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“Tre di nessuno” di Davide Camparsi

Tre di nessuno è un romanzo breve (o racconto lungo, se preferisci) di Davide Camparsi, scrittore veronese del quale ti avevo già parlato a proposito della bella raccolta di racconti fantastici Tra cielo e terra (una delle antologie monografiche curate dall’associazione culturale RiLL). Anche in questa opera, ho ritrovato tutte quelle caratteristiche che mi erano piaciute nei racconti di Camparsi, sebbene il genere di riferimento non sia più la fantascienza ma il crime (rurale padano, aggiungerei).

Non posso raccontarti molto della trama, altrimenti rischio davvero di svelare troppo…
In un paesino nebbioso del nord Italia si incrociano le vite di tre grotteschi personaggi in cerca di riscatto sociale. Sono Lacarla (sì, tutto attaccato), aiutante focosa del prete che si è giocata i fondi della parrocchia alle “macchinette”; Duncan, una sorta di piccolo boss locale che ambisce alle politiche comunali; e (Super) Mario, meccanico a tempo pieno e saltuario leone “da bar” (stessa specie di quello “da tastiera” ma con habitat differente) che aspira al ruolo di supereroe. I tre (di nessuno, appunto) finiranno per scontrarsi, sotto lo sguardo innocente di Cippirì, una bambino con evidenti disturbi cognitivi (l’unico personaggio positivo della storia).

Non è difficile immaginare Lacarla perdere tutto al video poker – imprecando perché non esce mai l’ultima fragola – così come non lo è riconoscere in Duncan (ovviamente un soprannome di paese, alla Cisco o Balota) un qualunque delinquentello di periferia che sia riuscito a fare un minimo di “carriera” senza farsi arrestare. Ancora meno, distinguere Mario da uno qualsiasi di quei personaggi (con un bicchiere di vino come protesi perenne) che cercano il consenso in qualche bettola, declamando banalità come fossero assiomi incontestabili. Camparsi (che peraltro – ‘sti cazzi => con accezione nordica, cioè wow! – quest’anno ha vinto anche il Premio Robot) te li serve già cotti con grande abilità, te li fa capire subito e tu, altrettanto subito, li disprezzi buttando loro adosso il disgusto accumulato osservando per anni i loro simili.

Come dicevo, i tre sono grotteschi, e non vedi l’ora che cadano, che crollino, che abbiano quello che si meritano. Sono grotteschi anche (e soprattutto) nelle loro ambizioni, pallide imitazioni di ruoli troppo alti e irraggiungibili. Il “supereroe” Mario è bloccato nei primi dieci minuti di un qualsiasi film di genere, quando ancora il protagonista si traveste con gli stracci e sbatte la testa contro i muri. Duncan è un Tony Montana dei poveri, che ha autorità solo su dei patetici derelitti allo sbando. Lacarla insegue la fortuna – ma continua a non beccare la fragola – e si dichiara vincente, ma lo fa imitando i tristi gesti scaramantici dei perdenti che incrocia sul suo cammino. E, alla fine, l’unico che ottiene ciò che vuole è proprio il lettore, che soddisfa il suo crudele e spietato bisogno di giustizia sociale.
Mi fermo qui, altrimenti spoilero.

Ho divorato le 128 pagine di Tre di nessuno in un paio d’ore. Sono contento, ti avevo detto che avrei letto più autori italiani quest’anno e, per ora, mi sta andando molto bene.

“Los Angeles Nera: Perché la notte” di James Ellroy (Trilogia del sergente Hopkins)

Il sergente Lloyd Hopkins torna per la seconda volta, dopo Le strade dell’innocenza, ed è nuovamente a caccia di un serial killer. È John Havilland, psichiatra geniale e deviato, che utilizza i propri pazienti per uccidere, programmando le loro menti con le sue abilità “terapeutiche”. In questo mare di sangue è annegato anche un poliziotto, Jungle Jack Herzog, scomparso da tempo e inutilmente ricercato da Hopkins. Non manca la pupa di turno, Linda Wilhite, prostituta di lusso e vera e propria calamita per ogni uomo che le graviti attorno, serial killer e poliziotti compresi.

