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“La regina rossa” di Sara Di Furia

Per una volta partirò parlandoti del contenitore, invece che del contenuto. Sì, lo so, è una cosa superficiale, ma tanto ci viviamo in un mondo superficiale, quindi non vedo perché tu ti debba stupire. Comunque, questo libro è proprio bello fisicamente, è rilegato in un cartoncino rigido che da subito l’ha reso ai miei occhi, e soprattutto alle mie mani, un oggetto di pregio. In questa specie di atmosfera feticciamente cronenberghiana continuo inconsciamente a tastarlo e a palpeggiarlo, prima o poi finirò per morderne gli spigoli…

Bene, veniamo a noi. Ho tentato di divagare per non cascare da subito nel campanilismo che mi tenta (è tentacolare, direbbe la Giovanna de Il ragazzo di campagna) e mi spinge a parlarti bene di un’opera nata dalla penna (come se poi si scrivesse ancora a penna) di un’autrice originaria di Brescia [ridente cittadina del nord Italia immersa in un bucolico contesto a metà tra il lago e la montagna], come me.
Sì, insomma, veniamo a questo La regina rossa di Sara Di Furia.

Romanzo gotico, fantasy, horror, storico. Un multiatmosfera, in pratica, che ho trovato particolarmente idoneo per accompagnare l’arrivo fulmineo dell’inverno (non credo si possa leggere un romanzo gotico con il caldo, parere personale). La trama, come sempre, te la accenno soltanto.
Inghilterra, 1863. Una bambina, Christianne, viene adottata da una ricca e nobile famiglia, i Klein. Se si escludono le due sorelle più piccole, è sgradita da subito a tutti, poichè presenta dei segni ascrivibili al Male: un vistoso neo e l’abbozzo di un sesto dito. Passato qualche anno, e in seguito a un paio di disgrazie, la ragazza si trova effettivamente in situazioni paranormali che la costringono a fare i conti con sé stessa. Che sia davvero una strega? Perché vede gli spiriti dei morti? Non aggiungo altro, se non che c’è un costante rimando alle opere di Edgar Allan Poe, altrimenti ti spoilero troppo (hai visto che ho iniziato anche io a utilizzare questi termini stronzeggianti alla moda, eh?).

Mi è piaciuto? Sì, mi è piaciuto.
È un romanzo scorrevole e leggero, sono circa 200 pagine che vanno via veloci. C’è una parte centrale in cui le sottotrame amorose hanno rischiato di prendere un po’ troppo il sopravvento, per i miei gusti, ma questo probabilmente perché sono io a essere ostile a un certo tipo di emotività di stampo femminile (insomma, nell’immaginare questa vergine in costume, che desidera il suo precettore, già fantasticavo un’atmosfera “ott”, la versione hot dell’800). Per il resto l’autrice ha costruito una storia nella quale misteri e enigmi ti invogliano a girare pagina per scoprire come prosegue la vicenda. Ho apprezzato, peraltro, alcune cose di cui non posso parlarti troppo (per ovvi motivi), come la riflessione sull’immortalità e un finale che non è scontato.
Bene, recupererò il romanzo successivo di Sara Di Furia, Jack. Questo dovrebbe bastarti.

“La casa sull’abisso” di William Hope Hodgson

William Hope Hodgson, insieme ai più noti Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft (di cui ho appena acquistato l’opera omnia in mammut: 2000 pg!), è ritenuto uno scrittore di culto per tutti gli amanti dell’horror con implicazioni metafisiche/spirituali/demonologiche. La casa sull’abisso uno dei suoi romanzi più rappresentativi. In realtà erano anni che desideravo affrontarlo, ne avevo letto qualcosa a proposito su uno dei primi Almanacchi di Dylan Dog (quando Dylan Dog era davveroo Dylan Dog) e avevo sempre rimandato.
Bene, ora l’ho letto.

L’edizione che ho recuperato è quella dei Classici Urania, è molto curata e contiene, oltre al romanzo (con naturale premessa e biografia), anche tre racconti e un illuminante saggio finale di Gianfranco de Turris. Dico “illuminante” perché de Turris spiega ed esplicita la doppia lettura che si può fare di questo romanzo. Ma veniamo alla trama, poi ci arrovelliamo.

Attraverso lo stratagemma letterario del “manoscritto ritrovato” vengono narrate le vicende di un uomo che, in Irlanda, abita isolato in un’enorme casa, insieme alla sorella e a un cane. Sotto la casa c’è un abisso, una grotta profonda da cui fuoriescono delle creature che, durante la notte, cercano di entrare nella casa. L’uomo resiste e indaga sull’abisso, scoprendo che è collegato sia da un apertura esterna alla casa che da una botola interna alla grande cantina inesplorata. Il tutto è condito da visioni cosmologiche, molto lunghe, in cui l’uomo vede un’altra realtà collegata alla sua solo da una casa, che pare la stessa in cui abita. Inoltre vive un’esperienza di viaggio nel tempo (che occupa molte pagine) composta solo ed esclusivamente dalla condizione e dall’evoluzione del cosmo nei milioni di anni a venire, fino al termine dell’Universo.

