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“Sleeping Beauties” di Stephen e Owen King (graphic novel)

Sarò abbastanza ermetico in questo post. Come ti ho più volte detto, ultimamente, ho poca voglia di leggere e altrattanta poca di scrivere.

Sleeping Beauties è la graphic novel tratta dall’omonimo romanzo scritto a quattro mani da Stephen King e dal figlio Owen. Per quanto riguarda i contenuti, che rispetto al romanzo rimangono invariati, ti rimando al mio post QUI, poiché anche le mie idee rimangono invariate, pur cambiando il “mezzo” di comunicazione.

La qualità del pacchetto è ottima, senza dubbio. Carta di pregio, colori vividi, copertina rigida spessa che conferisce valore al volume. Insomma, non ci si può certo lamentare. Lo stesso si può tranquillamente dire per la trasposizione, riuscita alla perfezione. Il fumetto comunica esattamente le stesse cose che comunicava il romanzo che, anzi, risultava molto prolisso. Se dovessi dare un voto – cosa che non faccio mai perché trovo insopportabile – per la capacità di trasportare la storia da romanzo a fumetto, darei un nove, senza esitare.

La tipologia del disegno non è la mia preferita, ma ora va di moda. Taglio molto semplice, minimalista, pochi dettagli e poco realismo. Io preferisco lo stile grafico più cupo utilizzato ne L’ombra dello scorpione o ne La Torre Nera, ma è questione di gusti.

Quindi, mi è piaciuto questo Sleeping Beauties? No, esattamente nello stesso modo in cui non mi era piaciuto il romanzo. Ma è un giudizio basato sui contenuti, non sul fumetto di per sé che, ripeto, non poteva essere fatto meglio. Purtroppo King scivola in una visione netflixiana della questione dell’uguaglianza di genere, semplificando tutto il semplificabile e creando un prodotto che è probabilmente (giustamente?) adeguato per i subdotati che si annichiliscono di fronte alle serie tv. La domanda che mi lascia è, però, questa: quanta spazzatura narrativa dovrò ancora ingoiare prima che l’homo calcisticus venga educato tramite un linguaggio base a lui comprensibile?

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)
L’ultima missione di Gwendy (2022, con Richard Chizmar)
Fairy Tale (2022)

I fumetti (sempre solo quelli dii cui ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)
Sleeping Beauties (2023)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)
Il grande libro di Stephen King di George Beahm (2021)

“Il grande libro di Stephen King” di George Beahm

Sto per parlarti de Il grande libro di Stephen King di George Beahm ma, soprattutto, sto per scrivere una lettera d’amore. Tu lo sai bene quanto King sia importante per me. È sempre lì, che mi segue, che mi accompagna. È lì da quando ho cominciato a leggere davvero, con Gli occhi del drago (una scelta consapevole, non un’imposizione scolastica). È lì dal primo film horror che ho intravisto, quasi di nascosto. È lì dal primo libro che non ho potuto aprire (It) perché «sei troppo piccolo per quello». Come un parente, come un amico. Come un’eterna ispirazione. Mi ci sono laureato, con King (e non nel senso metaforico). Ho letto tutto, ma non tuttissimo (indietro: Il talismano, La casa del buio, La storia di Lisey) perché ho paura di cosa non-succederà dopo, ho paura che si possa fermare la ruota del Ka.

Ancora, non credo di essere stato chiaro.
Avrei voluto essere Mick Jagger, sì. Cantare su un palco, adorato come una divinità. Vivere una vita pienissima, mentre tutti si chiedono come io faccia a essere ancora vivo, tra droga, drammi ed eccessi.
Avrei voluto essere uno di quegli attori bravi e irresistibili. Un Robert Redford, un Brad Pitt. Uno di quelli che non devono “chiedere mai”.
Ma non avrei voluto nascere al posto di Stephen King, quello no. Mi sarebbe piaciuto, piuttosto, essere un suo amico, un vicino di casa. Quello con il quale condivide il pranzo della domenica, con cui beve una birra sotto il portico in una calda serata estiva. Quello che ha l’opportunità di apprendere dal Re. Perché io King lo ammiro davvero. Sono il suo fan numero uno (Annie Wilkes style).

