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“28 anni dopo” di Danny Boyle

Sì, lo so, sarà un mese che non pubblico nulla e il motivo è presto detto: sto leggendo Pensieri lenti e veloci di Kahneman, saggio davvero molto interessante ma per nulla scorrevole (sono a metà). Detto questo, era anche parecchio che non andavo a farmi rapinare al cinema (10,50 euro) ed eccomi quindi qui a (s)parlarti di 28 anni dopo di Danny Boyle, seguito di 28 giorni dopo (quell’altra roba in mezzo nemmeno la consideriamo), questa volta senza Cillian Murphy, che resta solo in veste di produttore.

La trama, per questo tipo di film, è a mio parere pressoché inutile, ma comunque… Il virus si è evoluto e la Gran Bretagna è stata abbandonata dal resto del mondo, che invece vive tranquillamente. Quello che vediamo noi è una comunità su un’isoletta minuscola che è riuscita a isolarsi dalla terraferma, raggiunngibile solo con la bassa marea tramite una strada presidiata. Qui un padre, Aaron Taylor Johnson, cerca di preparare il figlio agli orrori causati dal virus, mentre sua moglie ha evidenti problemi di testa dovuti a una qualche sconosciuta malattia. La faccio breve: il figlio scappa con la madre sulla terraferma in cerca di un medico, Ralph Fiennes, che vive isolato tra i morti. Mi fermo.

Il film è scritto da Alex Garland (Ex Machina, Men, Civil War…) e questo avrebbe potuto renderlo qualcosa di grandioso, tuttavia – neanche tanto per colpa del sopravvalutato Danny Boyle – si colloca anonimamente nel filone zombie (perché alla fine è di questa salsa che si parla, virus o non virus). È brutto? È bello? Mah… Ormai il canone del genere è talmente standardizzato che, seguendo le regole base, è anche difficile tirare fuori una ciofeca (molto di più, una qualche novità). È, appunto, anonimo, dimenticabile. Come tutti gli altri è eterno debitore del genio di Romero e non sarà certo l’evoluzione del virus, che crea fantomatici elementi più intelligenti denominati Alpha, a renderlo memorabile.

Un film da piattaforma online, non da cinema, considerato il costo. Non vale l’investimento. Credo che l’ultimo film ad essermi piaciuto di questo genere, dopo quelli del già citato Romero, sia stato World War Z, fosse anche solo per la presenza di Brad Pitt. Pare che ci saranno altri due seguiti, sempre con Garland alla scrittura ma non con Boyle alla regia. Non che cambi qualcosa, questa volta, davvero, non credo sia colpa di Boyle (che, chiariamolo, ha fatto film divertenti, ma non capisco proprio l’adulazione nei suoi confronti). Siamo a livelli di The Walking Dead, nulla di più. D’altra parte, se ci si riflette, in comune hanno anche l’inizio della serialità (alla faccia delle innovazioni): un uomo si risveglia dal coma in ospedale e nel frattempo nel mondo è successo qualcosa…

Una nota: il film è interamente girato con l’Iphone. Non si nota e questo la dice lunga sull’evoluzione della tecnologia.

“127 ore – Intrappolato dalla montagna” di Aron Ralston

Sto cercando di riordinare le idee per capire da dove iniziare a parlarti di questo libro, ma la sintesi è che è una bomba. 127 ore (Between a rock and a hard place) è un romanzo di quelli che piacciono a me, dove si parla di montagna, avventura e sopravvivenza (a fine post ti elenco un po’ di titoli affini), ed è una storia vera. Aron Ralston è ufficialmente uno dei miei nuovi eroi. Ok, ora che ho scaricato l’entusiasmo mi ricompongo e vado per ordine.

