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“Esercizi di stile” di Raymond Queneau

Un uomo, dal collo lungo e con un cappello, discute a bordo di un bus (rigorosamente della linea S) con un vicino perché questo, a suo dire, gli pesterebbe il piede a ogni frenata. Dopodiché, sul più bello, lo stesso uomo prende e si siede in un posto libero. Un paio d’ore più tardi l’uomo, nei pressi delle stazione, si fa consigliare da un amico su come abbottonare il cappotto.

Esercizi di stile, di Raymond Queneau, riprende il breve racconto che hai appena letto e lo ripropone in 99 varianti diverse. Difficile rendere l’idea della quantità di stili e giochi letterari con i quali l’autore riesca a mettersi alla prova. Racconta la vicenda in diversi tempi verbali (presente, imperfetto, passato remoto…) ma anche in linguaggi diversi, dal “coatto” al comico, dal preciso all’impacciato, passando per sfide puramente tecniche come il lipogramma (eliminazione di una lettera), la litote (negazione del contrario) e davvero tante, tante altre. (Potrei elencarti lo stile botanico, quello medico, l’ingiurioso, il gastronomico, lo zoologico, gli stili relativi ai cinque sensi…)

Sebbene non conoscessi tutte le figure retoriche utilizzate, spesso è stato sufficiente leggere la variazione del racconto per capire quale fosse la regola applicata. Ad esempio, non conoscevo la parechesi, che si è però rivelata subito come l’accostamento di parole simili dal significato diverso. In definitiva Esercizi di stile ha un titolo più che azzeccato, si tratta di veri e propri esercizi letterari, molto interessanti soprattutto se hai la passione per la scrittura.

Traduzione (fantastica) e introduzione di Umberto Eco. Va detto che il testo originale è ovviamente francese (presente nella pagina a fronte) e Eco ha dovuto a sua volta giocare molto con la lingua per dare un senso logico anche a quei “giochi” che, per differenza linguistica e/o culturale, non sarebbero stati godibili in italiano. Ha fatto un lavoro straordinario, per farla breve.

Il libro ha circa 300 pagine (poco più della metà se, come me, non conosci il francese) e contiene anche una postfazione, più tecnica, di Stefano Bartezzaghi, utile se tu volessi affrontare la lettura con meno leggerezza (che comunque non guasta) e più consapevolezza linguistica e culturale.

Al contrario di quello che tu possa pensare, rileggere lo stesso racconto 99 volte non è noioso, anzi, quasi ti viene voglia di inventare un un nuovo esercizio, quello che manca. Se manca.

“Il nome della rosa” di Umberto Eco

Qui assiso mi accingo a sciorinare apertis verbis, di certo incappando in turpissimi errori, il resoconto della lettura de Il nome della rosa che, sebbene spesso neghittoso, potius sero quam nunquam sono riuscito a terminare. Chiedo venia, e mi percuoto anzitempo le pudenda, per le sciamannate modalità del mio favellare. Ma procediamo che mali principii malus exitus

Innanzitutto devi considerare, casomai ti stessi accingendo alla lettura di queso grosso tomo (l’edizione Bompiani che ho letto consta di 540 pagine fitte fitte), che non si tratta di un romanzo di narrativa. Qualcuno potrà storcere il naso, ma la realtà è questa. Certo, c’è una trama, un racconto, una vicenda con un inizio e una fine. Ma ti sfido ad affermare che il motivo d’essere di questo libro sia la narrazione delle avventure dei due frati protagonisti. Tuttalpiù queste possono essere la scusa per imbastire un (di certo superbo) trattato sul Medioevo, sulla religione e sulla storia della Chiesa durante il periodo dell’Inquisizione. Ma partiamo da una velocissima trama.

Premessa: l’artificio utilizzato è quello del “manoscritto ritrovato”.
Nel novembre del 1327 il frate francescano Guglielmo da Baskerville e il suo allievo Adso da Melk raggiungono un monastero benedettino tra i monti dell’Italia settentrionale. (Velocizzo: tanto la storia te l’ha già raccontata Jean-Jacques Annaud nel film). Qui i monaci cominciano a morire uno alla volta e Guglielmo, un precursore del metodo deduttivo di Sherlock Holmes, è incaricato delle indagini. Ovviamente sono nascosti nell’ombra moltissimi segreti, e l’arrivo sul posto degli inquisitori rende tutto più complicato. E poi c’è la libreria, enorme, labirintica, ricca di passaggi segreti, a cui solo alcuni hanno accesso e da cui proviene un misterioso e introvabile volume. Stop.

È lo stesso Umberto Eco (in questa edizione c’è la sua interessante postfazione) ad ammettere che le prime 100 pagine dello scritto servono a scremare il pubblico. Sono infatti difficilmente digeribili, terribilmente prolisse (per sei pagine viene descritto un portale) e, dal punto di vista narrativo, inesistenti. Nelle prime 100 pagine non succede assolutamente nulla. I lettori reduci potranno poi godersi il resto del “romanzo”, che ha un ritmo più vivace (anche se comunque vivace rimane un termine eccessivo).

Ma, dicevo, la vicenda narrativa occupa forse il 20% dello scritto. Il rimanente 80% si occupa di storia, di religione, di Chiesa e, ovviamente, di linguistica e semiotica. Trattandosi di Eco lo fa in modo impeccabile, oserei dire perfetto. L’onnniscenza dell’autore trasuda da ogni pagina, devi leggere in orizzontale perché appena inclini il volume sgocciola fuori cultura ovunque. Ne segue una terminologia complessa, di certo non alla portata di tutti, e le conseguenti innumerevoli citazioni, sia letterarie che latine (senza alcuna traduzione o nota, quindi se le capisci bene, altrimenti…). Spesso anche nelle dispute verbali dei monaci, appartenenti a diversi ordini (e qui si apre un mondo riguardante il possesso o meno dei beni materiali nei vari ordini e nella Chiesa), la lingua latina è utilizzata correntemente. Tienilo da conto.

Se ne deduce facilmente che, buona parte delle copie vendute (50 mln e oltre), sia finita a fungere da prolunga alle gambe corte di altrettanti tavoli. È infatti impensabile che un’opera di questo genere possa trovare accoglimento presso il grande pubblico se non, come spesso tristemente accade, in seguito all’entusiasmo suscitato dal film. È più probabile che la famosa casalingua di Voghera si sia entusiasmata per il fascino indiscusso di Sean Connery, piuttosto che per la diatriba sul pauperismo, e che le pagine del suddetto tomo risultino utili, al più, a tamponare mutandine e umori dopo la visione del film.

A breve la Rai manderà in onda la serie tratta dall’opera di Eco, in otto episodi divisi in quattro serate. Questo il motivo per cui mi sono avventato sul volume, che attendeva la lettura da diverso tempo tra la mia pila di libri. Posso dire che andava letto, perché è un tipo di letteratura talmente perfetta che non può essere tralasciata. Che poi sia entusiasmante o divertente, beh, questa è un’altra storia. Di sicuro riporta nel Medioevo, che poi è anche il periodo culturale in cui stiamo riscivolando oggi.

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.