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“La grande rapina al treno” di Michael Crichton

Nella Londra del 1855, in piena epoca vittoriana, un gruppo di criminali mette a segno una straordinaria rapina a un treno che trasporta lingotti per un valore di 12.000 sterline (un’enormità, allora), destinati alle truppe britanniche impegnate nella guerra in Crimea.
Un fatto vero, documentato, che Crichton racconta nel suo La grande rapina al treno (1975), ricostruendo la vicenda in modo verosimile grazie al recupero degli articoli di giornale e delle testimonianze in tribunale. Nel 1979 l’autore girerà anche il film omonimo, con Sean Connery e Donald Sutherland, che purtroppo non ho (ancora) visto.

Un romanzo straordinario, avvincente (no, non è un modo di dire). Crichton, come sempre, approfitta dell’occasione per descrivere in modo approfondito il contesto, gli usi e i costumi del periodo storico. La condizione della donna, la criminalità, l’avvento del treno, la giustizia, sono solo alcuni dei temi affrontati parallelamente alle vicende di Edward Pierce (la “testa” del colpo) e soci.

La maggior parte del romanzo è incentrata sulla pianificazione della rapina. Questo perché, nel 1855, l’unico modo per aprire una cassaforte era possederne la chiave (o una sua copia), il tempo degli esplosivi, della tecnologia e delle sostanze corrosive non era ancora giunto. Le cassaforti presenti sul treno necessitavano di quattro chiavi e queste erano, ovviamente, ubicate in luoghi diversi e sicuri. Pierce, per recuperarle, si servirà di diversi complici tra i quali un ferramenta (scassinatore), un biscia (esperto di intrusione) e un paino (borseggiatore).
E qui entra in gioco un altro protagonista del romanzo: il linguaggio della malavita. Crichton ricostruisce il gergo criminale e così, insieme ai nomignoli (vedi sopra), vengono fuori tutta una serie di curiose espressioni volte a definire azioni e situazioni. Far neve significa rubare i panni stesi. Un soffia che fa una loffia è un informatore che offre una falsa soffiata ai miltoniani (gli sbirri).

La grande rapina al treno mi ha ricordato, nella struttura, L’isola dei pirati, altro romanzo di Crichton che mi era piaciuto molto. L’autore ha scritto una trentina abbondante di libri, prima di morire prematuramente. Sono contento di averne letti solo otto, ho ancora una buona scorta.
Ho già sulla mensola Next, Preda, Punto critico e Timeline. Preparati.

Libri che ho letto di Michael Crichton:
Il terminale uomo (1972)
La grande rapina al treno (1975)
Mangiatori di morte (1976)
Congo (1980)
Sfera (1987)
Jurassic Park (1990)
Sol levante (1992)
L’isola dei pirati (2009)

“L’isola dei pirati” di Michael Crichton

Felice come un bambino.
Ecco, questa è una buona sintesi. Leggendo L’isola dei pirati di Michael Crichton mi sono sentito felice come un bambino. Potrei smettere ora di parlarti di questo romanzo, ho già detto quanto basta, quanto necessario.
Ci ho messo un po’ a finirlo, ma il motivo è che sto facendo troppe cose contemporaneamente e quindi, negli ultimi tempi, sto dedicando meno tempo alla lettura. Ma L’isola dei pirati è un libro che ti incolla, uno di quelli che puoi iniziare a leggere al mattino e finire la sera senza mai fermarti.

1665, Giamaica. Il corsaro (non chiamatelo pirata, si incazza) Charles Hunter è incaricato dal governatore Almont di recuperare un galeone spagnolo ancorato nell’isola fortificata di Matanceros e protetto dal temibile capitano Cazalla. Ovviamente c’è di mezzo un tesoro. Hunter parte sul suo sloop con un manipolo di uomini, ognuno dei quali è esperto in un ramo particolare (navigazione, esplosioni, combattimento…). Affronta tutto e tutti, compreso il temibile kraken. Mi fermo.

Sebbene la vicenda sia frutto di fantasia, non mancano le nozioni storiche e tecniche, così come è caratteristico dello stile di Crichton. In questo caso grande attenzione è dedicata alle navi dell’epoca, alle tecniche marinare e alle usanze “piratesche”. Intrattenimento al cento per cento, sì, ma intelligente.

