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“La strada” di Cormac McCarthy

La strada (2006) è un romanzo di Cormac McCarthy, vincitore del James Tait Black Memorial Prize e del Premio Pulitzer. Dal libro è stato tratto lo stupendo The Road, di John Hillcoat (suo anche Lawless, molto bello), con Viggo Mortensen. La strada, così come Cecità di Saramago, è uno di quei romanzi che dovrebbero essere consigliati a scuola (non so se oggi esista qualche insegnante abbastanza illuminato, io ne ho avuti pochi).

In un futuro non troppo lontano, dopo un olocausto nucleare (o la caduta di un asteroide – non è specificato), un padre e un figlio camminano lungo la strada in direzione dell’oceano. Da un flashback si scopre che la madre del bambino non ha retto la situazione venutasi a creare dopo il cambiamento e si è suicidata. L’uomo cerca semplicemente di tirare avanti, è chiaro che il mare sia solo un obiettivo come un altro. Tutto è grigio e cosparso di cenere, il cibo è rarissimo e i sopravvissuti molto pochi. È un mondo in cui è saltata ogni organizzazione sociale, i disperati che non sono morti fisicamente lo sono nell’animo e il cannibalismo è diventato per tanti la soluzione alla fame.

Il livello di disperazione che pervade il romanzo è tale da farti sentire lì, a fianco di questi due personaggi senza nome. Potresti essere tu a tenere una pistola carica, pronto a ucciderti, più che a uccidere, e a porre fine anche alla vita di chi non potrebbe andare avanti da solo. La strada è un’analisi perfettamente lucida di quello che potrebbe essere, di quanto tutto il nostro sistema sia precario e come basterebbe poco per ridurci a uno stadio primitivo. L’unico portatore di bontà, non corrotto dal male dell’età adulta, è il bambino, che cerca sempre di aiutare chi sta peggio anche quando questo può rappresentare un rischio. McCarthy ti trasmette benissimo l’angoscia che vive l’uomo, già dalle primissime pagine visibilmente malconcio (tossisce sangue), conscio che presto dovrà abbandonare il bambino a sé stesso. È un padre che insegna al figlio come si fa a spararsi un colpo in bocca, nel caso gli capitasse di dover evitare una morte atroce (vedi: mangiato).

La strada è un capolavoro, uno dei migliori romanzi che abbia letto ultimamente. Ora mi è venuta voglia di rivedere il film.
Ho scoperto tardi McCarthy, autore, tra gli altri, di Non è un paese per vecchi. Recupererò tutti e dieci i suoi romanzi, puoi starne certo.

“Il grido del falco” di Renata Bovara

Tu non lo sai, ma io ho delle regole.
Ti risparmierò quelle del tipo “non si esce quando piove” e “vietate le cene con più di cinque persone” (che non sempre riesco a rispettare) limitandomi a elencartene un paio inerenti la lettura dei libri. Una è “mai eBook di narrativa”, un’altra è “non si leggono più romanzi contemporaneamente”. La prima è dovuta al fatto che maltollero l’esistenza stessa degli eBook, giustifandoli solo sotto forma di guida turistica (per ovvie ragioni di praticità). La seconda è, invece, una strategia che mi impedisce di fare arenare la lettura di un libro preferendone un altro. Ecco, con Il grido del falco di Renata Bovara, le ho infrante entrambe. A mia discolpa, questo romanzo non è reperibile in cartaceo e l’eBook, per forza di cose, non è sempre comodo da portare in giro, a differenza del buon vecchio albero assassinato e fatto a fettine. (Quindi, nel frattempo, sto leggendo anche La città dei libri sognanti di Walter Moers, di cui ti racconterò tra qualche giorno).

Se ricordi, ti avevo già parlato di Renata Bovara per Spiagge sospese, finalista al “Premio Letterario RTL102.5 – Mursia Romanzo Italiano” (concorso al quale sono legato per ovvie ragioni), che mi era piaciuto molto. Bene, mi è piaciuto anche Il grido del falco (fine della suspense, ma quanto ti ho fatto sudare, eh?).

Trama. (Poca, as usual).
Cora vive a New York, dove conosce il ricco Theo e ne diventa l’amante. Poi si diffonde un virus che decima la popolazione, si salvano solo pochi eletti. Cora sopravvive, ma che fine ha fatto Theo? Perché la evita?
(C’è un falco in tutto questo, motivo del titolo e della bella illustrazione in copertina che, a quanto ho capito, è opera del fratello dell’autrice).

Il romanzo si divide in due parti. Nella prima è maggiore l’introspezione della protagonista, che indaga la figura dell’amante, con i sacrifici e le scelte che deve affrontare chi si trovi in questa “posizione”. Nella seconda c’è un maggiore sopravvento della trama post-apocalittica, con qualche accenno di critica sociale a un sitema-mondo legato a doppio nodo con il denaro (non posso essere più specifico senza svelarti troppo). A prevalere è soprattutto la parte emotiva (non aspettarti un romanzo di fantascienza, non lo è) dove l’epidemia sembra talvolta una scusa per sondare meglio la solitudine dell’individuo. È un po’ come se a mancare non fossero tanto le persone, quanto l’umanità.

Anche Il grido del falco , così come Spiagge sospese, è un romanzo fortemente femminile. Difficile (se non impossibile) per una brutale, burbera, barbara, bestiale (e altre cose con la B) mente maschile riuscire ad accedere appieno alle inquietudini che turbano la protagonista.
Quello che apprezzo molto di questa scrittrice è l’assoluta riconoscibilità nello stile. Uno stile elegante e raffinato (sì, lo so, uso parole inconsuete, sarò stato sbrutalizzato dalla lettura) che non utilizza mai una terminologia complessa, facendo della semplicità la sua forza.

C’è poi un’altra sensazione che ho avuto leggendo questo romanzo. Un po’ come nell’Animali notturni di Tom Ford, il libro pare scritto per “farla pagare” a qualcuno. Sarà stata la rabbia della protagonista, non lo so, ma ho avuto l’impressione che fosse in parte autobiografico.
Di sicuro, in caso, lo saprà meglio Theo.