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“Ero un bullo – La vera storia di Daniel Zaccaro” di Andrea Franzoso

Ero un bullo, di Andrea Franzoso, racconta la storia di Daniel Zaccaro, giovane delinquente di Quarto Oggiaro dalla vita difficile che, dopo diversi “scavalli” (furti di motorini, piccoli borseggi) e rapine in banca, viene arrestato e si redime, riprendendo a studiare e laureandosi. Alla base di tutto, un padre assente e le amicizie sbagliate.

Un romanzo di formazione dedicato ai più giovani, specie quelli che rientrano nella “tipologia Zaccaro” e che, verosimilmente, non lo leggeranno. Franzoso scrive in modo molto scorrevole, ho terminato il romanzo in una sera. La vicenda dovrebbe essere nota per chi segue la cronaca, io non conoscevo Zaccaro perché non sono molto “sul pezzo” (il protagonista è comunque facilmente identificabile nella tipica fauna della periferia degradata).

Non mi dilungherò troppo, mentre te ne parlo mi rendo conto di non essere la persona più idonea a farlo (e non solo perché sono fuori target d’età). L’idea che un cosiddetto bullo possa redimersi è estranea al mio modo di pensare e alla mia esperienza, tanto che anche il protagonista mi ispira, in realtà, poca fiducia e simpatia. Il suo cambiamento mi sembra frutto dell’ennesima ricerca di approvazione. Daniel mi ricorda, più che altro, una canna al vento che si volge al Bene o al Male a seconda del contesto che lo circonda, senza una volontà propria.

Ho avuto la “fortuna” di non trovarmi mai nella posizione di essere un bullo e nemmeno un bullizzato (“fortuna” è tra virgolette perché se il primo ha una scelta, il secondo no). Fatico a voler per forza cercare una giustificazione nella delinquenza, da quella scolastica al vero e proprio “reato”. Te lo dirò in modo franco: chi ruba la mela per riempire lo stomaco può avere un motivo e una scusante, chi ruba e malmena per “fare serata” di scuse non ne ha. Mai.

“American Gangster e altre storie di New York” di Mark Jacobson

Questo è un libro che ho trovato al bancone del Libraccio (sia santificato) durante l’edizione 2020 di Librixia (la fiera del libro di Brescia). Due euro e cinquanta centesimi. E meno male. Un acquisto avventato, forse, ma l’American Gangster di Ridley Scott, pur non essendo tra i suoi capolavori, mi era piaciuto (Denzel Washington è sempre cazzutissimo).

Il film racconta la storia vera di Frank Lucas, narcotrafficante di Harlem diventato un gangster, di quelli tosti, dopo la consueta gavetta e la tipica comparsa dal nulla. Una cosa alla Scarface, per capirci. Figo. L’opera di Scott, nasceva, è vero, da un articolo di Mark Jacobson (quello che dà il titolo al libro, pur occupandone solo trenta pagine). Il libro uscì praticamente in contemporanea con il film. Devo aggiungere altro?

Pura opera commerciale, questa raccolta di articoli (sono sette in circa duecento pagine) rappresenta un fantastico esempio di onanismo autoriale. Jacobson scrive molto, molto bene. È crudo, duro, sa far sorridere con il suo freddo cinismo. A tratti, nello stile, mi ricorda Palahniuk. Ma finisce lì, perché quello che racconta non è assolutamente interessante. Le diverse (sono diverse?) storie narrate non stimolano nessuna sensazione, se non, appunto, la lettura di qualche paragrafo particolarmente brillante.

Se dovessi riassumere di cosa parlano questi articoli non saprei nemmeno da che parte iniziare. Basterebbe leggere dieci righe a caso prese nel mezzo, e poi altre dieci e altre dieci ancora. È qualcosa di talmente frammentato da essere indescrivibile. Sembra un elenco della spesa.

Puttane, droga, gang, fattoni e magnaccia si mescolano senza sosta e senza un filo conduttore. Sembra che gli abbiano detto: «Ehi, sta per uscire il film, metti insieme altre pagine a caso insieme all’articolo su Frank Lucas e facciamo un po’ di soldi». Che peccato. Onestamente, non so se Jacobson abbia scritto anche dei romanzi. Se l’avesse fatto ne leggerei volentieri perché, ripeto, lo stile c’è ed è molto forte. Ma questa, questa è solo un’opera senz’anima figlia del mercato.