad essere centrale è Gwendy, più che la storia. La conosci meglio, capisci come ragiona e come è cresciuta. Per più della metà del libro segui le sue giornate e i suoi riti, prima che succeda davvero qualcosa. È difficile tenere viva l’attenzione puntando tutto su un personaggio e lasciando da parte la trama, ma Chizmar ci riesce lo stesso (spero che traducano i suoi racconti al più presto). Immagino che La piuma magica di Gwendy funga proprio da ponte per arrivare a L’ultima missione di Gwendy con un maggiore senso di empatia nei confronti di Gwendy stessa. Se l’obiettivo era questo, Chizmar l’ha centrato. Gwendy mi piace ora, più di prima.

A proposito, ti anticipo che L’ultima missione di Gwendy sarà il prossimo romanzo del quale mi sentirai parlare. Di solito non leggo in sequenza libri collegati tra loro, ma la mia memoria è debole e ho notato che non ricordavo molto del primo episodio della trilogia, quindi non voglio far passare altro tempo prima di concluderla.

“Il grande libro di Stephen King” di George Beahm

Sto per parlarti de Il grande libro di Stephen King di George Beahm ma, soprattutto, sto per scrivere una lettera d’amore. Tu lo sai bene quanto King sia importante per me. È sempre lì, che mi segue, che mi accompagna. È lì da quando ho cominciato a leggere davvero, con Gli occhi del drago (una scelta consapevole, non un’imposizione scolastica). È lì dal primo film horror che ho intravisto, quasi di nascosto. È lì dal primo libro che non ho potuto aprire (It) perché «sei troppo piccolo per quello». Come un parente, come un amico. Come un’eterna ispirazione. Mi ci sono laureato, con King (e non nel senso metaforico). Ho letto tutto, ma non tuttissimo (indietro: Il talismano, La casa del buio, La storia di Lisey) perché ho paura di cosa non-succederà dopo, ho paura che si possa fermare la ruota del Ka.

Ancora, non credo di essere stato chiaro.
Avrei voluto essere Mick Jagger, sì. Cantare su un palco, adorato come una divinità. Vivere una vita pienissima, mentre tutti si chiedono come io faccia a essere ancora vivo, tra droga, drammi ed eccessi.
Avrei voluto essere uno di quegli attori bravi e irresistibili. Un Robert Redford, un Brad Pitt. Uno di quelli che non devono “chiedere mai”.
Ma non avrei voluto nascere al posto di Stephen King, quello no. Mi sarebbe piaciuto, piuttosto, essere un suo amico, un vicino di casa. Quello con il quale condivide il pranzo della domenica, con cui beve una birra sotto il portico in una calda serata estiva. Quello che ha l’opportunità di apprendere dal Re. Perché io King lo ammiro davvero. Sono il suo fan numero uno (Annie Wilkes style).

Per inciso: lo so, lo so, che c’è tutta una pletora di pseudoletterati frustrati che ritiene King materiale da bancarella o da supermercato. Evidentemente non l’hanno mai letto. In ogni caso, per riassumere quello che penso di loro, ci sta molto bene una citazione da Scent of a woman del grande Al Pacino: «Dovunque siate laggiù… andate a fare in culo!»

Tutto questo per dire cosa? Te lo starai chiedendo, giustamente.
Tutto questo per dire che George Beahm, con il suo supermegamaxitomo da 640 pagine (scritto nemmeno-troppo-grande, avrebbero potuto essere 1000), ci è riuscito abbastanza bene a farmi sentire quel vicino di casa, quell’amico. Non lo dico così per dire, è la prima volta che un saggio su King mi fa questo effetto.

Di cosa parla Il grande libro di Stephen King? Di tutto, semplicemente. C’è la storia della vita di King, le interviste, indicazioni sulle edizioni da collezione, filmografia con aneddoti vari, siti internet e tante, tantissime immagini in bianco e nero (oltre a un inserto a colori con le tavole di Michael Whelan su La Torre Nera – sito dell’artista: MichaelWhelan.com).

Beahm è riuscito a emozionarmi anche dove è “già stato detto tutto”. Mi riferisco all’avvio della carriera del Re, quando riesce a vendere il suo primo (ma non primo, in realtà) romanzo, Carrie. Con King che risponde trafelato al telefono, nella scuola dove insegna, perché sa che la moglie Tabitha potrebbe chiamarlo solo per due motivi: è successo qualcosa a uno dei figli oppure è arrivato il telegramma di un editore (ricordiamolo: in quel periodo i King vivono in una casa mobile, senza linea fissa, Tabitha deve usare il telefono dei vicini).
Il resto, poi, è davvero storia.

Beahm intervista – e riporta interviste di – chiunque abbia a che fare con King. La più inaspettata è quella a Terry Steel, l’uomo che ha progettato e costruito la ringhiera e il cancello della casa di Bangor. Quello con i pipistrelli, per capirci. È interessante perché non è “gossip”, ma un riepilogo di quelle che sono le richieste e le esigenze pratico/artistiche di una famiglia di artisti (i King scrivono, tutti) e un loro punto di vista sulla quotidianità.
Tra le altre interviste, ci sono quelle agli amici, ai compagni di università, ai collaboratori, faccendieri vari, illustratori e tanti, tanti altri.

Ho scoperto che, oltre al noto e ufficiale StephenKing.com, esiste un sito creato da un fan svedese nel 1996 e riconosciuto dal Re in persona: LiljasLibrary.com. C’è tutto un mondo – enorme – fuori dall’Italia che vive di Stephen King. Librai che si occupano solo di prime edizioni e rarità del Re (uno su tutti il Betts Books).

