Il buio oltre la siepe (To kill a mockingbird) è un romanzo del 1960 della scrittrice americana Harper Lee (grande amica del Truman Capote di A sangue freddo) tornato di gran moda ultimamente a causa delle violenze perpetrate dalla polizia statunitense nei confronti degli afroamericani/personedicolore/neri/negri* [la pippa sull’ipocrisia linguistica te la tiro dopo], il soffocamento di George Floyd e il movimento black lives matter.
Argomenti, questi, che obbligano a muoversi con molta attenzione poiché il perbenista di turno, desideroso di lavarsi l’occidentale coscienza utilizzando le pippe linguistiche di qui sopra, è sempre pronto a combattere il razzismo a suon di termini politicamente corretti.
Trama e struttura, così non si sbaglia.
Alabama, anni 30. Scout, sei anni, racconta in prima persona le vicende che coinvolgono la sua famiglia in un arco di tempo di circa tre anni. Il romanzo (400 pagine) è divisibile in due parti da 200 pagine ciascuna. La prima è occupata dalla presentazione dei personaggi e del contesto nel quale vivono. La storia qui appare quasi più vicina al romanzo di formazione che a quello di critica sociale. Scout affronta i problemi dei primi anni di scuola, insieme al fratello Jem di quattro anni più grande, aiutata dal padre Atticus, avvocato, e dalla domestica di colore (ci risiamo) Calpurnia. Insieme a Jem scopre il fascino del mistero, rappresentato da un vicino, Boo Radley, che non esce mai di casa (da qui l’ignoto buio oltre la siepe, legato al pregiudizio dovuto alla non conoscenza). Quando la trama si sposta sul tema della seconda parte del libro, il razzismo, conosci già bene tutto il vicinato di Scout, così da avere un’idea precisa di come il contesto reagirà agli eventi che seguiranno. Al padre di Jem viene infatti affidata la difesa di ufficio di un negro, Tom Robinson, accusato di avere stuprato la figlia di Bob Ewell, un bianco parassita della società che vive di assistenzialismo e alcool. La vicenda è tutta qui: per quanto un bianco sia sporco non potrà mai esserlo quanto un negro e, quindi, la sua parola avrà sempre un valore e una credibilità maggiore, anche se sta palesemente mentendo.
Ero fortemente prevenuto nei confronti de Il buio oltre la siepe, così come lo sono per tutte le cose che finiscono, da un momento all’altro, per tornare di moda. Mi sbagliavo. Il buio oltre la siepe è uno dei migliori romanzi che abbia letto negli ultimi tempi. È fresco, coinvolgente, geniale nella innocente visione del mondo di Scout. A sessant’anni dalla pubblicazione è attuale, oltre che per i temi trattati, anche per lo stile narrativo.
È la moda a essere negativa, non il romanzo.
Risulterò impopolare e difficile da comprendere, il mio è un discorso forse troppo articolato per competere con la facile e immediata bellezza delle bandiere multicolori. Tuttavia sono convinto che, così come la parità dei diritti tra i sessi sia fortemente ostacolata dal danno creato dai movimenti femministi (che, in fondo, compiono un errore “specchiato”), il razzismo sia favorito da molti “antirazzisti” e dal perbenismo lessicale dilagante. Dal politically correct che costa poco/nulla in termini di sacrifici e offre, in cambio, una immediata visibilità, finendo per illudere che si stia lavorando per risolvere un problema, quando in realtà non si sta facendo nulla.
Devo averlo già detto qui sul blog, ma fino a quando si inseguiranno le parole invece dei fatti, non cambierà niente. Fino a quando si guarderà al negro (vocabolo che non ha nulla di negativo) mutando l’apparenza come più conviene in masturbazioni letterarie (di nuovo: di colore/afroamericano/nero) il problema non verrà affrontato. La via più facile viene percorsa dalla maggioranza, perché non implica rinunce. Nella nostra società poi, che di apparenza ci vive, è bellissimo mostrarsi ferventi sostenitori dei diritti senza essere costretti a rimetterci nulla. Ignorare che il vero problema sia lo sporco che precede il vocabolo di turno (a seconda del decennio) o il del cazzo che lo segue, è la perfetta metafora che ci consente di continuare a rubare a chi ha di meno (sia a livello locale che globale) sentendoci a posto con la coscienza perché ci siamo schierati esplicitamente dalla parte del bene.
