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“Il lato oscuro dell’anima” di Joe R. Lansdale

Il lato oscuro dell’anima è stato pubblicato in Italia da Fanucci solo nel 2005 ma, in realtà, la sua stesura è avvenuta molto molto prima. Lansdale ne scrive una prima versione nel 1982 e la intitola Night of the Goblins, tuttavia, anche a causa della violenza splutterpunk che lo caratterizza, il romanzo verrà pubblicato solo qualche anno più tardi, nel 1987, con il titolo The Nightrunners. Tutto questo per dire che, cronologia alla mano, siamo di fronte a uno dei primi romanzi di questo scrittore, forse addirittura il secondo, se si trascura l’ordine di pubblicazione ufficiale.

Non mi dilungo sulla trama. Ci sono dei minorenni – pazzi, sadici e assassini – e c’è una coppia che è braccata da questo allegro gruppetto. Il motivo è semplice: la donna è riuscita a sfuggire proprio dalle grinfie di questi, che sono riusciti “solo” a stuprarla, ma non a ucciderla. La situazione, già difficile per i risvolti psicologici che questo evento ha avuto sulle dinamiche della coppia, è ulteriormente complicata dalla presenza di un ex-membro del gruppo che, sebbene morto suicida in carcere, pare vivere nella testa di uno dei suoi amici criminali, in una sorta di doppia personalità.

Questo romanzo parte molto bene, proprio grazie all’indagine psicologica che va a sondare gli equilibri della coppia in crisi, per poi afflosciarsi un po’ nella seconda parte, con l’intensificarsi delle tematiche più soprannaturali (sempre che lo siano, Lansdale lascia molto all’interpretazione del lettore). L’impressione che ho avuto durante la lettura è quella di un autore ancora acerbo – anche considerati i capolavori successivi – e nel vedere poi la datazione, di cui ti ho parlato sopra, mi sono spiegato il perché. La verità è che quindi, per ora, questo è forse il romanzo che mi è piaciuto meno di Lansdale. È un buon romanzo eh, chiariamoci, ma rispetto allo standard di questo autore presenta un livello di semplicità sopra la media e uno stile poco accentuato. Saranno i temi trattati, ma la sensazione è un po’ quella di aver letto un brutto romanzo di Koontz, ma scritto meglio.

Romanzi che ho letto di Joe R. Lansdale:
Il lato oscuro dell’anima (1982)
La morte ci sfida (1984)
La sottile linea scura (2002)
Notizie dalle tenebre (2014)

Trilogia Drive-in:
Il drive-in (1988)
Il drive-in 2 (non uno dei soliti seguiti) o Il giorno dei dinosauri (1989)
La notte del drive-in 3. La gita per turisti (2005)

Trilogia Ned la Foca:
Fuoco nella polvere (2001)

Ciclo Hap & Leonard:
Una stagione selvaggia (1990)
Mucho Mojo (1994)
Il mambo degli orsi (1995)
Bad chili (1997)
Rumble Tumble (1998)

“Fuoco nella polvere” di Joe R. Lansdale

Un po’ di intro su cose che non hanno a che fare con il romanzo di Lansdale, chiamiamoli aggiornamenti.
1 – Un proposito (che probabilmente non rispetterò): le mie letture, d’ora in poi, seguiranno un ordine alternato tra narrativa e non narrativa (saggi, biografie, finanza, crescita personale…). Questo perché la narrativa è un ottimo svago ma è spesso (non sempre) inutile; la saggistica, invece, migliora le conoscenze e le competenze. Non che tutto ciò serva a qualcosa nella vita, ma ho deciso così.
2 – I post tenderanno a diventare più schematici. Ultimamente ho molta meno voglia di portare avanti il blog e la qualità dei post ne ha risentito, rispetto a qualche anno fa. Le visite dovrebbero essere calate, seguendo una logica-logica, invece sono nettamente aumentate. Questo accade perché la qualità non premia nel mondo moderno, quindi tanto vale sbattersene e riprendere a dare al blog il senso iniziale, cioè quello di un bloc-notes dove appuntare ciò che ho letto per non dimenticarlo.