Come ti avevo anticipato qualche tempo fa, ho deciso di leggere i romanzi di Ellroy in ordine cronologico, partendo dal primo. Perché la notte è il quarto che ha scritto (io, in realtà, ne ho letti cinque), il secondo della trilogia del sergente Hopkins. Di certo non il migliore, anzi.

Ho trovato la struttua abbastanza macchinosa e parecchio ostile, non sono mai stato invogliato a prendere il libro in mano per scoprire come procedesse la storia. Ventisette capitoli, alternati tra il punto di vista di Hopkins e quello dell’assassino, senza incognite o misteri. Sai tutto, in tempo reale, e questa onniscienza non ha di certo aiutato. Il solo angolo di ignoto che Ellroy ti concede è quello della reazione di Hopkins alle malefatte di Havilland man mano vengono scoperte (tu, però, le conosci già).

In una parola: un romanzo noioso. Peccato.
Non è stato sufficiente il consueto stile di scrittura asciutto (duro e puro, direi) di Ellroy, per emozionarmi. Confido in La collina dei suicidi, terzo della trilogia e del tomone che ho tra le mani. Ma non a breve, no, non a breve…

Libri che ho letto di James Ellroy:
Prega Detective (1981)
Clandestino (1982)
Le strade dell’innocenza (trilogia di Lloyd Hopkins, 1984)
Perché la notte (trilogia di Lloyd Hopkins, 1984)
I miei luoghi oscuri (1996)

“Ragionevoli dubbi” di Gianrico Carofiglio

Regionevoli dubbi (2006) è il terzo romanzo (per ora di sei) della serie dell’avvocato Guerrieri, scritta da Gianrico Carofiglio. No, in genere non si inizia a leggere una serie dal terzo episodio, ma quando ho trovato questo libro al mercatino dell’usato non sapevo facesse parte di una serie (c’è qualcosa che non ne fa parte, ultimamente?). Comunque, avendo, come sai, intenzione di leggere più autori italiani, e essendo Carofiglio uno scrittore da sei milioni di copie vendute (nel mondo), non ci ho pensato due volte e l’ho comprato.

È un thriller giudiziario, quindi ti racconto poca trama altrimenti perdi tutto il gusto della lettura.
Fabio Paolicelli, di ritorno dalle vacanze con moglie e figlia, si ritrova la macchina imbottita di cocaina (40 kg). Lo fermano, lo arrestano. Dopo un primo fallimentare processo, nel quale viene assistito da un avvocato che gli è stato imposto, si rivolge all’avvocato Guerrieri, ovviamente dichiarandosi innocente. Guerrieri, oltre a difenderlo, si prende una sbandata per la bella moglie orientale. Mi fermo.

Nonostante il mio acquisto impulsivo (o compulsivo), posso tranquillamente dirti che, sebbene mi mancassero i primi due episodi della serie, non ho avuto alcun problema di lettura (ti dirò di più: che il romanzo facesse parte di una serie l’ho scoperto cinque minuti fa). Meglio così, anche se, potendo scegliere, mi sarei diretto verso qualcosa di più vicino ai miei gusti, dello stesso autore, tipo Le tre del mattino. Come sai, non amo né le serie né i gialli, ma non è certo colpa di Carofiglio…

[Un inciso. Non amo i gialli perché hanno, per forza di cose, una trama “usa e getta” che perde qualsiasi attrattiva una volta terminato il libro. Non amo le serie (sia su schermo che su carta) perché mi piace ricevere stimoli nuovi, non cerco la quiete cerebrale. Ma di questo te ne ho già parlato approfonditamente QUI.]

Torniamo a Ragionevoli dubbi. L’ho letto in due giorni, quindi è parecchio scorrevole. Eliminando la trama, la forza del romanzo risiede tutta nel personaggio Guerrieri. Un uomo insicuro e ironico, che sa il fatto suo lavorativamente, ma dà sempre l’impressione di stare agendo un po’ a caso. Alla fine non può che risultare simpatico, nella sua debolezza, e rendere facile l’immedesimazione.

Quindi? Quindi leggerò ancora Carofiglio, magari evitando le serie e i gialli. Questo perché mi sarebbe piaciuto studiare ancora un po’ l’uomo Guerrieri e il suo modo di rapportarsi con il mondo, invece di entrare nei percorsi giudiziari e nei legalismi. Ma questo è un gusto mio, perché la costruzione della storia è ineccepibile, perfettamente a norma con il genere. Magari recupererò proprio Le tre del mattino.