L’isola dei pirati è un romanzo postumo, è stato trovato nel computer di Crichton dopo la sua morte (avvenuta nel 2008). Ho letto che Spielberg starebbe lavorando per girare un adattamento cinematografico, spero sia vero.
Quello che mi stupisce è sempre l’incredibile versatilità con cui questo autore passa(sse) da un genere all’altro senza alcun problema, con buona pace di chi vorrebbe targettizzare i lettori (e quindi gli scrittori) ad ogni costo.

Ora devo solo capire se mi sia nata una nuova passione per i pirati o se la passione riguardi Crichton, indipendentemente dall’argomento trattato. Lo scoprirò presto: tra i libri già pronti da leggere ho Ai confini della Terra, la trilogia del mare di William Golding. Nel frattempo ho iniziato Vero all’alba, di Hemingway, quindi ci risentiremo a breve. Tema: Africa. Preparati al safari.

Libri che ho letto di Michael Crichton:
Mangiatori di morte (1976)
Sfera (1987)
Jurassic Park (1990)
Sol levante (1992)
L’isola dei pirati (2009)

“Mangiatori di morte” di Michael Crichton

Nel X secolo il Califfo di Baghdad invia come messaggero al Re dei Bulgari il dignitario islamico Ahmad Ibn Fadlan. Durante il viaggio, però, Ibn Fadlan si imbatte nei Normanni che lo costringono a prendere parte alla loro comitiva quale tredicesimo uomo non Vichingo (così richiede la tradizione – peraltro scopro solo ora che il film Il 13° guerriero con Antonio Banderas si ispira a questo romanzo, lo guarderò). Ibn Fadlan compie quindi un viaggio nel viaggio, che lo porta a scontrarsi dapprima con le differenze culturali e religiose tra lui e il popolo nordico e poi con “i mostri della bruma”, che combatte proprio insieme a Buliwif, leader dei Normanni, una volta integratosi nel gruppo di guerrieri.

Questa volta sono partito dalla trama, come quelli veri. No, non mi sto ammorbidendo, semplicemente non conoscevo questo romanzo e ciò mi fa pensare non lo conoscessi nemmeno tu (il mio mondo è me-centrico), ecco il motivo di questa scelta.
Mangiatori di morte è un libro stupendamente retrò, cosa probabilmente dovuta anche alla data di uscita, 1976. Sia chiaro, non lo dico in senso negativo, anzi. Nel leggerlo ha suscitato in me quelle emozioni che si risvegliano quando il sabato pomeriggio passano I Goonies in televisione. L’artificio del manoscritto ritrovato (tutta la narrazione sarebbe un testo/diario dello stesso Ibn Fadlan), l’avventura in terre sconosciute, l’esotismo delle parole misteriose in arabo (quando ancora l’associazione spontanea era con l’ignoto e non con il terrorismo). Tutto richiama a quel genere che poi sarebbe esploso nel cinema di fine anni ’70 inizio ’80.

Mangiatori di morte
si legge velocemente, è un romanzo breve di circa 170 pagine, ma non per questo superficiale. Ibn Fadlan descrive tutte le differenze che intercorrono tra lui e i Normanni dei quali analizza usanze e caratteristiche fisiche come fosse Piero Angela. Luoghi comuni (i Vichingi sporchi, brutti e spietati) e scienza si mescolano nella tipica narrazione di Crichton, con tanto di appendice in cui vengono elencate le fonti (alcune reali, altre meno, come il Necronomicon). La storia e la finzione si intrecciano creando qualcosa di totalmente diverso da Jurassic Park e Sol levante (gli unici due libri di Crichton che avevo letto). Il finale poi, “i mostri della bruma” (gli Wendol, dei quali purtroppo non posso svelarti troppo per non spammare), è anch’esso documentato in appendice e dotato di una solidità scientifica.

Ho già Next sulla mensola dei libri da leggere. Non mi fermerò lì, voglio procurarmi anche i primi libri di Crichton, quelli scritti con lo pseudonimo di John Lange.