Per inciso: lo so, lo so, che c’è tutta una pletora di pseudoletterati frustrati che ritiene King materiale da bancarella o da supermercato. Evidentemente non l’hanno mai letto. In ogni caso, per riassumere quello che penso di loro, ci sta molto bene una citazione da Scent of a woman del grande Al Pacino: «Dovunque siate laggiù… andate a fare in culo!»

Tutto questo per dire cosa? Te lo starai chiedendo, giustamente.
Tutto questo per dire che George Beahm, con il suo supermegamaxitomo da 640 pagine (scritto nemmeno-troppo-grande, avrebbero potuto essere 1000), ci è riuscito abbastanza bene a farmi sentire quel vicino di casa, quell’amico. Non lo dico così per dire, è la prima volta che un saggio su King mi fa questo effetto.

Di cosa parla Il grande libro di Stephen King? Di tutto, semplicemente. C’è la storia della vita di King, le interviste, indicazioni sulle edizioni da collezione, filmografia con aneddoti vari, siti internet e tante, tantissime immagini in bianco e nero (oltre a un inserto a colori con le tavole di Michael Whelan su La Torre Nera – sito dell’artista: MichaelWhelan.com).

Beahm è riuscito a emozionarmi anche dove è “già stato detto tutto”. Mi riferisco all’avvio della carriera del Re, quando riesce a vendere il suo primo (ma non primo, in realtà) romanzo, Carrie. Con King che risponde trafelato al telefono, nella scuola dove insegna, perché sa che la moglie Tabitha potrebbe chiamarlo solo per due motivi: è successo qualcosa a uno dei figli oppure è arrivato il telegramma di un editore (ricordiamolo: in quel periodo i King vivono in una casa mobile, senza linea fissa, Tabitha deve usare il telefono dei vicini).
Il resto, poi, è davvero storia.

Beahm intervista – e riporta interviste di – chiunque abbia a che fare con King. La più inaspettata è quella a Terry Steel, l’uomo che ha progettato e costruito la ringhiera e il cancello della casa di Bangor. Quello con i pipistrelli, per capirci. È interessante perché non è “gossip”, ma un riepilogo di quelle che sono le richieste e le esigenze pratico/artistiche di una famiglia di artisti (i King scrivono, tutti) e un loro punto di vista sulla quotidianità.
Tra le altre interviste, ci sono quelle agli amici, ai compagni di università, ai collaboratori, faccendieri vari, illustratori e tanti, tanti altri.

Ho scoperto che, oltre al noto e ufficiale StephenKing.com, esiste un sito creato da un fan svedese nel 1996 e riconosciuto dal Re in persona: LiljasLibrary.com. C’è tutto un mondo – enorme – fuori dall’Italia che vive di Stephen King. Librai che si occupano solo di prime edizioni e rarità del Re (uno su tutti il Betts Books).

Preso da frenesia irrefrenabile, ho acquistato pochi giorni fa un’edizione limitata di Night Shift (da noi pubblicato come A volte ritornano) della Cemetery Dance. La CD è di proprietà di Richard Chizmar, lo scrittore con il quale King ha scritto la serie di Gwendy (è appena uscito L’ultima missione di Gwendy – ovviamente l’ho già ordinato e te ne parlerò). La CD si occupa, tra le altre cose, di riproporre i romanzi di King in edizioni di pregio, numerate e illustrate. A proposito, Night Shift è illustrato da Glenn Chadbourne (GlennChadbourne.com) che, ovviamente, è presente ne Il grande libro di Stephen King, intervistato dallo stesso Beahm.

Devo fermarmi, ma potrei andare avanti in eterno. È una serie infinita di ramificazioni, quella che propone Beahm. A dirla tutta, è anche ben confezionata. La copertina gommosa e il piatto delle pagine in (quasi) rosso sangue mi fa venire voglia di mordere il libro. Ho divorato un saggio come se si trattasse di narrativa, che altro dire? Se ami King, devi avere questo volume.