Veniamo a Fuoco nella polvere e iniziamo con una polemica. Questo romanzo fa parte della trilogia di Ned la foca che, al momento, risulta tradotta solo per i primi due libri. Il terzo, del 2019, non è ancora uscito in Italia. I lavori si finiscono o non si cominciano, per come la vedo io. Questa abitudine di iniziare una cosa e poi vedere come và e, in caso, se va male, lasciare che il consumatore “si attacchi” comincia un po’ stufarmi. È anche uno dei motivi per cui non guardo le serie, perché spesso vengono piantate lì a metà quando il pubblico dimostra un calo di interesse. Hai comprato? Hai pagato? Gnam gnam, io ho mangiato.

Avevo letto un po’ di recensioni su Fuoco nella polvere e mi aspettavo fosse una cagata pazzesca (cit.), mi sono in gran parte dovuto ricredere. Non è certo il miglior Lansdale che abbia letto, ma le 180 pagine sono volate via in un attimo, leggere e intrattenenti. È un romanzo assurdo, che mischia steampunk e citazionismo estremo, coinvolgendo personaggi della storia con quelli della letteratura, in una sorta di mondo parallelo in cui tutto è intrecciato.

Eccone alcuni: Buffalo Bill, Wild Bill Hickok, Annie Oakley, Toro Seduto, Ned Buntline, il mostro di Frankenstein, Dracula, l’Uomo di latta…
Tieni conto che, insieme a questi, compaiono varianti di altri personaggi come il Capitano Nemo e Jack lo squartatore. Tutto ciò è frullato in una trama che riprende in gran parte L’isola del Dottor Moreau di H.G. Wells. Una battaglia iniziale tra zeppelin (il titolo originale è Zeppelins West), con fuga dal Giappone, fa naufragare i personaggi su un’isola, dove il dottor Momo sta ibridando uomini con animali. Qui succede di tutto, con tanto di mostro di Frankenstein che titilla il bullone erotico dell’Uomo di latta dopo avergli dichiarato eterno amore. Una cosa tipicamente alla Lansdale, dove il non-sense e l’uomorismo si aggrovigliano tra loro. Devo dire che, nonostante a me le storie troppo assurde generalmente non piacciano, questa è riuscita davvero a coinvolgermi, forse perché segue un percorso “logico nell’illogico” ben definito.

Ho già il secondo romanzo, Londra tra le fiamme, che cercherò di non leggere a stretto giro e alternare così la narrativa con qualcosa di diverso da Lansdale (se ci riesco, altrimenti chi se ne frega). Così magari nel frattempo mi traducono il terzo, eh? (Questo è sarcasmo.)

 

Romanzi che ho letto di Joe R. Lansdale:
La morte ci sfida (1984)
La sottile linea scura (2002)
Notizie dalle tenebre (2014)

Trilogia Drive-in:
Il drive-in (1988)
Il drive-in 2 (non uno dei soliti seguiti) o Il giorno dei dinosauri (1989)
La notte del drive-in 3. La gita per turisti (2005)

Trilogia Ned la Foca:
Fuoco nella polvere (2001)

Ciclo Hap & Leonard:
Una stagione selvaggia (1990)
Mucho Mojo (1994)
Il mambo degli orsi (1995)
Bad chili (1997)

“La morte ci sfida” di Joe R. Lansdale

Nell’introduzione di La morte ci sfida (Dead in the West, 1984) Lansdale, all’epoca al suo terzo romanzo, scrive qualcosa di fantastico. Lo fa rivolgendosi direttamente al lettore, come consolidata abitudine anche di Stephen King. Ti dice di non aspettarti “alta letteratura” da quello che hai tra le mani ma, piuttosto, di abbassare le luci, prendere dei pop-corn, goderti il temporale e prepararti ad affrontare un viaggio che sarà molto simile alla visione di un horror b-movie. Di divertirti, insomma. E io mi sono divertito, molto.

Il reverendo Jebidiah Mercer giunge nella cittadina di Mud Creek (Texas) con l’intenzione di riportare i peccatori sulla retta via. Non che il reverendo sia un uomo tanto retto – capiamoci – è dedito al whisky, non disprezza la compagnia femminile ed è molto, molto, molto veloce con la pistola. Ed è proprio mentre Jeb sta iniziando ad ambientarsi che la cittadina viene invasa dagli zombie. Il reverendo si allea con il dottore di Mud Creek, la di lui affascinante figlia e un giovane ragazzo che ambisce a diventare un pistolero, e cerca così di resistere ai non-morti. Mi fermo.