“Los Angeles Nera: Le strade dell’innocenza” di James Ellroy (Trilogia del sergente Hopkins)

Un po’ di eventi storici, prima.
Tra il 1984 e il 1985 James Ellroy scrive la “trilogia del sergente Hopkins” composta da Le strade dell’innocenza, Perché la notte e La collina dei suicidi. Nel 2018 io leggo I miei luoghi oscuri, romanzo nel quale Ellroy racconta dell’omicidio della madre, e ne resto folgorato. Nel 1988 esce Indagine ad alto rischio, film con James Woods tratto proprio da Le strade dell’innocenza. A cavallo tra il 2018 e il 2019 leggo i primi due romanzi dello scrittore, Prega Detective e Clandestino, decidendo che dovrò leggere tutto quello che ha scritto, in ordine rigorosamente cronologico. Nel 2012 la serie di documentari America tra le righe dedica un’intera puntata a James Ellroy: Ellroy Confidential. 2020: cerco Indagine ad alto rischio su Netflix e non lo trovo, come del resto succede ogni volta che cerco qualcosa su Netflix (vedasi puntata precedente con L’uomo duplicato di Saramago e l’introvabile Enemy). Mi incazzo come una iena con le emorroidi e me la prendo con le recenti produzioni commerciali e insulse della piattaforma.
Bene, ora che anche tu hai potuto constatare come la mia vita e quella di Ellroy siano indissolubilmente collegate, posso raccontarti di cosa parla il primo libro della trilogia.

Lloyd Hopkins è un sergente duro (ma giusto) con alle spalle un trauma oscuro che lo fa vivere in una sorta di oniricità costante nella quale (a lui) è sempre ben chiaro cosa sia giusto e cosa sbagliato. Ha una moglie, tre figlie e molte amanti. Il poeta, invece, è un serial killer che, dopo essere stato stuprato da dei coetanei durante l’adolescenza, è impazzito e ha deciso di uccidere tutte le donne che rientrano nei canoni che ha prefissato. I due ovviamente sono destinati a scontrarsi e a rendere sempre più sottile il confine tra Bene e Male.

Come sempre Ellroy scrive un noir con i controcazzi, tutti i personaggi del romanzo sono estremamente turbati e tra loro, casomai ci fosse, non si salverebbe nemmeno un neonato (avrebbe il Male dentro e qualcosa da nascondere). Tradimenti, droga, violenza, stupri, omicidi e perversioni: il condimento è questo e le anime innocenti sono altrove. Non a tutti piace, né Ellroy né quello che racconta. Per inciso lo scrittore si definisce così (da Wiki): “…un americano religioso, eterosessuale di destra. […] Un cristiano nazionalista, militarista e capitalista. […] Non sento il bisogno di giustificare le mie opinioni. […] Nella mia vita mi sono concentrato su poche cose e da queste sono riuscito a trarre profitto. Sono molto bravo a trasformare la merda in oro”.
Ecco, credo tu ti sia fatto un’idea.

La copertina che vedi là sopra te la riproporrò quindi altre due volte, perchè è quella di un librone che contiene tutti e tre i romanzi della trilogia. Li alternerò ad altre letture, per non scassarci i maroni a vicenda con un unico filotto. Ti consiglio Le strade dell’innocenza? Naturalmente sì, anche se non nascondo mi siano piaciuti di più i primi due romanzi dell’autore. Vedremo comunque come andrà avanti con il “buon” Lloyd.

Libri che ho letto di James Ellroy:
Prega Detective (1981)
Clandestino (1982)
Le strade dell’innocenza (trilogia di Lloyd Hopkins, 1984)
I miei luoghi oscuri (1996)

“Il grande sonno” di Raymond Chandler

Il grande sonno è il primo romanzo di Raymond Chandler, nonchè il primo degli otto che avranno come protagonista il detective Philip Marlowe. Scritto nel 1939 (da noi arriverà solo qualche anno dopo, in dis-ordine cronologico) e ambientato a Hollywood, è uno dei maggiori esempi del genere hardboiled (l’uovo sodissimo), tanto che poi ne verrà tratto anche un film con la regia di Howard Hawks e interpretato da Humphrey Bogart e Lauren Bacall. Potrei aprirti una dissertazione interminabile sulle differenze che intercorrono (o intercorrerebbero) tra hardboiled, noir e poliziesco ma, siccome sono finezze per schizzopatici, limitiamoci a dire che il padre di tutto è stato Dashiell Hammett (del quale non ho ancora letto nulla) negli anni ’20 e che tutti gli altri sono venuti dopo.

