Spiagge sospese, di Renata Bovara, si era piazzato nel 2018 tra i tre finalisti della seconda edizione del Premio Letterario “RTL 102.5 e Mursia Romanzo Italiano”, vinto successivamente* da Blowjim di Cavaciuti. Il romanzo è stato poi fortunatamente* (e meritatamente*) comunque pubblicato all’inizio di quest’anno. Mi è capitato tra le mani e quindi ora siamo qui.
*(Tre avverbi in dieci parole: a Stephen King sarà venuto un colpo).
Non vorrei svelarti troppo della trama. Primo perché, come sai, a me non piace raccontare le trame dei libri, secondo perché potrebbe indurti in errore nella valutazione di questo romanzo. Qualcosa comunque te la dirò, perché altrimenti a te, che sei un lettore medio di recensioni medie, se usciamo dal canone rischiamo ti venga un eczema da stress.
La marchesa Federica Macaluso muore, e muore all’inizio del romanzo. Lascia una figlia, una nipote e delle pronipoti. Tutte queste donne hanno, in qualche modo, qualcosa in “sospeso” con lei. La marchesa lascia, però, anche una vita di contrasti, amori, misteri. Lascia, in particolare, un segreto legato alla sua giovinezza che l’ha condizionata per tutta l’esistenza, anche durante un matrimonio, con il marchese appunto, che non sembra essere nato dall’amore. E sarà la marchesa stessa a sbrogliare la matassa della sua vita dal luogo in cui è finita dopo la morte. Un luogo, anche qui, sospeso, composto da ricordi e reinterpretazioni del vissuto della marchesa, mentre nel mondo “reale” le sue discendenti proseguiranno le loro vite, cercando di capire chi fosse davvero Federica Macaluso e quanto abbia in realtà inluenzato le loro vite.
Spiagge sospese è scritto molto bene, su questo non ci piove. Quello che si nota subito è l’eleganza e la raffinatezza (sai che non è da me utilizzare questi termini, ma tant’è) della costruzione della frase. Ma quello che ho ammirato ancora di più è che questa eleganza non sia legata a particolari virtuosismi lessicali o sbruffonerie: l’autrice usa infatti parole semplici, solo che le sa “abbinare” bene. È un po’ la differenza che intercorre tra chi, per dimostrare il proprio valore, deve spendere una sacco di soldi in marchi e abiti costosi (risultando spesso pacchiano) e chi, invece, ha una classe intrinseca che gli consente di essere elegante anche in mutande. Spero di aver reso l’idea.
Poi c’è questa cosa della sospensione che è azzeccatissima. Il romanzo È una sospensione. Da bambino partecipavo a dei pranzi domenicali estivi con i parenti (una tortura) che si concludevano immancabilmente con il pisolino del primo pomeriggio. E io ero lì, l’unico sveglio, ad aspettare succedesse qualcosa senza poter fare niente. Dormivano tutti, il sole picchiava di brutto, le strade erano deserte, non c’erano rumori. La giornata non era finita, io lo sapevo ma, per un certo tempo, non sarebbe successo nulla. Questo romanzo mi ha fatto sentire sospeso, come allora, in un’attesa diurna.
Spiagge sospese indaga la vita, il rimorso, le svolte mancate. Allo stesso tempo però butta anche un occhio su qualcosa che, la maggior parte dei lettori, non capirà. Ossia sulla vita stessa, che non è solo il sogno, ma è anche la normalità. Qualsiasi scelta porta a delle conseguenze, ed è solo vivendo che si arriverà a capire che il sogno non esiste, perché quello esiste solo nelle scelte mancate che, rimanendo estranee alla realtà, possono fingere di essere perfette.
Fermo restando che Spiagge sospese è destinato a un pubblico femminile e che io l’ho letto e compreso solo grazie alla mia incredibile sensibilità, intelligenza, arguzia, fascino, bellezza, ecc. ecc. (e modestia, e umiltà, ovviamente), credo, in definitiva, che questo romanzo sia il libro perfetto per mandare in brodo di giuggiole un plotone di casalinghe frustrate. Quelle incastrate in un matrimonio che non le soddisfa, che pensano a “come sarebbe potuta andare se..”. Le stesse che non riusciranno a vedere molto oltre la trama, attaccate alla superficie delle cose, perdendosi i contenuti, intente a cercare le similitudini con le loro tristi e inutili vite. Vedranno solo quello che vorranno vedere. Ed è un peccato, perché si perderanno molto.
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