Due righe sulla trama che, comunque, è presente in forma integrale nel risvolto della copertina, poiché è nota. Probabile peraltro tu abbia visto il film del 2010 di Danny Boyle con James Franco.
Aron Ralston è un arrampicatore esperto e nella sua vita non mancano certo le esperienze estreme. Una volta sta per venire mangiato da un orso, un’altra viene seppellito da una valanga, una quasi annega in un fiume, un’altra ancora rimane appeso per un soffio su un baratro di seiecento metri… insomma, un tipo tranquillo. Un giorno decide di avventurarsi nel Blue John Canyon, nello Utah, per un’escursione delle sue, composta da cammino a piedi, tratti in bici e scalate su roccia. Il programma è già abbastanza arduo così ma, nell’appoggiarsi su un masso incastrato tra due pareti, si trova a cadere insieme a questo sul fondo del canyon. Lì, la sua mano destra rimane incastrata tra il masso e la parete del canyon, a poco più di un metro da terra. Aron, che non ha informato nessuno su dove sarebbe andato a fare l’escursione, ci mette circa cinque giorni (le famose 127 ore, di cui 120 intrappolato) a decidere di amputarsi il braccio, unico modo per sopravvivere.

Foto originale scattata da Aron Ralston durante l’incidente.

Qualsiasi cosa io possa dirti non restituirà la potenza di questo libro. Aron Ralston è un personaggio unico e che sia speciale lo si capisce anche dai racconti precedenti al suo incidente, avvenuto nel 2003 quando aveva 28 anni. Nelle 350 pagine del romanzo (che per forza di cose non sono tutte “imprigionate” dal masso) Aron racconta anche altre esperienze nella natura selvaggia, mettendo in luce la sua continua ricerca del limite. E, chiariamoci, anche dopo l’incidente Aron non ha smesso di fare quello che faceva prima: ha indossato la sua bella protesi (in realtà tre diverse, a seconda dell’utilizzo) e ha continuato a cercarlo, quel limite.

Per capirci meglio:

Aron Ralston in arrampicata anni dopo l’incidente.

Durante la “permanenza” nel canyon, bloccato dalla pietra, Aron ha escogitato tutta una serie di strategie per sopravvivere il più a lungo possibile. Ha assemblato un’imbragatura sospesa per fare riposare le gambe e non stare sempre in piedi, ha provato a scalfire il masso con un coltellino (lo stesso che utilizzerà per amputarsi il braccio), ha filtrato l’urina per allungare la sua esigua riserva idrica. Senza parlare della forza psicologica che ha dimostrato, anche grazie a un continuo auto-incoraggiamento che si è imposto per non perdere la speranza. Se non ti bastasse tutto questo, considera che la lama di cui disponeva non era idonea per segare le ossa, quindi lui quelle ossa le ha spezzate, per poter lavorare solo su carne, muscoli e tendini. Fatto questo, per tornare alla vita, ha dovuto affrontare una discesa su parete (venti metri) e diversi chilometri di cammino nel deserto tra i canyon. Con un braccio appena amputato!

Mentre è intrappolato, Aron dispone anche di una videocamera con la quale registra una serie di filmati (su youtube se ne possono trovare alcuni). Saluta tutti, gli amici, i parenti e, ovviamente, dedica molto spazio ai suoi genitori. Nei rari momenti di abbandono, quelli in cui è convinto ormai di morire (nei cinque giorni perde circa 18 chili per la disidratazione), si occupa anche delle comunicazioni prettamente pratiche (oggetti da restituire, beni da donare, conti da saldare) lasciando tutte le dovute indicazioni per chi ritroverà il suo corpo.

Continuano a venirmi in mente altre cose da raccontarti per farti capire la potenza e la forza che deve avere avuto Ralston per riuscire a reagire in modo tanto determinato in una situazione così estrema. Come ti dicevo, tuttavia, questo è un libro da leggere, riportarlo qui non produce un decimo dell’effetto. Non farti influenzare dal film, inevitabilmente molto più superficiale, né dall’idea che possa trattarsi di una storia statica. Aron è fermo ma la sua cazzutissima mente gira a mille e, ti assicuro, girano anche le pagine.

Alcuni libri che ho letto e che ti consiglio se ti piace il genere avventura/bio/survivor:
Aria Sottile di Jon Krakauer
Nelle terre estreme di Jon Krakauer
La verità sul Titanic di Archibald Gracie
Wild – Una storia selvaggia di avventura e rinascita di Cheryl Strayed
Verso il polo con Armaduk di Ambrogio Fogar
Papillon di Henri Charrière