La trama è quella classica del genere. Ci sono omicidi, ricatti, pupe e pallottole. E poi c’è lui, Marlowe, duro, durissimo e disilusso, che combatte contro il crimine mettendo davanti a tutto il “cliente”, che non tradirebbe mai per deontologia professionale. Il contorno è quello dei bassifondi, dei criminali senza scrupoli, del linguaggio grezzo bagnato da fiumi di alcool. Alcool, peraltro, che non ha risparmiato nemmeno lo stesso Chandler, in lotta costante con la dipendenza (che alla fine avrà la meglio su di lui).

Ho pensato molto a cosa dirti riguardo a questo romanzo, e ancora non mi è chiaro. Come saprai ho iniziato da poco a leggere James Ellroy (i suoi primi due: Prega detective e Clandestino) ed era quindi mia intenzione arrivare alle radici del genere, questo uno dei motivi per cui ho recuperato Il grande sonno. Tuttavia, mentre con Ellroy è stato amore a prima vista, non posso dirti la stesso con Chandler. Certo, è un romanzo del 1939, e probabilmente si paga la distanza anagrafica. È anche vero, però, che non ho sentito questa distanza nei romanzi dello stesso periodo di John Fante (tutte le storie di Arturo Bandini che, ahitè, ho letto prima di aprire il blog). Non è nemmeno un problema di linguaggio: Chandler (così come Fante) utilizza uno stile e un gergo che in Italia arriverà almeno trent’anni dopo. Non lo so. La realtà è che non ho mai avuto la curiosità di procedere con la lettura, di prendere in mano il libro. Ho letto 200 pagine in otto giorni, e non è un buon segno…

La prima parte della vicenda è molto più intricata (confusa?) rispetto alla seconda, che ho trovato più piacevole. So che il romanzo nasce dalla fusione di due racconti, azzardo quindi che questo possa esserne il motivo. Nei vari intrighi iniziali mi sono perso più volte, senza mai il desiderio di recuperare il filo, volevo soltanto venirne fuori. Poi, quando le cose si sono un po’ sistemate (non ci speravo più), ho apprezzato maggiormente le scene, le descrizioni, la lentezza. So che sto per dire una cosa forte e che molti mi impalerebbero per questo, ma spesso mi è venuto un grande sonno

Non credo che leggerò altro di Chandler, in definitiva. Ne riconosco i meriti, lo stile, la grandezza e l’innovazione, ma io e Marlowe non ci siamo presi. E mi dispiace.

P.S. Ho letto una versione tradotta da Oreste Del Buono, ma so che recentemente è uscita una nuova traduzione. Chissà.

“Trilogia di New York” di Paul Auster

Trilogia di New York è una raccolta di tre romanzi (o racconti, vista la brevità) di Paul Auster, pubblicati per la prima volta tra il 1985 e il 1987. Si intitolano Città di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa. Ora ti faccio un breve, brevissimo, breverrimo, riepilogo delle trame.

Città di vetro
Per capirci (sul livello di follia) la storia inizia con un uomo che riceve una telefonata durante la notte, chi lo chiama sta cercando l’investigatore Paul Auster… L’uomo, che è in realtà uno scrittore e vive già una sorta di sdoppaimento, sia con il protagonista dei suoi romanzi sia con lo pseudonimo con cui li scrive, decide di fingersi Paul Auster e accettare l’incarico, iniziando ad indagare sul “caso”.

Fantasmi
Blue, detective allievo di Brown, riceve l’incarico da White di pedinare e sorvegliare Black. Il pedinamento si ridurrà a un monotono appostamento nel quale Blue osserverà, dalle finestre del palazzo di fronte, Black seduto a un tavolo che scrive ininterrottamente su un taccuino. Blue inizierà a domandarsi se non sia lui stesso Black, osservato dall’uomo che scrive.