La morte ci sfida è un fantawestern, qualcosa di assolutamente appagante. Un omaggio pulp a più generi, leggero e veloce, che potrebbe essere letto tutto d’un fiato (per chi ha la fortuna di avere del tempo a disposizione, fortuna che io ho di rado). È esattamente così come te lo aspetti, non ti delude. Wikipedia mi informa che esistono anche un “prequel”, Texas Night Riders (credo ancora non tradotto, purtroppo), e un sequel, Deadman’s Crossing (che so essere uscito nell’antolgia Il grande libro degli zombie di Fanucci). Sarebbe davvero stupendo se i tre romanzi fossero riuniti in una trilogia, per poterli assaporare nella loro interezza. Perché io ci sguazzo in queste cose di sangue con uno stile un po’ eighties, ormai dovresti saperlo.

Questo è il primo libro di Lansdale che leggo, ma è nato un nuovo amore. Ti avviso, sai cosa ti aspetta.

P.S. Nel frattempo sto leggendo Il grande libro di Stephen King, di Beahm, ma lo alterno alla narrativa poiché è un (bellissimo, ti anticipo) saggio di 700 pagine, peraltro scritto abbastanza fitto. Te ne parlerò appena lo finisco.

“Il tunnel dell’orrore” di Dean Koontz

Per questo romanzo di Dean Koontz, terzo che leggo dopo Cuore nero e Il luogo delle ombre, è doverosa un’introduzione che definirei storiografica (nel senso che ti racconto la storia della sua creazione).
Ok? Partiamo.

Nel 1980 Koontz non era ancora quel mostro di vendite che è ora (si parla di qualcosa come 500 milioni di copie) e, anzi, era abbastanza sconosciuto al grande pubblico. Tirava quindi a campare accettando anche scritture a compenso. Una di queste è quella che gli offrono i produttori del nuovo film di Tobe Hooper (hai presente? Non aprite quella porta, Poltergeist… ecco, lui), che si sarebbe intitolato The Funhhouse. Desiderano, infatti, ricavare un romanzo dalla sceneggiatura originale di Larry Block. Koontz accetta e scrive, appunto, Il tunnel dell’orrore, peraltro utilizzando la sceneggiatura solo per l’ultimo quinto della storia, che lui ricrea e approfondisce sviluppando tutta una parte iniziale inesistente. Per ragioni di marketing  scrive sotto lo pseudonimo di Owen West (uno dei mille che utilizza) e il romanzo, che in origine sarebbe dovuto uscire contemporaneamente al film, viene pubblicato in anticipo e vende milioni di copie. Poi esce anche il film di Hooper e il libro smette di vendere all’improvviso. Io il film non l’ho visto, ma così a occhio non deve essere un granché…

Horror puro anni ’80, senza fronzoli, tutto intrattenimento e cervelli spappolati. Una gioia per le mie papille oculari.
Trama (poca, as usual).
1955. Ellen scappa di casa con un giostraio per sfuggire alla madre bigotta. L’uomo, tale Conrad, diventa violento, lei resta incinta e partorisce un freak simil-satanico. Disperata, lo uccide (a ragione, è una bestia immonda e malefica). Conrad le giura vendetta.
1980. Ellen si è sposata e ha avuto due figli. È anche diventata bigotta quanto la madre, e alcolizzata. Sua figlia Amy ha 17 anni (anche lei resta incinta, ma abortisce) e per una serie di eventi finisce nel luna park dove Conrad ha il suo tunnel dell’orrore… Non aggiungo altro, ma qui inizia il film (e gli squartamenti).

Koontz a me piace, non c’è niente da fare. Chiariamoci, non è Stephen King (per restare in tema parco divertimenti il suo Joyland è di gran lunga superiore), ma ha una scrittura semplice che fa letteralmente volare via il tempo. E poi questa atmosfera retrò da Venerdì con Zio Tibia mi ha riportato alle mie prime esperienze con le notti horror di Italia Uno. Un genere, l’horror, che ormai è pieno di fantasmi inquieti e presenze tormentate, ma che una volta era più semplice e più gustoso. Anche ne Il tunnel si ritrovano dei piacevoli stereotipi che hanno fatto epoca (chessò, Liz, l’amica puttanella di Amy, che non ha alcuna profondità psicologica ma solo profondità inguinale).

