“Trilogia siberiana: Educazione siberiana – Caduta libera – Il respiro del buio” di Nicolai Lilin

Ti anticipo da subito che non ho intenzione di entrare nel vivo della polemica/indagine/complotto per stabilire se quanto racconta Nicolai “Kolìma” Lilin nei suoi romanzi sia realmente frutto della sua esperienza personale o meno. So che è tutto in discussione e che studiosi di vari campi e nazionalità hanno messo in dubbio perfino l’esistenza stessa degli Urca, la popolazione della Transnistria da cui lo scrittore afferma di essere discendente (una critica molto simile a quella messa in atto nei confronti del Papillon di Charrière). Io non ho una conoscenza abbastanza approfondita, né una competenza storica adeguata, per capire da quale parte stia la verità. Ho letto la Trilogia siberiana di Lilin perché mi ha sempre incuriosito, senza pretesa di capire dove finisse la finzione e cominciasse la realtà.
Così, giusto per saperlo, prima che te ne parli.

Questo pesante (solo nella sostanza, non nei contenuti) tomo della Einaudi è composto da circa 950 pagine e comprende tre romanzi, che ti descrivo brevemente qui di seguito.

Educazione siberiana
Il più famoso dei tre, anche grazie al bell’adattamento di Gabriele Salvatores con John Malkovich. Qui, proprio come nel film, è descritta l’infanzia e la giovinezza di Kolìma, cresciuto in una comunità di “criminali onesti”, cioè criminali con un alto senso dell’onore e del rispetto delle regole interne al gruppo. Kolìma impara a difendersi, lottare, fare tatuaggi, vivere in carcere e molte altre cose necessarie alla formazione personale di un criminale onesto. Ed è, infatti, proprio di un romanzo di formazione che si parla, il mio preferito della trilogia.

Caduta libera
Kolìma viene forzatamente arruolato per combattere la guerra in Cecenia. Questo è senza dubbio un romanzo di guerra, meno vario rispetto al primo ma comunque molto coinvolgente. Lo scrittore descrive diverse azioni militari avvenute durante il conflitto ceceno, entrando in particolari sia per quanto riguarda la cruenza della guerra di per sé, che per l’utilizzo e la tipologia delle armi. C’è più sangue, più morte e più violenza. Quello che ne esce è la mancanza di un confine preciso tra ciò che è legale e ciò che non lo è. Se nel primo romanzo potevi pensare “questi Urca sono dei mafiosi” ora Lilin sposta l’attenzione sulla criminalità a livello nazionale, riuscendo bene a far capire che la linea di demarcazione tra Bene e Male sia davvero labile quando entrano in gioco gli interessi economici dello Stato (e qui tutto il mondo è paese, diciamocelo).

Il respiro del buio
Nella prima metà del romanzo Kolìma, congedato dal servizio militare, soffre di PTSD (il disturbo post traumatico da stress) e fatica a riadattarsi alla vita quotidiana, anche perché nessuno vuole dare un opportunità di lavoro a un veterano. Questa è forse la parte più “stanca” di tutta la trilogia, ma dura solo un centinaio di pagine. Poi il protagonista si riprende, grazie a un periodo trascorso in Siberia immerso nella natura con il nonno, e trova un ingaggio come mercenario tramite un generale con cui ha mantenuto i contatti. Criminalità, Stato e interessi personali si mescolano, chiudendo il cerchio. La sensazione è quella che non si salvi nulla, che non esista la “pace” nel cuore degli uomini.

Ho letto Trilogia siberiana in poco più di una settimana, e questo dovrebbe bastare per farti capire quanto l’abbia trovato scorrevole e coinvolgente. Ciò che mi è piaciuto di più è stata la capacità di Lilin di addentrarsi nello specifico di ogni situazione, descrivere dettagli e caratteristiche che non conoscevo, rendendo i romanzi in qualche modo molto informativi. Si passa infatti dalle regole carcerarie “interne” alla tecnica dei tatuaggi, dalla diversa struttura di armi e pallottole alle norme che regolano la comunità degli Urca (esistente o meno che sia). Tutto viene approfondito, anche solo la modalità con cui si condivide il čifir (bevanda russa simile al té), senza tuttavia che la lettura diventi mai pesante.

Cercherò prossimamente di capire quanto di vero ci sia nei racconti di Lilin, ma in ogni caso credo che continuerò a leggerlo. Se anche dovesse risultare non essere un Urca, rimarrà comunque un narratore eccezionale.

6 pensieri riguardo ““Trilogia siberiana: Educazione siberiana – Caduta libera – Il respiro del buio” di Nicolai Lilin”

  1. Ho letto solamente il primo della trilogia, e sebbene sia effettivamente scritto molto bene e con uno stile davvero coinvolgente, mi ha respinto per il tema che tratta. Non mi vivo molto bene le storie di criminalità, soprattutto quando i criminali diventano eroi, e qui mi è sembrato di vedere proprio questo. Capisco che essendo in prima persona fosse inevitabile, però mi ha impedito di entrare davvero in sintonia con lui e gli altri personaggi.

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    1. Lo capisco bene, ed è lo stesso pensiero che ho avuto anche io durante la lettura del primo romanzo. Cioè, Scarface mi è sempre piaciuto, per capirci, ma qui sembrava davvero che Lilin volesse far passare i criminali per qualcosa di diverso, di migliore di quello che sono. Poi però andando avanti il discorso si allarga, prima alla Russia, che effettua dei veri e propri atti criminali nei confronti dei combattenti, e poi, nell’ultimo romanzo, a una visione della criminalità diversa, che anche il protagonista inizia in un certo modo a rigettare. Diciamo che alla fine moralmente non si salva nessuno, c’è una certa maturazione del personaggio che esce in parte dalla mentalità criminale, ma per capire che il crimine è un po’ ovunque, talvolta in modo legale e talvolta no. Ti mette di fronte al fatto che uno Stato che manda la gente a morire non è che sia poi così diverso dalla piccola criminalità, in quanto a morale…

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      1. Che poi è lo stesso motivo per cui ho smesso di seguire Gomorra: mentre all’inizio era sempre molto chiara la denuncia della camorra, nella terza stagione Ciro e Genny diventano degli eroi tragici, e questo proprio non l’ho tollerato.

        Sembra un bel libro nichilista senza alcun barlume di speranza, anche se potenzialmente potrebbe avere ragione. Mi hai messo la pulce nell’orecchio, ma tanto non credo che andrò avanti con gli altri due, so già che starei malissimo e non ne ho tanta voglia…

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        1. Eh io invece le serie non le guardo mai, salvo eccezioni più uniche che rare (tipo la prima di True Detective), quindi Gomorra non l’ho mai vista…
          Dovresti magari leggere Papillon, se non l’hai mai fatto. Il film (quello con Steve McQueen) era bello, ma il libro è spettacolare. Lì i confini sono abbastanza definiti, e l’eroe “criminale” in realtà non è un criminale, quindi riesci a entrare bene nel personaggio e ad immedesimarti.

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