Il 13 ottobre 1972 un Fokker F27 dell’aeronautica militare uruguayana si schianta sulla Cordigliera delle Ande, nei pressi di Glaciar de las Lágrimas. A bordo c’è la squadra di rugby uruguayana dell’Old Christians Club, accompagnata da amici e parenti degli atleti (l’aeronautica uruguayana era messa economicamente molto male e affittava gli aerei per recuperare fondi), per un totale di 40 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio. 12 persone muoiono durante l’incidente, ma dei 33 sopravvissuti all’impatto solo 16 riusciranno a salvarsi, alla fine.
Tabù racconta le dieci settimane che i superstiti hanno trascorso nella carcassa dell’aereo, a 3657 metri d’altitudine, facendo tutto il possibile per non morire. Travolti anche da una valanga (29 ottobre, 8 morti), decidono, come noto, di cibarsi dei corpi dei deceduti, per avere una speranza di vita. Il 12 dicembre tre di loro, Roberto Canessa, Fernando Parrado e Antonio Vizintin (che tornerà subito all’aereo per consentire di ottimizzare i viveri agli altri due), partono per un disperato viaggio a piedi lungo decine e decine di chilometri (non c’è un dato certo, dai 50 ai 100 chilometri in 7/10 giorni), scalano 4600 metri con sole scarpe da rugby e abbigliamento di fortuna e raggiungono una zona “civilizzata” (praticamente due capanne nel nulla) dove incontrano un pastore e comunicano la posizione del Fokker. Il 23 dicembre, 72 giorni dopo l’incidente, due elicotteri cileni recuperano i sopravvissuti delle Ande.
Il titolo originale del libro/ricostruzione di Pier Paul Read è Alive: the story of the Andes survivors; Tabù, invece, è il titolo italiano che fa riferimento a ciò che più ha sconvolto l’opinione pubblica dell’epoca: il cannibalismo, l’antropofagia… quindi parliamone subito.
Ricordo a malapena di aver visto il film Alive – Sopravvissuti (1993) diretto da Frank Marshall ma, onestamente, dovrei riguardarlo. Mi pare che nel film mostrassero i sopravvissuti che tagliavano qualche fetta di carne dai glutei dei cadaveri, o qualcosa di simile. Una versione molto soft di quanto accaduto, insomma. La verità è che, per salvarsi la vita, i 16 superstiti hanno dovuto mangiare ogni parte del corpo dei deceduti – compresi tutti gli organi, anche il cervello – spolpandone a fondo le ossa. L’immagine che, almeno per me, ha più reso l’idea di quanto accaduto è quella dell’utilizzo delle scatole craniche come ciotole, per mescolare il sapore della carne (alla lunga insopportabile perché sempre lo stesso) con quello delle altre parti del corpo.
È di questo, che stiamo parlando.
A rendere la situazione più difficile, il fatto che tutti i passeggeri dell’aereo fossero mooolto credenti. La decisione di accettare l’antropofagia, unica reale possibilità di sopravvivenza, viene presa dopo una lunga discussione di carattere etico/morale su quanto questa soluzione fosse ammissibile dal punto di vista del cattolicesimo. Alla fine, l’antropofagia viene, in qualche modo, equiparata all’eucaristia e ritenuta l’unica via con la quale il Signore avrebbe concesso la salvezza ai superstiti. La maggioranza di questi esce, infatti, rafforzata nella fede da questa dura esperienza, poiché Dio sarebbe stato con loro per tutto il tempo trascorso sulla montagna…
Non mi dilungo in un commento su questa visione delle cose, perché Tabù è davvero coinvolgente e l’esperienza estrema provata dai protagonisti è qualcosa di quasi unico. C’è, insomma, il massimo rispetto da parte mia (soprattutto per le capacità umane, la forza e la determinazione). Tuttavia è proprio vero che, quando VUOI vedere le cose in un determinato modo, le vedi in quel modo (Dio, se leggi il mio blog, continua pure ad assistere i credenti, io sono a posto così, grazie).

Ovviamente, dopo, si è scoperto che a una ventina di chilometri dalla fusoliera c’era una posto sicuro dove poter trovare salvezza (un rifugio abbandonato, ma con dei viveri in scatola all’interno). Tuttavia è doveroso ricordare che i ragazzi (perché erano ragazzi, nella maggior parte tra i 19 e 26 anni) hanno dovuto attendere che le condizioni climatiche migliorassero per potersi muovere (l’arrivo della primavera era l’unica speranza). Hanno fatto, in pratica, la sola cosa che potessero fare: se avessero agito diversamente, sia nei tempi che nelle modalità, sarebbero morti tutti.
Tabù, ad ogni modo, non parla solo di cannibalismo, anche se questo è, per forza di cose, ciò che più ha reso celebre questa storia. Ci sono le ricostruzioni delle varie spedizioni tentate dai ragazzi (prima di quella decisiva), la quotidianità della vita nella fusoliera, l’assistenza ai feriti, i tentativi dei parenti di far procedere le ricerche all’infinito (quando ormai nessuna autorità credeva più in un ritrovamento di persone vive). Tabù è tante cose, e credo vada letto per riordinare le priorità nella propria vita.
So che esitono altri due libri che raccontano questo storia, scritti dai due sopravvissuti più “famosi”: Dovevo sopravvivere di Roberto Canessa e Settantadue giorni: la vera storia dei sopravvissuti delle Ande e la mia lotta per tornare di Fernando Parrado. Credo proprio che li recupererò.
Libri sul genere storie vere/sopravvivenza estrema che ti consiglio perché mi sono piaciuti molto (ecco perché non c’è Walden di Thoreau nell’elenco):
12 anni schiavo di Solomon Northup (1853)
La verità sul Titanic di Archibald Gracie (1913)
Papillon di Henri Charrière (1969)
Tabù di Piers Paul Read (1974)
Verso il Polo con Armaduk di Ambrogio Fogar (1983)
Nelle terre estreme di Jon Krakauer (1996)
Aria sottile di Jon Krakauer (1997)
127 ore di Aron Ralston (2004)
Wild di Cheryl Strayed (2012)
Fuga dal Campo 14 di Blaine Harden (2012)