Non starò a descriverti tutto quanto spiega de Turris nel saggio, ti basti sapere che l’intero romanzo ha una chiave di lettura psicologica, dove la cantina e l’abisso rappresentano i lati oscuri dell’uomo, le bestie suine i suoi demoni, ecc. Abbastanza da farmi sentire scemo per non averlo compreso durante la lettura: il romanzo è quindi più complesso di quanto sembri.

Dal punto di vista esclusivamente letterario ho trovato la storia estremamente coinvolgente nelle parti reali, quelle di azione tangibile, e altrettanto pallosa in tutta la parte metafisica e cosmologica (non me ne vogliano gli appassionati), troppo lunga e prolissa.

È sicuramente una lettura da affrontare con la dovuta predisposizione psicologica, ma è comunque un libro da leggere. Hodgson è molto stimato da Lovecraft, e tanto basti per individuarne il genere. Ora, appena ne avrò il coraggio, affronterò il mammut di Lovecraft di cui parlavo sopra, magari a rate…

Un nota sui racconti: Il terrore della cisterna, La tempesta e Eloi, Eloi lama sabachtani! Ho apprezzato molto la semplicità giallistica e misteriosa del primo, il secondo parla di una tempesta in mare (Hodgson era un marinaio e un culturista) e l’ho trovato un po’ noioso, mentre il terzo affronta il tema del fervore religioso, forse in modo leggermente prolisso.

In definitiva non credo leggerò altro di Hodgson, tuttavia sono contento di averlo “conosciuto”.

“Revival” di Stephen King

Ultimamente non sto leggendo molto. O meglio, sto leggendo libri e fumetti irrecensibili. Mi son bevuto una dozzina di Marvel Omnibus ad esempio, ma mi sembrava inutile e difficoltoso parlartene. Sono impanatanato ne L’interpretazione dei sogni di Freud (a seguito dei miei continui incubi di cui forse, peraltro, aprirò una sezione dedicata sul blog). Idem per il noioso World War Z che non riesco a terminare e per il sopravalutaterrimo (si!) Infinite Jest di Wallace che ho interrotto (succede rarissimamente, deve farmi proprio cagare). Insomma narrativa poca, e così vedo che l’ultima recensione che ho scritto di un libro è sempre dedicata al Re, Stephen King. Poco male, ti accontenterai.

Revival. Mi è piaciuto molto. Così come 22/11/63 attraversa un arco di tempo molto ampio (una vita) riuscendo a creare la nostalgia dei tempi andati (ossia le prime pagine) e facendo conoscere il personaggio principale (che scrive il libro in prima persona), grazie anche agli avvenimenti che l’hanno cambiato nel corso della sua esistenza. Non puoi non affezionarti al protagonista, sentirlo come un fratello, perchè conosci i motivi che l’hanno portato ad essere in un modo piuttosto che in un altro, li hai affrontati con lui.

Revival

Trama semplice ma molto coinvogente. Sarò breve (leggitela da un’altra parte se vuoi). Tutta la storia si gioca sul rapporto tra il protagonista Jamie (fin dall’età di 6 anni) e Charles Jacobs (prima reverendo, poi imbonitore da fiera e infine scienziato) e i loro incontri a decenni di distanza. E, naturalmente, “l’elettricità segreta”. Un gran romanzo sulla religione, la musica (tanta), la scienza e la curiosità dell’animo umano. Stupenda la Predica Terribile con cui il reverendo rinuncia a Dio dopo aver perso moglie e figlio.
Devo farti notare che in questo romanzo non ci sono cattivi. La pazzia (pazzia?) dello scienziato Jacobs infatti non è condannabile, ne dal protagonista e nemmeno da chi legge. Siamo tutti un po’ Jacobs e un po’ Jamie. Vogliamo conoscere cosa c’è dopo la morte, sempre che qualcosa ci sia.

[Chicca: se sei appassionato di “collegamenti” non ti perdi certo l’aggancio tutto interno a Joyland, il parco divertimenti dove anche Jacobs ha lavorato per qualche tempo.]

Grandi riferimenti a Poe, Lovecraft (soprattutto, con i libri proibiti) e, perchè no, al Frankenstein di Shelley. Un horror classico ai tempi moderni. Leggero e veloce con meno di 500 pg., te lo consiglio vivamente. O revivalmente, vedi tu, prova a mettere le dita nella presa della corrente e magari scoprirai il Null!