Di questo romanzo si è parlato molto, moltissimo. È stato la fortuna del suo autore, Joël Dicker, che ha esordito a soli ventotto anni vendendo milioni di copie. È raro che io legga libri così “famosi”, lo sai, ma con La verità sul caso Harry Quebert (2013) ho vouto fare un’eccezione, anche perché mi è stato regalato (da una persona che manterremo anonima affibiandole un codice: T1). Quasi 800 pagine in meno di sei giorni. L’obiettivo – dichiarato – di Dicker era quello di scrivere una storia che obbligasse il lettore a non scollarsi mai dalla pagina, ci è riuscito.
La trama è nota. Nola Kellergan scompare nel 1975 all’età di quindici anni, dopo essere stata avvistata mentre scappava nel bosco inseguita da un uomo. Dopo trent’anni il suo corpo viene ritrovato nel giardino della casa di Harry Quebert, scrittore conosciuto sopratutto per il suo secondo e immortale bestseller Le origini del male. Si scopre che Harry nel ’75, a trentaquattro anni, aveva una relazione con Nola. È uno scandalo, Harry viene arrestato, condannato dal perbenismo dell’opinione pubblica. In suo soccorso corre un altro scrittore, il suo “discepolo” Marcus Goldman, deciso a indagare e a provare l’innocenza del maestro. Mi fermo.
Sarò sincero, questo è uno di quei romanzi che si dimentica in fretta. Ricco di colpi di scena, stravolgimenti e personaggi, difficilmente ti rimarrà in testa. È vero quello che dicono alcuni: non ti lascia niente, dopo. Tuttavia è altrettanto vero che, mentre lo leggi, non riesci a staccartene. È un vortice, un buco nero. Cominci a ipotizzare insieme a Goldman su cosa possa essere accaduto, a pensare di aver capito qualcosa (che, puntualmente, non hai capito). È un ottimo giallo quindi, un thriller che non lascia tirare il fiato e che strizza l’occhio sia a Twin Peaks (per l’ambientazione ristretta) che al Lolita di Nabokov. Ad aggiungere qualcosa in più c’è il rapporto tra Quebert e Goldman, un triangolo con la scrittura e lo scrivere. Una dichiarazione d’amore di Dicker alle turbe dell’artista.
Ho scoperto solo ora che esistono due seguiti, sempre con Goldman protagonista: Il libro dei Baltimore e Il caso Alaska Sanders. Li leggerò, perché anche se questo è puro intrattenimento, è un intrattenimento che funziona. Nel frattempo recupererò anche la serie tratta da La verità sul caso Harry Quebert, con Patrick Dempsey.
Se ami i gialli questo libro ti piacerà, non ho dubbi.
Pienamente d’accordo con te. Ho letto il libro due anni fa e ho visto anche la serie tv, ma di fatto non mi ricordo nulla. L’unica cosa che mi aveva colpito allora e che mi è rimasta impressa è il concetto del paradiso degli scrittori.
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Sono libri di puro intrattenimento (e non c’è nulla di male). Questo mi è parso sopra la media, ma è comunque qualcosa che tendi a rimuovere con il tempo.
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L’ho letto anni fa ed ho avuto le tue stesse impressioni anche se secondo me poteva essere alleggerito di qualche pagina. Mi era piaciuto ma non a tal punto da leggere altro di Dicker. Però non è detto che non lo farò in futuro. La serie tv l’ho vista (evento raro per me che non vedo serie) e l’ho trovata ben fatta e fedele al romanzo anche se qualcosa è stato rivisto per ovvie ragioni che tu ben puoi immaginare. Alcune cose funzionano solo su carta..
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Sì sì, son d’accordo, volevo scriverlo che un centinaio di pagine in meno non avrebbero fatto male, in particolare verso i 3/4, ma poi mi son scordato.
Anche io, come te, non guardo mai le serie, faccio giusto qualche eccezione su quelle autoconclusive, tipo questa o True Detective.
Ahah, capisco bene a cosa ti riferisci, e mi hanno già detto che nella versione per la TV “non ti viene nessun dubbio a riguardo”, non so se ci capiamo…
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