Bene, ci risentiremo quindi di certo con Phantoms e Intensity, dal momento che li ho già in libreria.

“La svastica sul sole” di Philip K. Dick

Il Reich ha vinto la II Guerra Mondiale, Germania e Giappone si sono spartiti il mondo. Gli Stati Uniti sono divisi territorialmente tra le due potenze, l’Africa è stata spazzata via, Berlino è il centro del potere. La cultura orientale si è diffusa in tutto il pianeta, la spiritualità è importante quanto la supremazia della razza, le decisioni fondamentali vengono prese consultando il libro dell’Oracolo e gli oggetti americani antecendenti la guerra sono ricercati nel mondo dei collezionisti, tanto da alimentare anche un fiorente mercato di falsi dove il confine tra l’arte e la serialità è molto labile. In questo panorama si muovono le vite di un negoziante, di un falsario ebreo e altri personaggi, di cui alcuni sono spie sotto copertura. Ciò che li accoumuna è la lettura, o perlomeno la conoscenza, di un famoso libro verboten: La cavalletta non si alzerà più. La messa al bando del romanzo è dovuta alla strana storia che racconta, quella di un mondo dove Germania e Giappone sono stati sconfitti…

Come puoi vedere dalla trama, il soggetto principale di questo capolavoro di Philip K. Dick non sono i personaggi ma il contesto in cui sono calati. Come già per Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (da cui è tratto il famoso film Blade Runner), anche in La svastica sul sole quello che colpisce non è tanto la trama quanto la verosimiglianza di un mondo ricreato alla perfezione, dove non ci è dato sapere tutto e molto è lasciato all’immaginazione, ma quello che ci viene spiegato è molto coerente con quello che sarebbe potuto avvenire se la storia fosse andata diversamente. Abbiamo quindi un’Africa silenziosamente epurata dalle razze ritenute inferiori da Hitler, con la stessa discrezione (o menefreghismo generale) con cui erano stati organizzati i campi di concentramento. C’è un regime che appare decadente ma comunque in forma, dove a comandare sono i gerarchi nazisti ormai anziani, che si contendono potere e poltrone a furia di colpi di spionaggio e controspionaggio. C’è la natura umana che, al di là di colore, politica e credo, tende a portare la storia verso il mercato economico, vera dittatura che vince su qualsiasi storia reale e ucronica. E poi c’è il romanzo proibito, che racconta una storia che è la nostra, ma che appare comunque migliore della storia reale, come se l’uomo potesse solo immaginare un mondo dove la cultura abbia prevalso sull’avidità. E da questo ne esce una condanna per tutti, per chi ha perso, ma anche per chi ha vinto e avrebbe potuto fare di meglio.

The man in the high castle (da cui recentemente è stata tratta anche una serie tv) è il secondo romanzo di Dick che leggo, non ho quindi una grande esperienza su questo autore. È sicuramente un tipo di scrittura che punta alla riflessione più che al coinvolgimento. Interessante ad esempio tutto il discorso sul mercato del falso, la critica alla ricerca di cimeli (che è quello che fanno gli occidentali quando si sentono “turisti”) e il tentativo di capire dove, nella produzione di un oggetto, si fermi l’arte e cominci la serialità del lucro. Non posso spingermi oltre perchè solo su questo argomento ci sarebbe da parlare per ore, ma ciò è indicativo per capire quanti spunti di riflessione possa offrire il romanzo.

Devo dirti la verità, preferisco, restanto in ambito fantascientifico (anche se qui la vera e propria fantascienza è assente), scrittori come Asimov, Matheson, Bradbury o Vonnegut, perché sono sicuramente più coinvolgenti e ti inducono a voltare pagina più volentieri, ma la potenza evocativa e la profondità di ragionamento a cui ti spinge Dick sono inimitabili. Questo è quel tipo di scrittura che insegna a guardare la società, e l’uomo, con occhi diversi. A renderci consapevoli dei nostri limiti di piccoli (inutili, stupidi, prevedibili) esseri umani nell’Universo.
Credo che, mai come ora, ci sia bisogno di meditare su questo.