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“Il giro del mondo in ottanta giorni” di Jules Verne

Di Jules Verne avevo letto solo Dalla Terra alla Luna, ma avevo circa dieci anni (si parla di secoli fa) non lo ricordo molto bene. Mi era piaciuto, questo sì, lo ricordo. Poi più nulla fino a Il giro del mondo in ottanta giorni, che ho preso tra le mani per portare avanti il proposito di leggere più classici e autori italiani (ok, arriverò anche lì, una cosa alla volta). Peraltro, tra i titoli arcinoti di Verne, questo è il meno “attraente” dal mio punto di vista: mi hanno sempre attirato di più Ventimila leghe sotto i mari e Viaggio al centro della Terra. Comunque, è andata così.

La trama mi pare quasi inutile raccontarla, considerato il numero spropositato di trasposizioni che sono state tratte da questo romanzo. Io ne ho in mente una di parecchi anni fa, con Pierce Brosnan…
Phileas Fogg, gentleman frequentatore del Reform Club londinese, scommette (ventimila sterline) di riuscire a circumnavigare il pianeta in 80 giorni. Parte, assistito dal suo servitore Passepartout. Viaggerà su vaporetti, navi, treni, elefanti e molti altri mezzi, inseguito dall’ispettore Fix, che lo crede (erroneamente) un ladro in fuga dopo un furto in banca. Lungo il tragitto incontrerà anche Auda, una giovane donna salvata da un sacrificio umano, che prenderà sotto la sua ala protettiva.

Come per H.G. Wells, altro grande padre della fantascienza classica, anche con Verne occorre calarsi per bene nel periodo in cui è stato scritto il romanzo, per capirne appieno le potenzialità e le ragioni del successo. Già perché, oggi, leggere una serie infinita di descrizioni di spostamenti e tecnologie meccaniche forse potrebbe annoiare ma nel 1873, senza tv e internet, rappresentava sicuramente qualcosa di straordinario.

L’avventura non manca, capiamoci, ho apprezzato in particolare la fuga a dorso d’elefante in India, l’assalto al treno da parte dei Sioux negli Stati Uniti e la corsa finale (con colpo di scena) per riuscire a vincere la scommessa. Certo, per forza di cose si perde buona parte dell’esotismo legato alla descrizione di parti del mondo che ormai si conoscono e che non sono più un mistero “irraggiungibile”, ma questo libro rimane un capolavoro di freschezza narrativa. La storia vola.

Quello di Verne era un mondo di grandi valori, di gesti eroici compiuti per senso dell’onore, un mondo caratterizzato da una confortante distinzione tra Bene e Male. Per un attimo mi è sembrato di avere ancora dieci anni. Questo è sufficiente per me, ci tornerò.

“L’uomo invisibile” di Herbert George Wells

H.G. Wells, insieme a Jules Verne, è considerato unanimemente il padre della fantascienza. L’uomo invisibile non è esattamente il suo primo romanzo a essere stato pubblicato, ma si deve considerare che la pubblicazione è avvenuta nel 1897, ben sedici anni dopo la prima stesura…
Detto questo, non avendo ancora letto nulla di Wells, era mio dovere morale rimediare.

Quando si affronta un libro di fantascienza così datato sono tante le riflessioni da fare prima di buttarsi in un semplice “mi è/non mi è piaciuto”. Una su tutte l’innovazione, l’idea originaria originale. Certo, noi siamo abituati ormai all’invisibilità di moltissimi personaggi, esplicitamente o meno ispirati dal romanzo di Wells. Mi viene in mente la donna invisibile della serie I fantastici 4 della Marvel o, appunto, il più esplicito Kevin Bacon de L’uomo senza ombra. E non sto a tirar fuori dal guardaroba nemmeno la lana di Camuflone del mantello di Harry Potter, se no non finiamo più. Ma tutto arriva da qui, perlomeno nella sua forma più moderna, tutto arriva da Wells. Quindi inchiniamoci, come prima cosa.

È ovvio, ora leggere questo romanzo, con la sua semplicità, fa quasi sorridere. La trama è leggera e centrata sulla semplicità dell’invisibilità. Ci sono molte letture che vedono questo romanzo come la previsione della solitudine umana del XX secolo (che era alle porte), ma io non voglio addentrarmici. A volte mi sembra che si debba caricare per forza.

L’uomo invisibile diventa tale volutamente, a seguito dei suoi esperimenti. Lo stesso si rende poi conto che tutti i vantaggi della sua condizione diventano svantaggi nel momento in cui è difficile essere davvero invisibile. Perchè c’è la neve, perchè c’è la polvere, perchè si ha fame comunque, freddo senza vestiti, ecc. Da qui nasce la frustrazione, la rabbia. L’uomo invisibile diventa pian piano emarginato e cattivo (forse anche troppo gratuitamente).

Ho apprezzato molto le ultime 30/40 pagine. C’è un preludio di horror moderno nell’atmosfera, che si distacca da quello che era avvenuto in tutta la parte precedente per l’intensità e la tensione più elevate.

Ripeto, per apprezzarlo bisogna immergersi nel periodo, ritrovare la novità. Non è facile. Però è molto scorrevole, per nulla pesante, si legge in un attimo, proprio perchè semplice.
Credo che leggerò anche La guerra dei mondi e La macchina del tempo, appena riuscirò a recuperarli. La produzione di Wells è infinita, ma dovrebbe bastarmi così, salvo l’uscita di qualche Mammut tentatore.