Guillermo del Toro è uno di quei pochi registi, come Burton o Carpenter, la cui estetica è fortemente riconoscibile. E già questo secondo me è un forte punto positivo. Se ti trovi all’improvviso di fronte allo schermo ti viene da dire la classica frase: «Ah, ma questo film è di..». La forma dell’acqua non fa eccezione, è 100% del Toro.
La trama è molto semplice.
Durante la Guerra Fredda una creatura ibrida viene catturata dal perfido governo degli Stati Uniti (impersonato da Michael Shannon) e tenuta rinchiusa in laboratorio per carpirne ogni segreto, ovviamente per trarne vantaggio nei confronti dei Russi. Elisa, inserviente muta, si innamora del “mostro” e, aiutata dal vicino di casa gay (Richard Jenkins) e da un’altra inserviente di colore (afroamerinda, afromaericana, nera.. non ricordo oggi quale sia il termine politicamente corretto di moda) cerca di liberarla prima dell’inevitabile soppressione. Mi fermo qui, se no in una riga arriviamo alla conclusione.
Come dicevo, la parte migliore del film è l’estetica, la ricostruzione in toni cupi degli anni sessanta e il richiamo alle creature dei classici b-movie in stile Il mostro della palude. Unito a questa una commistione, talvolta spiazzante, di generi. Si passa dal film sentimentale al musical, ma si viene anche sorpresi da scene tipicamente splatter, come quando la creatura mangia la testa del gatto del vicino di casa, o dal continuo tormento dato al cattivone di turno dal due dita che gli stanno andando in putrefazione (non si contano le volte in cui si staccano/riattacano/secernono liquidi).
È sicuramente un bel film, tuttavia non penso lo riguarderò. Spulciando online vedo che è giudicato addirittura migliore de Il labirinto del fauno. Io non credo. La storia non mi ha coinvolto troppo, in realtà succede molto poco ed è tutto abbastanza stereotipato, anche se forse negli USA degli anni sessanta lo era davvero.
Purtroppo nel cinema di questi ultimi anni c’è questa nuova ondata morale per cui, se parli di minoranze, il film parte già con due punti di vantaggio. Credo sia proprio questo il caso. Mi spiego. Pensando ai gay ad esempio, mi vengono in mente film più datati come Dallas Buyers Club o Philadelphia (o American History X per il tema del razzismo, ecc.), impegnati in modo più consistente che forse avevano anche un pubblico più pronto ad impegnarsi intellettualmente. Ecco, quando vedo La forma dell’acqua, trovo gli stessi temi ma affrontati con l’impegno di un post color arcobaleno su un social. La fruibilità istantanea, l’importanza di cambiare un vocabolo, ritenuto oltraggioso, prima di cambiare un’idea. Molta voglia di mostrare, poca di pensare. Insomma, la società dell’apparenza, miglior nemica di se stessa.
Detto questo, ripeto, il film è bello e ti consiglio di vederlo, ma non andare al cinema troppo carico di aspettative, perché resteresti deluso.