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“Mussolini in Giappone” di Angelo Paratico

Esiste una lunghissima lista di nomi di personaggi famosi deceduti che in realtà NON sarebbero morti. Nella cultura pop, per forza di cose, questi presunti zombie sono molto conosciuti: Elvis (che vivrebbe a Buenos Aires), Jim Morrison (avvistato in… Molise!), Moana Pozzi (in India), Michael Jackson (recentemente apparso sullo sfondo di un selfie della figlia Paris) e via dicendo. Meno noti, sono gli zombie che appartengono al mondo della storia e della politica. Credo che ciò sia facilmente comprensibile: tutti desidereremmo risentire Freddie (tornato in incognito nella natia Zanzibar) che canta Bohemian Rhapsody, ma in quanti vorremmo riascoltare l’ennesimo discorso del politico di turno, fosse anche JFK in persona? Pochi, credo. Certo, probabilmente perché di politica ne abbiamo le palle piene (oggi più che mai), ma forse anche perché l’arte è senza tempo, mentre le personalità della “storia” (dittatori e politicanti vari) rimangono fortemente ancorate al loro periodo, a sbiadire nelle foto dei libri di scuola. Tuttavia, per gli appassionati del genere, una lista di questo tipo esiste. È meno romantica e più legata all’eterna ossessione del gomblotto (mito sempre attuale) e comprende, tra gli altri, Napoleone, Hitler e, ovviamente, Mussolini.

La morte di Mussolini, in particolare, è sempre stata avvolta da un certo alone di mistero. Le varianti sul luogo del decesso, e i dubbi sul reale esecutore che avrebbe sparato al Duce, si sprecano (fatti una googlata), fino ad arrivare alla consueta conclusione: Mussolini in verità non sarebbe morto (e forse è a Memphis a dar sfoggio del suo straordinario movimento pelvico).

Scherzi a parte, è in questo filone che si inserisce Mussolini in Giappone, il nuovo romanzo di Angelo Paratico. Cosa sarebbe successo se… Mussolini fosse scappato su un sommergibile diretto in Giappone?
E qui tu mi dirai: questa cosa mi ricorda tanto La svastica sul Sole di Dick (romanzo distopico per eccellenza se si parla di una realtà alternativa nella quale fascismo e nazismo non siano stati sconfitti). Invece no, perché l’autore non è caduto in questo tranello e ha creato qualcosa di nuovo. Mussolini fugge, sì, ma a questo punto Paratico si dedica meno agli eventi storici e più all’uomo, al padre, all’amante. Si dedica più a Benito, che al Duce. È una distopia emotiva, più che storica.

Mussolini si mette in salvo grazie all’utilizzo di un sosia, che viene fucilato al suo posto. Un vero e proprio doppelgänger (o kagemusha, in Giapponese) sacrificale, che muore a fianco della Petacci, fiero di regalare in questo modo un’altra occasione al Duce. Ma chi si sdoppia davvero, nella narrazione, è proprio Mussolini. Non più un uomo forte e dallo spirito tenace, quanto un essere pieno di rimpianti e di dubbi, al quale manca la famiglia e che si condanna per l’alleanza con quel “pazzo” di Hitler. Per dirla in poche parole: si sdoppia e diventa una versione migliore di sé stesso (o, semplicemente, cessa di essere Mussolini…). Arrivato in Giappone, al suo servizio viene messa una geisha, Aya. Con questo stratagemma, Paratico ha modo di mostrarti anche un inedito Mussolini “in amore”, dolce e romantico.

La ricostruzione storica è molto curata e rende la lettura interessante senza mai scadere nel temutissimo infodump. Questo romanzo si legge davvero velocemente, io l’ho terminato in un paio di giorni.
C’è solo una cosa che mi domando, alla fine. Se Mussolini fosse stato davvero così riflessivo e pieno di dubbi, se avesse davvero disprezzato Hitler, se fosse stato umano come il protagonista del romanzo… sarei qui a parlarti di questo libro o ci troveremmo in un paradosso storico-politico-emotivo?

Libri che ho letto di Angelo Paratico:
Leonardo da Vinci – Lo psicotico figlio di una schiava (2018)
La settima fata (2019)
Una feroce compassione (2020)
Mussolini in Giappone (2021)

“Una feroce compassione” di Angelo Paratico

Una feroce compassione è il nuovo romanzo storico di Angelo Paratico (tradotto dalla sua versione inglese: The dew of Heaven). Ti avevo già parlato di Paratico in due precedenti occasioni, per l’interessantissimo saggio Leonardo da Vinci – Lo psicotico figlio di una schiava e per il bel thriller La settima fata. Con Una feroce compassione l’autore mescola in qualche modo i due generi, arrivando così a portare all’attenzione vicende storiche realmente accadute (e poco conosciute) attraverso una ricostruzione che poggia anche su situazioni di pura finzione.