Libri che ho letto di Michael Crichton:
Mangiatori di morte (1976)
Jurassic Park (1990)
Sol levante (1992)

“Sol levante” di Michael Crichton

Quando ti avevo parlato de Il cammino del Giappone – Shikoku e gli 88 templi ti avevo anche anticipato che sarei presto tornato in Oriente… e, infatti, eccomi qua.
[Sì, ci starebbe uno stacchetto con tipica musica locale, ma non abbiamo tutti ‘sti effetti speciali. Al limite si va a mangiare in un all you can eat. Ah, no, adesso non si può.]

Sol levante è il secondo romanzo di Michael Crichton che leggo, dopo Jurassic Park, e  sottoscrivo quanto già detto per i dinosauri: nonostante l’edizione datata che avevo tra le mani (in alcuni punti i caratteri erano finamai smangiucchiati) il libro è volato.
A onor del vero, giusto per non dire solo cattiverie di questa Edizione Club, era presente un “amico” che non incontravo da tempi immemori: il cordino segnalibro. Un piccolo dettaglio retrò ma di una comodità impagabile. Ora è raro trovarlo, ma io lo imporrei per legge agli editori. Fine dell’excursus sul cordino.

La trama è conosciuta, anche grazie al famosissimo film omonimo di Philip Kaufman con Sean Connery e Wesley Snipes, ma te ne riporto comunque un po’. Senza esagerare, è sempre un thriller/giallo, quindi…
A Los Angeles, durante una festa nel grattacielo della Nakamoto (multinazionale giapponese), una ragazza viene strangolata dopo un rapporto sessuale bello perverso come piace a noi. Incaricato di risolvere il caso è l’agente Peter Smith, al quale viene inviato in supporto John Connor (no, non è tornato indietro nel tempo => Terminator), esperto di tutto ciò che riguardi il Giappone. In ballo ci sono interessi economici che coinvolgono grosse aziende e importanti politici. Stop.

Se in Jurassic Park alla trama principale veniva associato tutto un discorso sull’utilizzo smodato della scienza, in Sol levante l’attenzione si sposta sulle strategie economiche commerciali tra USA e Giappone. Il fuoco sull’argomento è talmente mirato che Crichton ci tiene, in fondo al romanzo, a specificare che nella storia ha esternato quelle che sono le sue opinioni personali e non quelle di tutti gli informatori (un lunghissimo elenco di nomi) che l’hanno aiutato nella stesura. Negli USA il dibattito (siamo nel 1993) era infatti accesissimo. L’America si stava svendendo al Giappone? Le tecnologie dovevano essere protette dal Governo? Crichton ritiene apertamente che gli USA si siano venduti per mancanza di carattere e spirito di sacrificio, che non abbiano saputo/voluto difendersi in nome di un ideale di liberismo economico perdente, sconfitto dalla spietatezza della cultura giapponese (per la quale il commercio sarebbe ritenuto una guerra da vincere ad ogni costo).

La potenza di questo romanzo è quindi doppia, da una parte per la storia incalzante, il mistero, il thriller vero e proprio, dall’altra per gli argomenti trattati sotto la trama. Un poliziesco con molta sostanza appiccicata addosso. Certo, la scienza dei “dinosauri” era un tema universale, e di sicuro più condivisibile, rispetto al conflitto economico nippo-statunitense, ma spero di ritrovare questo tipo di bipartizione anche nei prossimi libri di Crichton che, di sicuro, leggerò.

“Jurassic Park” di Michael Crichton

Sproloquio introduttivo.
Se escludiamo la mia nota passione per Stephen King, ho evitato per anni i grandi nomi della lettaratura internazionale contemporanea. Quei nomi, per capirci, che vendono milioni di copie e che trovi ovunque, fin dentro i piccoli supermercati dove tengono solo i “top” in classifica. È stato un grosso errore di cui mi sono reso conto ultimamente, non solo con il “qui presente” Michael Crichton ma anche con, ad esempio, James Ellroy, Dean Koontz, ecc. dei quali ti ho parlato da poco. Potrei stilarti una lista lunghissima di autori arcinoti che non ho mai letto: Wilbur Smith, Ken Follett, John Grisham… Un errore forse giustificato da una valutazione distorta, dovuta alle attuali classifiche di vendita che non si basano sul merito e sulle abilità letterarie, ma su altri fattori. Questi signori, però, vendevano ben prima che a scalare le classifiche ci fossero gli influencer di Instagram, gli youtuber e i calciatori, prima che, a far vendere, fosse un fatto di cronaca o qualche tragedia. Questi vendevano perché erano bravi, che è tutta un’altra cosa. Forse non saranno i Mozart o i Beethoven della letteratura, quelli li lasciamo fare a Hemingway o Steinbeck, ma di certo sono delle rockstar che hanno guadagnato il palco con sudore e abilità, come degli Springsteen o dei Jagger.
Ecco, l’ho detto.