La stanza chiusa
Fanshawe sparisce lasciando dietro di sé, oltre una moglie e un figlio, romanzi e poesie mai pubblicate. Sarà compito di un suo amico d’infanzia far pubblicare le sue opere e sarà suo “dovere” anche sposarne la moglie. Ma Fanshawe sarà davvero morto come tutti pensano? Fino a che punto chi prende la vita di un altro non diventa l’altro?

Come tu avrai già capito (dal momento che sei così astuto e sagace da seguire il mio blog) Paul Auster utilizza trame assurde per indagare il tema dell’identità. Lo indaga così tanto da farti venire il mal di testa, da farti sanguinare il cervello. L’intera Trilogia trasuda il problema dell’individuo, della personalità, di ciò che potrebbe diventare qualcos’altro perché è descritto e pensato come fosse quel qualcos’altro. Io sono io finché ho il mio nome e mi comporto nel mio modo, ma se prendo il nome di un altro e mi comporto come quell’altro, quando smetterò di essere me e comincerò a essere lui? Eh? Sei turbato? Bene, è lo spirito giusto.

Paradossalmente la cosa che manca di più, in tutto questo insieme di paturnie mentali postmoderniste, è proprio New York. Non aspettarti descrizioni della Grande Mela perché non ne troverai: New York è presente solo nel titolo e in qualche breve accenno, per il resto le trame potrebbero essere ambientate ovunque. Quello che troverai, oltre allo studio sull’identità (casomai non si fosse capito), è un forte attaccamento alla professione dello scrivere, sempre presente in tutti e tre i racconti.

Tolto tutto questo, cioè il 90% dell’opera, quello che resta della Trilogia di Auster è l’ambientazione noir da detective-story, che per certi versi mi ha ricordato Pulp di Bukowski (ma senza il divertimento), soprattutto per quanto riguarda il nonsense delle varie situazioni. Attenzione però, niente gialli o trame alla Ellroy, tutti i racconti sono estremamente onirici, collegati tra loro da astrusi dettagli che non riescono (e non vogliono) creare una storia con un inizio e una fine. Se proprio volessi saperlo, solo nell’ultimo racconto la trama segue una strada leggermente più canonica e percorribile.

A questo punto mi chiederai: «Ma questo libro ti è piaciuto?».
No, non mi è piaciuto. Non è un libro che si legge facilmente o volentieri, lo prendi tra le mani ogni volta sapendo di fare harakiri e conscio che non avrai nessuna voglia di girare pagina. La voglia dovrai inventartela, crearla, per riuscire ad arrivare in fondo. A dire il vero non capisco nemmeno perché farsi del male e scriverlo, un libro così, non capisco dove l’autore abbia trovato la voglia di sviluppare una storia di questo genere. Tuttavia non si può dire che sia un libro stupido, non si può non ammirarne l’indubbia e geniale complessità.
E allora lo ammiro, disprezzandolo.

“Clandestino” di James Ellroy

Clandestino è il secondo romanzo di James Ellroy, datato 1982. Ed è stracazzutissimamente bello.

Freddy Hunderhill è un poliziotto nella Los Angeles degli anni cinquanta, con la passione per le donne e la meraviglia. La meraviglia si incontra spesso nel suo mestiere ed è qualcosa che non è ben definibile, e non è per forza un elemento positivo, è semplicemente la meraviglia. Forse potrebbe essere la “poesia della vita”, dove la poesia non sia solo un bel tramonto, ma anche una determinata situazione tragica. Freddy è a caccia di un assassino di donne e sembra averlo trovato. Alcuni suoi superiori lo coinvolgono in un’indagine fatta di pestaggi e confessioni forzate, tanto che il principale indiziato, innocente e reo confesso, si suicida. Qualcuno deve pagare per questo errore e a pagare è proprio Freddy, costretto sotto ricatto ad abbandonare il lavoro con disonore. Passano degli anni, Freddy cerca di rifarsi una vita, ha una donna fissa e un cane ereditato da un ex-collega morto sul lavoro. Viene uccisa un’altra donna, con le stesse modalità che Freddy conosce bene. Deve riprendere a indagare, anche senza distintivo, per rimettere ordine nel mondo e nella sua vita, che nel frattempo sta andando in pezzi.