Tutto ruota intorno al ritrovamento del diario di Gino Montecorvo, un ufficiale dell’esercito italiano, inviato a Pechino nel 1900 e stabilitosi poi a Macao per motivi sentimentali ed economici. La lettura del diario – da parte dei personaggi appartenenti alla parte di “fiction” del romanzo – è l’occasione per narrare un periodo storico e gli eventi che lo hanno attraversato. È una storia da noi poco nota (io, almeno, la ignoravo) che riguarda l’Olocausto sofferto dalla Mongolia a opera dei bolscevichi sovietici. Una rappresaglia di guerra che ha causato, oltre a incalcolabili perdite umane, anche lo smarrimento e la distruzione di opere sacre, libri e monasteri. Tra queste reliquie venne perso anche il Sulde, cioè l’oggetto che avrebbe dovuto contenere l’anima di Gengis Khan e conferire il potere di ricreare lo Stato mongolo… (qualcosa di simile alla Sacra Sindone ma con più superpoteri – scostandoci dal fantasy cristiano e avvicinandoci alla realtà, potrei paragonarlo al mantello di Superman).

Ciò che fa da cornice al diario è una vicenda di intrigo e spionaggio, più affine alla precedente opera di Paratico, La settima fata. Ho trovato questa soluzione molto utile a rendere la parte storica più godibile, poiché l’autore ha saputo creare un buon equilibrio tra la narrativa e la storia, dosando sapientemente intrattenimento e informazione (direi un buon 50/50). C’è quindi tutta una sottotrama di intrighi, mafie e segreti (che include anche una storia d’amore) che accompagna il ritrovamento del diario e il mistero del Sulde.

Curiosità: nell’ultima parte del romanzo si svolge un “funerale celeste“, approfonditamente descritto. Un tipo di “sepoltura” rituale tibetana che non conoscevo e che è molto lontana (è un eufemismo) dalle nostre tradizioni. Ti dico solo che gli avvoltoi si cibano del corpo del defunto… Davvero molto interessante.

Ora l’ultima domanda che mi rimane (e che porrò direttamente all’autore) è come e perché il titolo The dew of Heaven sia diventato Una feroce compassione. Alla fine anche La rugiada del Paradiso non sarebbe suonato male.

“La settima fata” di Angelo Paratico

Di Angelo Paratico ti avevo già parlato dell’interessante saggio Leonardo da Vinci – Lo psicotico figlio d’una schiava, dedicato al noto inventore e artista del Rinascimento. Ora, invece, ti sto per parlare de La settima fata, che non è un saggio, né uno scritto politico (a differenza di quanto la copertina potrebbe far pensare), ma un’opera di narrativa che intreccia lo spionaggio con il poliziesco, senza tralasciare una strizzata d’occhio a dei risvolti amorosi e quindi, inevitabilmente, ai relativi rapporti umani.

Raccontarti la trama di questo romanzo senza svelarne i colpi di scena è praticamente impossibile ma, come puoi facilmente immaginare dall’immagine qui sopra, c’è di mezzo l’Assassination (concedimi questa citazione dal mitico film che ho rivisto l’altra sera, con l’altrettanto mitico Charles Bronson) di Xi Jinping, il presidente della repubblica popolare cinese. Detto questo non ti anticipo altro ma, nel corso della vicenda, avrai modo di imbatterti anche nella mafia italiana, in valigette contenenti armi scambiate Cina e Stati Uniti, in una storia d’amore insidiata da ricatti e dubbi morali e ancora tanto altro.

La settima fata si legge molto velocemente proprio per il continuo mutare degli eventi e l’evolversi rapido della situazione, non ci sono parti “stanche” e le 125 pagine del romanzo volano via in un attimo. Te lo consiglio soprattutto se cerchi una lettura d’evasione, che ti porti via con la sua azione, spesso frenetica, in un paese, la Cina, da noi spesso ancora considerato esotico a causa della poca conoscenza che abbiamo delle usanze e tradizioni di una cultura così diversa dalla nostra.

Lo so che la copertina (la bandiera cinese, Xi Jinping in primo piano, il mirino stilizzato…) potrebbe ricordarti certi mattoni politici nostrani, cioè quei libri che ti chiedi sempre chi mai li legga ancora, stavo anche io per cadere in questo misunderstanding. Non badarci, non è così. Ho letto il romanzo in un’unica “sessione”, credo che questo possa essere già indicativo riguardo al fatto che non ti troverai di fronte a una narrazione pesante, anzi.

Curiosità, cito dalla quarta di copertina:
“Un libro stampato a Hong Kong nel 2017, in 100 copie e subito ritirate, per evitare complicazioni politiche.”
Sarà vero? Sarà marketing? Temo non lo sapremo mai.