[In merito al problema prettamente linguistico QUI ho trovato un bell’articolo che spiega quello che penso].
E così dire «non è cambiato niente» ci fa belli, ma non ci fa migliori. Il problema è tutto lì. Anche perché qualcosa, per fortuna, è cambiato dai tempi di 12 anni schiavo, anche se è tutto mooolto lento. Certo l’iperbole, l’esagerazione, fa sempre parte dell’apparenza. Dire che non è cambiato nulla è veloce e di impatto immediato, cambiare la propria vita al fine di far parte del cambiamento è invece molto più dispendioso (soprattutto in termini economici).
Il buio oltre la siepe va in profondità, è questo che mi è piaciuto. Lo fa con molta più efficacia e onestà di quanto spesso lo si faccia oggi. Il pregiudizio è affrontato a 360° (il titolo italiano è legato al pregiudizio nei confronti di un vicino di casa “caucasico”). Uccidere un usignolo, alla fine, è facile come scrivere un articolo su quanto sia importante effettuare dei cambiamenti veri per sconfiggere i sopprusi, senza poi fare nulla di tangibile perché qualcosa avvenga (oltre a controllare l’indicizzazione dell’articolo stesso per la gloria personale e il narcisismo intellettuale).
P.S. Non ho ancora visto il film di Robert Mulligan del 1963, con Gregory Peck. Rimedierò.
Condivido in parte qua to dici.Credo che le parole,specialmente quelle di grandi scrittori e pensatori contri uniscano a cambiare punto di vista.Poi, l’essere umano è quello che è, e qualche passo indietro fa parte del gioco,ma bisogna andare avanti, anche con le parole.Prima o poi generano fatti.Grazie
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Grazie per il tuo commento!
C’è un punto che mi ha colpito nel romanzo poiché Scout, riferendosi a Tom, lo definisce nero e viene corretta (non ricordo da chi) che le spiega come nero sia offensivo e si debba utilizzare il termine negro… Esattamente l’opposto di quello che ci si aspetti succeda (evidentemente in quel momento storico nero era offensivo).
Anche sorvolando sul vocabolo negro, che ha una storia complessa e assume significati diversi se a pronunciarlo sia un nero o un bianco, è abbastanza ridicolo, a mio avviso, come anche oggi nero venga considerato come un appellativo con accezione negativa. Il fatto che si possa dire tranquillamente bianco ma non nero è abbastanza indicativo della condizione di ipocrisia in cui viviamo.
È interessante il riassunto sull’etimologia che ho linkato nell’articolo, in poche righe spiega quanto siamo succubi del linguaggio, anzi, di come il linguaggio ci aiuti a fingere di trovare una soluzione ai problemi.
Dovremmo imparare a vedere le cose con l’animo di un bambino. Un bambino direbbe nero o bianco senza malizia, sarebbe una distinzione fisica oggettiva identica a biondo o castano. Sono gli adulti a inserirci la cattiveria, la dietrologia. È a quel punto che un termine/vocabolo oggettivo diventa carico di significati che vanno oltre il vocabolo stesso. Ed è a quel punto che, invece di eliminare la cattiveria, si cambia il vocabolo.
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Grazie. Ammiriamo tanto i bambini e il loro modo di leggere il mondo, ma poi facciamo cose da pazzi per crescerli a nostra immagine e somiglianza!.Quando si diventa veramente adulti?Ciao e buona conclusione di una ordinaria Domenica di Agosto…ordinaria?boh!
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