Siamo all’evoluzione di Prega detective, tutto ciò che di buono c’era nel primo romanzo di Ellroy è cresciuto e si moltiplicato. La trama è più complessa, i personaggi più profondi, la linea che divide il bene dal male si è assottigliata. Nessuno è assolto, Ellroy dipinge il mondo così come è, senza finzione, in questo noir che ti lascia in bocca il sapore di alcool e tabacco, che ti fa sentire sporco mentre lo leggi. Come per il precedente romanzo la forza non risiede nella trama ma nella costruzione dei personaggi e delle situazioni.

Vuoi un romanzo che ti porti da un’altra parte? È questo. Ti piace non sapere chi sia l’assassino fino alla fine? Clandestino fa per te.
Freddy Hunderhill non è del tutto una bella persona, ma non lo sei neanche tu. Ellroy lo sa.

Come puoi facilmente immaginare sono già a caccia della trilogia di Lioyd Hopkins. Con Ellroy procederò scrupolosamente in ordine cronologico (fatta eccezione per I miei luoghi oscuri). Ho già commesso l’errore di averlo ignorato fino ad ora, spero in questo modo di rimediare e gustarmi la sua crescita.

“Prega detective” di James Ellroy

Prega detective è 100% noir. È, inoltre, il romanzo di esordio di James Ellroy, risale infatti al 1981, il titolo originale è Brown’s Requiem. In Italia la prima edizione è del 1995, ma noi si sa, arriviamo sempre in ritardo.

La trama è, a mio parere, secondaria rispetto allo stile e all’ambientazione. È una storia di intrighi, omicidi e corruzione su cui si trova ad indagare l’investigatore privato Fritz Brown, ex poliziotto, (quasi)ex alcolizzato e appassionato di musica classica. Di mezzo c’è il mondo delle scommesse, quello dei caddie (i facchini dei campi da golf) e truffe alla previdenza sociale. Non manca un cattivone, di cui non ti dico nulla per non svelare parte del mistero. E, ovviamente, la bella di cui il detective si innamora.

Io di Ellroy avevo letto solo I miei luoghi oscuri, un paio di mesi fa, che però è una biografia. Prega detective mi ha folgorato: è IL noir, punto. Hai presente quando ti aspetti quelle frasi tipo (invento): «Era una notte buia, ma quella bionda mi faceva girare la testa…», ecco. In questo romanzo trovi esattamente quello che cerchi, un’atmosfera perfetta per il genere.

Di veramente noir non avevo mai letto nulla, fatta eccezione per Pulp di Bukowski (che ora assume ancora più significato nella sua grandezza parodistica). Quello di Ellroy è uno stile cupo, una scrittura che sa di whisky, cazzotti e pallottole.
Dannazione, credo sia nato un amore.

“I miei luoghi oscuri” di James Ellroy

Premessa: è il primo libro che leggo di James Ellroy, ma posso già dirti che non sarà l’ultimo. Fine della premessa.

I miei luoghi oscuri è un romanzo autobiografico dello scrittore dedicato a tutto ciò che riguarda l’omicidio irrisolto di sua madre, Jean Ellroy, avvenuto per strangolamento il 22 giugno 1958. James all’epoca aveva solo dieci anni.

La vicenda narrata è divisibile in tre “atti”:
1° – Indagine ufficiale.
Ellroy racconta l’indagine in modo oggettivo, come se si svolgesse nel momento in cui lui la scrive. I dettagli sul cadavere, gli indiziati (molti), le piste (moltissime) e tutto il resto, quasi fosse uno dei poliziotti incaricati di risolvere il caso. Jean è stata stuprata e uccisa dopo aver frequentato un paio di locali in compagnia di due persone, una donna e un uomo, che non verranno mai rintracciate.
2° – James Ellroy.
Lo scrittore spiega tutto ciò che è accaduto dal momento dell’indagine fino al suo successo come romanziere. Racconta come la morte della madre, accolta con felicità, abbia influenzato gli anni successivi nella sua psiche. Si parla di droga, furti, criminalità. Il giovane Ellroy è fuori di testa. Entra nelle case dei vicini e ruba le mutandine delle ragazze, ruba nei negozi, si mastruba pensando alla madre.
3° – L’indagine del 1994.
Ellroy, facendosi assistere da un poliziotto in pensione, riesamina il caso e cerca di risolverlo. Torna nei luoghi della vicenda, interroga le poche persone ancora vive che potrebbero saperne qualcosa, cerca l’assassino della madre e… cerca sua madre, la “rossa”, coma la chiama lui.

