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“Knives Out – Cena con delitto” di Rian Johnson

Sono andato a vedere Knives Out – Cena con delitto aspettandomi qualcosa di molto simile a Assassinio sull’Orient Express e non sono rimasto deluso. Di Rian Johnson, peraltro, avevo già visto Brick – Dose mortale, Looper e Star Wars: Gli ultimi Jedi (che non ricordo nemmeno quale fosse della saga: Star Wars mi ha stufato). Per questo giallo, in stile Agatha Christie (non a caso Johnson dichiara apertamente di essersi ispirato a diversi film tratti dai romanzi della nota scrittrice britannica), è stato inoltre messo insieme un cast eccezionale: Chris Evans, Jamie Lee Curtis, Toni Collette, Don Johnson, Michael Shannon,  Christopher Plummer e, ovviamente, un leggermente imbolsito Daniel Craig (che non vedo l’ora di rivedere nei panni di James Bond in 007No Time to Die).
Ma che cazzo, piantiamola di dire stronzate…

Sono andato a vedere Knives Out – Cena con delitto per lei, Ana de Armas. Il “delitto” è chiaro ed evidente fin da subito: questa povera e umile ragazza è stata imbruttita (è un termine un po’ forte, lo so) e resa quasi irriconoscibile nei panni di una sciacquetta qualunque, ben lontana dalla bellezza androide di Blade Runner 2049 o da quella innocente e casalinga di Trafficanti. Ma, soprattutto, in un ruolo totalmente diverso da quello che tutti ricordiamo e che l’ha resa indimenticabile: la pazza psicopatica di Knock Knock. Anche ora, mentre scrivo, non posso immaginare cosa abbia provato Keanu Reeves nell’essere violentato dalle due protagoniste di quel film (per ben due volte, prima sotto la doccia e poi nel letto, mentre veniva chiamato “papino”). Non riesco a dimenticare il terrore nei suoi occhi e gli inutili tentativi con i quali provava a ribellarsi a quella tortura.

Knock Knock (2015) di Eli Roth

Ti prego, non farmici più pensare, è uno strazio. Torniamo a Knive Out
C’è un omicidio, un ricchissimo scrittore muore con la gola tagliata. Attorno a lui una famiglia di parassiti, un’infermiera dolce, bella e premurosa (ehm…), due agenti di polizia e un detective privato. Non posso certo dirti altro, essendo un giallo. Tuttavia ti anticiperò che il mistero non risiede solo in chi abbia compiuto il delitto, ma in tanti altri piccoli dettagli che servono a tenere sempre desta l’attenzione e l’interesse. E ci riescono.

Probabilmente non ricorderò Knive Out a lungo, come tutti i gialli si basa su un mistero che, una volta svelato, rende quasi inutile qualsiasi ulteriore visione del film. Però mi è piaciuto, è intrattenimento allo stato puro e centra il suo obiettivo in pieno. Due ore sono volate come niente, grazie anche a una buona dose d’ironia che non guasta mai. Insomma, te lo consiglio, se vuoi svagarti è l’ideale.
Ma smettiamola: c’è Ana de Armas, serve altro?

“La forma dell’acqua” di Guillermo del Toro

Guillermo del Toro è uno di quei pochi registi, come Burton o Carpenter, la cui estetica è fortemente riconoscibile. E già questo secondo me è un forte punto positivo. Se ti trovi all’improvviso di fronte allo schermo ti viene da dire la classica frase: «Ah, ma questo film è di..». La forma dell’acqua non fa eccezione, è 100% del Toro.

La trama è molto semplice.
Durante la Guerra Fredda una creatura ibrida viene catturata dal perfido governo degli Stati Uniti (impersonato da Michael Shannon) e tenuta rinchiusa in laboratorio per carpirne ogni segreto, ovviamente per trarne vantaggio nei confronti dei Russi. Elisa, inserviente muta, si innamora del “mostro” e, aiutata dal vicino di casa gay (Richard Jenkins) e da un’altra inserviente di colore (afroamerinda, afromaericana, nera.. non ricordo oggi quale sia il termine politicamente corretto di moda) cerca di liberarla prima dell’inevitabile soppressione. Mi fermo qui, se no in una riga arriviamo alla conclusione.

Come dicevo, la parte migliore del film è l’estetica, la ricostruzione in toni cupi degli anni sessanta e il richiamo alle creature dei classici b-movie in stile Il mostro della palude. Unito a questa una commistione, talvolta spiazzante, di generi. Si passa dal film sentimentale al musical, ma si viene anche sorpresi da scene tipicamente splatter, come quando la creatura mangia la testa del gatto del vicino di casa, o dal continuo tormento dato al cattivone di turno dal due dita che gli stanno andando in putrefazione (non si contano le volte in cui si staccano/riattacano/secernono liquidi).

È sicuramente un bel film, tuttavia non penso lo riguarderò. Spulciando online vedo che è giudicato addirittura migliore de Il labirinto del fauno. Io non credo. La storia non mi ha coinvolto troppo, in realtà succede molto poco ed è tutto abbastanza stereotipato, anche se forse negli USA degli anni sessanta lo era davvero.

Purtroppo nel cinema di questi ultimi anni c’è questa nuova ondata morale per cui, se parli di minoranze, il film parte già con due punti di vantaggio. Credo sia proprio questo il caso. Mi spiego. Pensando ai gay ad esempio, mi vengono in mente film più datati come Dallas Buyers Club o Philadelphia (o American History X per il tema del razzismo, ecc.), impegnati in modo più consistente che forse avevano anche un pubblico più pronto ad impegnarsi intellettualmente. Ecco, quando vedo La forma dell’acqua, trovo gli stessi temi ma affrontati con l’impegno di un post color arcobaleno su un social. La fruibilità istantanea, l’importanza di cambiare un vocabolo, ritenuto oltraggioso, prima di cambiare un’idea. Molta voglia di mostrare, poca di pensare. Insomma, la società dell’apparenza, miglior nemica di se stessa.

Detto questo, ripeto, il film è bello e ti consiglio di vederlo, ma non andare al cinema troppo carico di aspettative, perché resteresti deluso.