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“Meno di zero” di Bret Easton Ellis

Meno di zero (il titolo è preso da una canzone di Elvis Costello) è il romanzo d’esordio di Bret Easton Ellis, datato 1985. Con questa prima opera Ellis si mette il culo in ammollo, nel senso che negli States il libro ha talmente successo che l’allora giovane scrittore potrà poi permettersi di fare ciò che vuole, alla tenera età di 21 anni, ormai divenuto ricco e indipendente (se ti interessa questa parte della sua biografia la descrive nel bellissimo Lunar Park, prima che il romanzo viri verso l’horror).

Ora, io ti riassumerei la trama, ma una vera e propria trama non c’è. Meno di zero è il racconto in prima persona di Clay, giovane ricco e annoiato, che torna a Los Angeles per le vacanze prima dell’inizio del college. Durante questo periodo frequenta i suoi amici, che fanno tutti parte per parentela del mondo dei grandi personaggi dello spettacolo e del cinema americano. In pratica sono tutti “figli di”, chi di regista, chi di produttore o di attore, ecc.
Cresciuti all’insegna dell’apparenza più estrema sono praticamente intercambiabili tra loro. Tutti biondi, con jeans neri e occhiali Wayfarer, palestrati e abbronzati e, ovviamente, fortemente dipendenti dalle droghe e dagli alcolici. Clay racconta le sue migrazioni tra una festa e l’altra, tra una scopata e una sniffata, passando per la visione casuale di un cadavere in un vicolo (che più di tanto non stupisce nessuno).
Non è un romanzo-trama, è un romanzo-esperienza, nel senso che l’intenzione dell’autore è quella di portarti in quei luoghi, in quegli ambienti, e mostrarti come gira. Ci sono figli che apprendono solo dalla tv in quale parte del mondo siano i genitori, genitori che regalano Porsche e Mercedes senza sapere nulla dei figli. Insomma, ci siamo capiti.

Ellis è indubbiamente bravo in quello che fa, descrive senza mai far trasparire un’opinione. Il suo è un documentario su una generazione totalmente perduta che può prendere quello che vuole, senza però sapere cosa vuole e senza mai essere soddisfatta di nulla. Un generazione che ha preso però il peggio da quella precedente, che almeno aveva il successo (e forse qualche ambizione), e che si muove sul sottofondo di MTV e delle riviste patinate. La società dell’apparenza, quella degli anni ’80 in certi ceti sociali americani, che noi non conosciamo (diciamoci la verità).
Anche la nostra oggi è una società dell’apparenza, ma lo è in modo distante, diverso, da quella che descrive l’autore. E poi si sa che noi arriviamo sempre dopo…

[Ah, da questo libro è stato tratto anche un film, Al di là di tutti i limiti (1987), con Robert Downey Jr. e James Spader, che non ho ancora visto. Provvederò, anche perché sono due attori che adoro.]

Che dire, il romanzo mi è piaciuto e Ellis ha sicuramente uno stile inconfondibile, tuttavia la distanza da quel tipo di società, rispetto alla nostra, lo rende difficilmente empatizzabile (concedimi il termine). Ho preferito, appunto, Lunar Park.
Non fraintendiamoci però, continuerò a leggere Ellis e, anzi, nei miei programmi c’è quello di terminare tutta la sua opera (sono 7 libri per ora, quindi non una grande impresa). Infatti ho già acquistato anche Le regole dell’attrazione, quindi sei avvisato.