Non ti racconto come evolve il personaggio, poiché è questo il vero mistero del libro e non voglio svelarlo troppo. Ellroy ha dei ricordi della madre che sono in gran parte stati creati dal padre, un fallito alcolizzato, e che ritraggono Jean come una puttana irresponsabile e a sua volta alcolizzata. Solo “cercandola” riuscirà a ricostruirne l’esistenza. Certo, non era una santa, e questo si intuisce chiaramente, ma c’era anche dell’altro.

Questo romanzo racconta un trauma lungo una vita, mai esorcizzato. Un lutto, non superato, che ha condizionato tutta l’esistenza dello scrittore. In poche parole: un’ossessione. È un libro estremamente cupo, nero, mentre lo leggi ti mette la morte nell’animo.
L’edizione che ho letto io (quella in foto) ha la copertina nera e c’è l’autore in abito scuro appogiato su un tavolo in primo piano. È il packaging perfetto per un’agenzia di pompe funebri, il libro sembra una piccola bara. È perfetto.

Conoscevo Ellroy come il re indiscusso del noir e del poliziesco. Avevo visto qualche film tratto dai suoi libri, come L.A. Confidential e La notte non aspetta. Non so perché l’avessi sempre trascurato, ma ho fatto male. Scrive dannatamente bene e ha uno stile personale ed inconfondibile. Sono rarissime le frasi lunghe più di due righe, per dirne una. Ti riempie di nomi, sta a te capire quali siano importanti e quali no. Non è di certo una lettura facile, rilassante, ma è indimenticabile.
Sicuramente anche il traduttore ha i suoi meriti (è lo stesso Sergio Claudio Perroni che ho apprezzato nella nuova edizione di Furore di Steinbeck, poco tempo fa).

Insomma, credo proprio di aver trovato un nuovo autore da saccheggiare.

“Pulp” di Charles Bukowski

Ecco che Bukowski, dopo una dozzina di libri letti con impressioni alterne, mi stupisce piacevolmente, di nuovo. Sono proprio contento di questa cosa. Dopo il noioso Compagno di sbronze, appena letto, non mi aspettavo sarebbe successo.

Pulp è letteralmente incredibile. Nel senso che ogni singola riga non è credibile. È anche inclassificabile a livello di genere, tuttora non saprei dirti se è un noir, un poliziesco hard boiled, un libro fantasy o una spacconata alla Bukoswski. Ma forse è tutto questo insieme.

La trama è semplice, segue le vicende di Nick Belane “il detective più dritto di Los Angeles” e delle sue strampalate indagini tra bar, locali e ippodromi. I personaggi su cui indaga (quelli a cui deve “inchiodare il culo”) e i suoi clienti sono del tutto assurdi. C’è la sexy Signora Morte (sì, la Morte), un’aliena (sempre sexy, eh) di nome Jeannie, un misterioso Passero Rosso, un marito tradito, lo scrittore Céline morto nel 1961 ma che è ancora in giro… insomma, ci siamo capiti.

Il nonsense è il vero motore che tiene insieme il romanzo, unito alla parodia della detective story classica. Wiki mi suggerisce che, per la precisione, la parodia sia rivolta a Rick Blane, interpretato da Humphrey Bogart in Casablanca, e ad altri personaggi noir interpretati sempre da Bogart.

Che dire, appena iniziato non mi era piaciuto molto, poi sono entrato nel mondo di Belane e tutto è cambiato. È sicuramente uno dei libri più divertenti che abbia letto negli ultimi tempi, con prese per il culo allo stereotipo del detective che sono davvero geniali. Pur riportando tratti caratteristici di Bukowski (appunto: i bar, le sbronze, l’ippodromo, il sesso) è un romanzo unico rispetto a tutto ciò che ha scritto. Sicuramente da leggere.