Preso da frenesia irrefrenabile, ho acquistato pochi giorni fa un’edizione limitata di Night Shift (da noi pubblicato come A volte ritornano) della Cemetery Dance. La CD è di proprietà di Richard Chizmar, lo scrittore con il quale King ha scritto la serie di Gwendy (è appena uscito L’ultima missione di Gwendy – ovviamente l’ho già ordinato e te ne parlerò). La CD si occupa, tra le altre cose, di riproporre i romanzi di King in edizioni di pregio, numerate e illustrate. A proposito, Night Shift è illustrato da Glenn Chadbourne (GlennChadbourne.com) che, ovviamente, è presente ne Il grande libro di Stephen King, intervistato dallo stesso Beahm.

Devo fermarmi, ma potrei andare avanti in eterno. È una serie infinita di ramificazioni, quella che propone Beahm. A dirla tutta, è anche ben confezionata. La copertina gommosa e il piatto delle pagine in (quasi) rosso sangue mi fa venire voglia di mordere il libro. Ho divorato un saggio come se si trattasse di narrativa, che altro dire? Se ami King, devi avere questo volume.

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)

I fumetti (sempre solo quelli dii cui ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)
Il grande libro di Stephen King di George Beahm (2021)

“Elevation” di Stephen King

Scott Carey perde peso, giorno dopo giorno, senza che il suo corpo presenti esteriormente alcun segno di dimagrimento. Scott, nel frattempo, diventa più agile, meno propenso a stancarsi e, cosa abbastanza strana, acquisisce la capacità di fare “perdere la gravità” agli oggetti che tiene tra le mani. L’uomo ha anche un difficile rapporto con le sue vicine di casa, due lesbiche sposate che stanno per chiudere il loro ristorante perché a Castle Rock, piccolo paese di provincia, i matrimoni gay non sono proprio ben visti. I destini di Scott e delle due donne sono destinati a incrociarsi ulteriormente e le loro difficoltà a trovare una soluzione, in attesa che la bilancia raggiunga il misterioso punto zero.

Non sto a riportarti il conteggio preciso dei caratteri di stampa, come avevo fatto per La scatola dei bottoni di Gwendy, ma io l’ho fatto. Elevation è un racconto di 80 pagine spalmato su 195 pagine con interlinea autostradale. Anche mettendo insieme questi due “romanzi” si ottiene circa 1/4 (in termini quantitativi) di una qualsiasi raccolta di racconti del King standard. 13 euro sono un po’ tantini per un racconto travestito da romanzo. E qui chiudiamo la parte tecnica, ma era giusto dirlo per non farsi prendere per il culo.

La storia è coinvolgente e piacevole, la leggi in fretta e sei curioso di girare pagina per vedere come procede. Certo, manca quella profondità dei personaggi e la complessità della trama a cui ci ha abituato il Re. Tutto sarebbe normale se fosse un racconto, ma questo è un romanzo, quindi dovrebbero esserci (sto facendo del sarcasmo).
Due cose non ho apprezzato: il finale, prevedibile e poco originale, e l’inserimento forzato delle tematiche LGBT, soprattutto in una storia così corta. Premesso che io sono per l’amore libero, trovo che la deriva artistica di King stia diventando troppo attenta agli argomenti “di moda” (era già successo con il tema del ruolo della donna in Sleeping Beauties). Sono temi importanti e ben venga che un grande scrittore come King ne parli ma, quando diventano un’interesse totalizzante, la trama perde in forza e guadagna in forzatura.

Che dire, questo Elevation non è stato malissimo, ma ti lascia con la voglia di un romanzo vero. Speriamo lo sarà The institute.

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King, ma quelli di cui ti ho parlato sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)

“La scatola dei bottoni di Gwendy” di Stephen King e Richard Chizmar

Chiariamolo subito: questo non è un romanzo, è un racconto travestito da romanzo a scopo di lucro estremo. E ti do qualche dato approssimativo, ma oggettivo e lampante.

Totale pagine: 240
Pagine con numero di capitolo/bianche/illustrate: 100
Pagine scritte: circa 130

Le 130 pagine scritte (che spesso sono per metà bianche perché inizio/fine di uno dei 32 capitoli…) hanno 22 righe per pagina, quando di solito un libro ne ha dalle 32 alle 38. C’è un’interlinea che è un’autostrada a quadrupla corsia e i margini laterali sono enormi piazzole di sosta.

Se dovessi approssimare, così a naso, direi che FORSE arriviamo a un racconto di 50 pagine. Considerato il costo di 17 euro (15 se lo acquisti nell’ecommerce del Male, cioè Amazon) direi che non serve aggiungere altro.

Bene, ora possiamo arrivare al racconto.
La scatola dei bottoni di Gwendy è in realtà una scatola con dei pulsanti (button in inglese significa sia bottone che pulsante) che viene affidata alla tredicenne Gwendy da un uomo in nero, tale Richard Farris. La scatola ha tre funzioni: rilascia dollari del 1891 di alto valore collezionistico, regala cioccolatini che migliorano la vita e ha, appunto, dei pulsanti che, se premuti, fanno accadere delle cose nel mondo. Non vado oltre.

L’omaggio a The Box (Button, Button) di Richard Matheson è evidente (forse avrai visto l’omonimo film) e leggendo il racconto di King e Chizmar continuerà a venirti in mente, come è successo a me.

Il raccconto è sicuramente affascinante, ti cattura e lo leggi in un’oretta senza mai staccarti. Te lo consiglio, tuttavia secondo me prima o poi uscirà in qualche raccolta.
Resta sempre un piacere ritornare a Castle Rock.