Copia ricevuta in omaggio da Gingko Edizioni.

“Leonardo Da Vinci – Lo psicotico figlio d’una schiava” di Angelo Paratico

Il 2 maggio 2019 si celebrano i 500 anni dalla morte di Leonardo Da Vinci (Anchiano, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519). Sinceramente, se escludiamo la Gioconda, il Cenacolo e gli schizzi delle macchine volanti, non posso (o meglio, non potevo) dirmi un grande conoscitore dell’artista/scienziato/inventore. Pessimamente nella media, le mie conoscenze si limitavano a quanto assorbito per osmosi da Il codice da Vinci di Dan Brown (e sì, anche dal mitico Hudson Hawk – Il mago del furto con Bruce Willis), del tutto dimentico degli esami universitari dati.
Ora ho rimediato, con solo mezzo millennio di ritardo.

Ti dirò la verità, riguardo a questo Leonardo Da Vinci – Lo psicotico figlio di una schiava (Gingko Edizioni): ero scettico. Uno scetticismo nato proprio dalla mia scarsa conoscenza su Leonardo. Già, perché mi sono detto, se devo leggere un libro su Leonardo tanto vale partire da qualcosa di generico, e non da un testo che desideri dimostrare delle tesi (come si evince dal titolo). Per semplicità mia, capiscimi, è come se per studiare la vita di Kennedy partissi da una biografia che sostenga non sia stato Oswald a sparare. E invece sono stato piacevolmente sorpreso.

Ma torniamo al titolo, appunto.
L’autore, Angelo Paratico, dalle prime pagine sostiene che la madre di Leonardo potesse essere una schiava tartara (termine con cui si definivano praticamente tutte le schiave provenienti da oriente) e che, anche a causa di queste origini umili, Leonardo abbia sempre rincorso un bisogno estremo di dimostrare la propria grandezza sia a sé stesso che al prossimo, soffrendo così di insoddisfazione cronica (e da qui: psicotico). Tutto molto interessante ma, per uno come me (ignorante in materia), poco utile. Ed è qui che il libro, nella sua importante mole di 360 pagine, mi ha sorpreso. Per dimostrare queste teorie, infatti, Paratico ricostruisce tutto il contesto storico per filo e per segno, riportandoti in un’Italia di signorie, epidemie, schiavismo (ebbene sì, in Italia), inciuci di palazzo e quant’altro. La vita di Leonardo viene passata al microscopio, ricostruita fin dagli avi e niente è trascurato.

Sai che sono un tipo pratico, quindi lungi da me addentrarmi nei dettagli del volume (mi perderei perché sono davvero molti, talvolta forse troppi) ma ti offro qualche esempio molto semplice. Sai come funzionava lo schiavismo in Italia nel XV secolo? Conosci i tratti orientali presenti nelle opere di Leonardo e le influenze orientali nel Rinascimento in generale? Sai che Leonardo era vegetariano e che scriveva al contrario? Hai idea di come l’omosessualità fosse affrontata in quel periodo? Pensi che persino tua nonna potrebbe essere il soggetto misterioso nascosto dietro alla Gioconda?
Ecco, dopo la lettura avrai tutte queste risposte e molto di più.

Credo in definitiva che non ci si debba troppo soffermare sulle tesi dell’autore, o che comunque non debbano essere considerate permeanti l’intero volume, poiché vengono esplicitate solo a margine di un’analisi esaustiva del personaggio e del contesto, ed è questo che mi è piaciuto maggiormente. Mi è parso per un po’ di camminare tra le botteghe nelle vie di Firenze e, soprattutto, ho colmato molte mie lacune sia su Leonardo in particolare che sul periodo del Rinascimento in generale.

E lo so che stai ancora storcendo il naso, ti vedo, cazzone. Che dici: «Sì, adesso vien fuori che anche Leonardo è Made in China». Premesso che identificare Cina = bassa qualità nasca da una visione miope (dovuta al fatto che TU compri solo articoli plasticosi da un euro da Cinciampai all’angolo), mi pare che questa opinione da tifoseria da stadio possa essere superata. (Chissà quante cose cinesi “assembled in Germany” hai in casa, di cui vai fiero, ri-cazzone). In Cina, e in oriente in generale, le arti ci sono sempre state, svegliati.

Non credo avrò bisogno di leggere altro su Leonardo Da Vinci, mi sento soddisfatto così, e questo è un dato abbastanza indicativo.
Ed ora, per non spaventarti troppo (che poi ti scoppia il cervello) e tornare alla narrativa, sappi che sto finendo I quarantanove racconti di Hemingway. Non è certo Il vecchio e il mare, ma non ti dico altro…