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“Non è un paese per vecchi” di Cormac McCarthy

Cazzo, che romanzo.

Non sarà un inizio raffinato, il mio, ma concedimelo.
Non è un paese per vecchi è il secondo libro che leggo di Cormac McCarthy, dopo La strada, e non ho più alcun dubbio: devo leggere tutto quello che ha scritto. Che poi non ha scritto molto, su Wiki ci sono giusto una decina di titoli in quasi novant’anni di vita (McCarthy è del 1933).

Avevo visto il film omonimo dei fratelli Coen (e l’ho  rivisto appena terminato il romanzo) qualche anno fa. Lo ricordavo per la cazzutissima (ci risiamo) interpretazione di Javier Bardem, non tanto per la trama, che non mi aveva colpito. Invece devo amettere che anche la trama segue il romanzo per filo e per segno, quindi da quel punto di vista è stato fatto un lavoro eccezionale. Tuttavia il libro “è meglio”, come si suol dire.

Llewelyn Moss, un reduce del Vietnam texano, sta cacciando antilopi sul confine col Messico quando si trova sulla scena di quello che deve essere stato un regolamento di conti. Pick-up bucherellati, uomini bucherellati, cani bucherellati. Tanta droga e una valigetta con due milioni e mezzo di dollari. Moss prende la valigetta e scappa. Sulle sue tracce Anton Chigurh, psiocopatico folle assassino, che cerca la valigetta armato di una bombola ad aria compressa, un fucile e una moneta. Un uomo che sembra la Morte in persona. E, ancora, dietro loro due, lo sceriffo Bell che ce la mette tutta per trovare Moss e salvarlo dal suo destino.

Un romanzo di polvere, sangue e silenzi. Di dialoghi asciutti(ssimi), rimpianti e scelte. Nessuna anima è priva di sofferenza, qui. Chigurh sembra essere l’opposto esatto di un deus ex machina, l’incarnazione dell’assenza di pietà della vita che ti stritola senza possibilità di fuga. Il suo testa o croce ha il sapore di un cancro che ti becca nel momento in cui tutto sta andando per il meglio.

La storia è intervallata da capitoli nei quali, a cose concluse, lo sceriffo Bell riflette sul passato, sul futuro e sul senso dell’esistenza. Questo si perde molto (non del tutto) nel film, nonostante l’ottimo Tommy Lee Jones. In generale la trasposizione perde un po’ quel senso di solitudine che caratterizza i personaggi nel romanzo. Quella sensazione di essere tutti degli inutili sputi nell’Universo, per capirci.

Cazzo, che romanzo.

“La strada” di Cormac McCarthy

La strada (2006) è un romanzo di Cormac McCarthy, vincitore del James Tait Black Memorial Prize e del Premio Pulitzer. Dal libro è stato tratto lo stupendo The Road, di John Hillcoat (suo anche Lawless, molto bello), con Viggo Mortensen. La strada, così come Cecità di Saramago, è uno di quei romanzi che dovrebbero essere consigliati a scuola (non so se oggi esista qualche insegnante abbastanza illuminato, io ne ho avuti pochi).

In un futuro non troppo lontano, dopo un olocausto nucleare (o la caduta di un asteroide – non è specificato), un padre e un figlio camminano lungo la strada in direzione dell’oceano. Da un flashback si scopre che la madre del bambino non ha retto la situazione venutasi a creare dopo il cambiamento e si è suicidata. L’uomo cerca semplicemente di tirare avanti, è chiaro che il mare sia solo un obiettivo come un altro. Tutto è grigio e cosparso di cenere, il cibo è rarissimo e i sopravvissuti molto pochi. È un mondo in cui è saltata ogni organizzazione sociale, i disperati che non sono morti fisicamente lo sono nell’animo e il cannibalismo è diventato per tanti la soluzione alla fame.

Il livello di disperazione che pervade il romanzo è tale da farti sentire lì, a fianco di questi due personaggi senza nome. Potresti essere tu a tenere una pistola carica, pronto a ucciderti, più che a uccidere, e a porre fine anche alla vita di chi non potrebbe andare avanti da solo. La strada è un’analisi perfettamente lucida di quello che potrebbe essere, di quanto tutto il nostro sistema sia precario e come basterebbe poco per ridurci a uno stadio primitivo. L’unico portatore di bontà, non corrotto dal male dell’età adulta, è il bambino, che cerca sempre di aiutare chi sta peggio anche quando questo può rappresentare un rischio. McCarthy ti trasmette benissimo l’angoscia che vive l’uomo, già dalle primissime pagine visibilmente malconcio (tossisce sangue), conscio che presto dovrà abbandonare il bambino a sé stesso. È un padre che insegna al figlio come si fa a spararsi un colpo in bocca, nel caso gli capitasse di dover evitare una morte atroce (vedi: mangiato).

La strada è un capolavoro, uno dei migliori romanzi che abbia letto ultimamente. Ora mi è venuta voglia di rivedere il film.
Ho scoperto tardi McCarthy, autore, tra gli altri, di Non è un paese per vecchi. Recupererò tutti e dieci i suoi romanzi, puoi starne certo.