Ero un bullo, di Andrea Franzoso, racconta la storia di Daniel Zaccaro, giovane delinquente di Quarto Oggiaro dalla vita difficile che, dopo diversi “scavalli” (furti di motorini, piccoli borseggi) e rapine in banca, viene arrestato e si redime, riprendendo a studiare e laureandosi. Alla base di tutto, un padre assente e le amicizie sbagliate.
Un romanzo di formazione dedicato ai più giovani, specie quelli che rientrano nella “tipologia Zaccaro” e che, verosimilmente, non lo leggeranno. Franzoso scrive in modo molto scorrevole, ho terminato il romanzo in una sera. La vicenda dovrebbe essere nota per chi segue la cronaca, io non conoscevo Zaccaro perché non sono molto “sul pezzo” (il protagonista è comunque facilmente identificabile nella tipica fauna della periferia degradata).
Non mi dilungherò troppo, mentre te ne parlo mi rendo conto di non essere la persona più idonea a farlo (e non solo perché sono fuori target d’età). L’idea che un cosiddetto bullo possa redimersi è estranea al mio modo di pensare e alla mia esperienza, tanto che anche il protagonista mi ispira, in realtà, poca fiducia e simpatia. Il suo cambiamento mi sembra frutto dell’ennesima ricerca di approvazione. Daniel mi ricorda, più che altro, una canna al vento che si volge al Bene o al Male a seconda del contesto che lo circonda, senza una volontà propria.
Ho avuto la “fortuna” di non trovarmi mai nella posizione di essere un bullo e nemmeno un bullizzato (“fortuna” è tra virgolette perché se il primo ha una scelta, il secondo no). Fatico a voler per forza cercare una giustificazione nella delinquenza, da quella scolastica al vero e proprio “reato”. Te lo dirò in modo franco: chi ruba la mela per riempire lo stomaco può avere un motivo e una scusante, chi ruba e malmena per “fare serata” di scuse non ne ha. Mai.