Ho letto quasi tutti i libri di Stephen King (ne ho lasciati indietro tre, per dopo), ma quelli di cui ti ho parlato sul blog sono questi:
Blaze (2007, come Richard Bachman)
Duma Key (2008)
Revival (2014)
Mr. Mercedes (2014)
Chi perde paga (2015)
Il bazar dei brutti sogni (2015)
Fine turno (2016)
La scatola dei bottoni di Gwendy (2017, con Richard Chizmar)
Sleeping Beauties (2017, con Owen King)
The Outsider (2018)
Elevation (2018)
L’istituto (2019)
Se scorre il sangue (2020)
Later (2021)
Guns – Contro le armi (2021)
Billy Summers (2021)

I fumetti (sempre solo quelli dii cui ti ho parlato sul blog):
Creepshow (1982)
The Stand / L’ombra dello scorpione (2010-2016)

I saggi su King (idem, vedi sopra):
Stephen King sul grande e piccolo schermo di Ian Nathan (2019)
Il grande libro di Stephen King di George Beahm (2021)

“Sleeping Beauties” di Stephen King e Owen King

Oggi sarò eccentrico, partirò con la trama. Sintetica, che di prolissità ho già avuto la mia dose…

L’epidemia Aurora sconvolge il pianeta: simultaneamente tutte le donne che si addormentano vengono avvolte da un bozzolo e non si svegliano più. Se svegliate controvoglia sono violente, aggressive, assassine. Mentre si cerca di capire cosa stia succedendo, e le donne ancora sveglie si imbottiscono di stimolanti (per non cadere tra e braccia di Morfeo), una sola creatura di sesso femminile pare essere immune a questo destino: Evie Black. Lei parla con volpi, tigri, alberi, topi, uomini, smartphone e chi più ne ha più ne metta. Ah, fluttua e legge il pensiero, oltre ad avere una forza sovrumana. In questo contesto si sviluppano, tra gli uomini, le fazioni di chi vuole proteggere i bozzoli e chi vuole bruciarli, di chi vede Evie Black come una strega e chi come una salvatrice. E qui mi fermo, prima di scoprire dove siano finite le donne.

A questo punto ci vorrebbe una qualche frase ad effetto che fa tanto presa sui consumatori. Tipo: “Quando The Dome incontra Greenpeace nella giornata contro la violenza sulle donne”. Adesso te la spiego.
Ma cazzo, che pacco.

Effetto The Dome.
E’ la classica strategia di Stephen King: prendi un tot di persone e le inserisci in una situazione “isolante”, che sia un locale, un paese o un’epidemia. Tipo la cupola di The Dome, appunto, il supermarket di The Mist, il virus de L’ombra dello scorpione. Potrei andare avanti. Questa “situazione” diventa l’artificio letterario per creare due fazioni, il Bene e il Male, che si scontrano tra loro. Non è diverso per Sleeping Beauties. Come direbbe il buon Vincent Vega: «È lo stesso fottuto campo da gioco».

Effetto Greenpeace. [leggero spoiler]
Attenzione: coup de théâtre. In questo campo da gioco compare l’arbitro: Evie Black. Una sorta di emissaria della Natura, una figura che dovrebbe fare capire all’umanità intera cosa siamo e cosa potremmo essere. Il tutto condito da una certa dose di modaiolo sessismo (e non inteso come maschilismo, ma come femminismo).

Effetto Women’s Power.
Abbiamo il contrasto tra uomini buoni e uomini cattivi e quello tra umanità e natura, vuoi non buttarci dentro anche quello tra natura maschile e natura femminile? Di sicuro, a livello di marketing, è il momento migliore per farlo. Gli uomini hanno distrutto il mondo, le donne avrebbero fatto di meglio.
[Questa cultura ha rotto il cazzo, è la prima causa di disuguaglianza sociale. Ogni volta che sento la parola “femminicidio” penso a come, invece di portare uguaglianza, stiamo allargando il concetto che le donne vadano protette come se fossero esseri “speciali”. Dove, però, lo “speciale” sembra indicare implicitamente ancora un’inferiorità.]

Non ci siamo King (padre, figlio e Spirito Santo), nonostante io sia “il tuo ammiratore numero uno”, questo libro è stato uno dei peggiori tuoi libri che abbia letto (cioè tutti). Partiamo col dire che 650 pagine sono troppissime, per quello che succede, 400 sarebbero state sufficienti e abbondanti. Mi sento come quando si finisce una serie televisiva: sono stato intrattenuto a luuungo ma mi ritrovo con un pugno di mosche (o di falene) in mano, esito ben diverso da quando vedo un bel film. Situazioni inutilmente complesse, degne della migliore (per molti, ma non per me) serie diluita in 15.000 episodi, poco attinenti alla storia, molto attinenti al consumo, al consumismo e al vendere libri ai polli.

La prossima volta scriviamo un bel romanzo sui gattini?