Qui ci sarebbe il punto, recentemente introdotto al fine di farti stare più sereno con gli standard a cui sei abituato, dove ti racconto la trama del romanzo. Con Jurassic Park, concedimelo, lo saltiamo.

Questo romanzo si divora, anche senza essere un velociraptor… Tieni presente che, ovviamente, avevo già visto il film di Steven Spielberg e che quindi l’effetto sorpresa era molto limitato. Ciò dovrebbe darti un’idea di quanto Crichton sia bravo a farti tenere alta l’attenzione. Ogni minuto è buono per prendere in mano il libro e andare avanti, 500 pagine si bruciano come niente. Di sicuro leggerò il seguito, Il mondo perduto, ma è altrettanto sicuro che inserirò questo autore tra i miei “devo leggere tutto quel che ha scritto”. Ho già Sol levante nella pila dei libri.

Una curiosità.
Essendo Jurassic Park tra i libri di fantascienza più famosi degli ultimi tempi, sono andato a leggermi un po’ di recensioni per capire cosa ne pensassero i lettori, quali fossero le parti più apprezzate e quelle meno. Incredibilmente, le critiche (poche, ma ci sono) sono tutte dirette verso la figura del matematico Ian Malcolm (Jeff Goldblum, nel film), cioè il personaggio che a me è piaciuto di più. Malcolm rappresenta la parte più filosofica/riflessiva del romanzo, la critica più profonda alla superficialità umana. Il suo discorso sull’utilizzo della scienza come strumento di vendita è semplicemente fantastico e più che attuale. Malcolm sostiene (in breve) che la scienza assuma le conoscenze pregresse senza avere patito il sacrificio della ricerca, perdendo così il contatto con la realtà e occupandosi solo del prossimo “gradino”, incurante degli effetti a lungo termine di questo atteggiamento. Il potere ottenuto senza la disciplina, nata dal sacrificio, viene utilizzato in modo sconsiderato. La scienza si eredita, la disciplina no. L’ “avventata corsa alla commercializzazione” è la diretta conseguenza di tutto questo.
Hai forse qualcosa da obiettare?

“Jurassic World” di Colin Trevorrow

Adesso ti dico una cosa così mettiamo subito le cose in chiaro. A me Jurassic Park non ha mai fatto questo grande effetto, ed in generale Spielberg non è certo tra i miei registi preferiti. Di Jurassic World quindi, che è pure inferiore poichè assente di qualsiasi tipo di originalità, non ho neanche voglia di scrivere. Così lo sai.

Pregio: è indubbio ti tenga lì attaccato a vedere come finisca, ma è perchè devi vedere morire la bestia, come sempre, non significa sia una bella cosa a 360°.
Difetti (qui spoilero di brutto quindi se non l’hai ancora visto leggi altrove): il film è prevedibile, il finale è telefonato dal 15° minuto circa, i protagonisti sono dei cliché viventi, la trama è inconsistente (la bestia si libera e ammazza tutti -> bisogna fermarla -> chiamiamo il supererore sporco di grasso di moto). Cazzo dai c’è anche l’invasato militare che è una figura inutile, sempre uguale, scontata. Anche fisicamente sembra Brian Dennehy, nemmeno esteticamente è originale.

Jurassic World è, a mio parere, uno di quei film che fa capire il potere del denaro: di film come questo ce ne sono a dozzine, ma senza disponibilità economica scadono senza rimedio nel trash. Togli i soldi a Jurassic World e non ti rimarrà niente.
La mia sintesi: mentre lo guardi sei inebetito dagli effetti speciali che ti rincoglioniscono momentaneamente, dopo mezz’ora dalla fine del film l’effetto è terminato e ti stai chiedendo solamente: “perchè?”. La risposta è: perchè i ragazzini di oggi non hanno visto Jurassic Park, e via di revival..

Macchina mangia soldi, niente di più.