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“Birra – Manuale per aspiranti intenditori” di Guirec Aubert

Recentemente ho frequentato un corso di degustazione birra e la cosa mi ha molto interessato. Chiariamoci: non sono uno di quelli che si mette a fare l’esperto di birre e pone ottomila domande al cameriere quando deve ordinare, semplicemente la birra mi piace e volevo saperne di più.
Ho ricevuto in regalo Birra – Manuale per aspiranti intenditori di Guirec Aubert e l’ho trovato molto pratico e di facile comprensione. Ti preavviso che ho anche altri due libri “in coda” sullo stesso argomento e te ne parlerò in futuro.

Questo manuale è completo e utile per un approccio iniziale – come il mio – e ti aiuta a districarti in un mondo ricco di terminologie e differenziazioni, spesso anche eccessive. In 200 pagine ben illustrate ti spiega la storia della birra, ti fornisce delle basi se desideri produrla in casa e offre una buona mappa di quelli che sono gli stili, sia in ambito ufficiale che “nostrano”.

Quest’ultima distinzione è particolarmente importante, perché in Italia siamo abituati erronemente a distinguere le birre in base al colore (bionda, scura, ambrata, ecc.) e non allo stile. In realtà le due cose non coincidono, quindi si possono avere stili di ogni colore e viceversa. Ciò che mi è piaciuto di questo manuale è che ti illustra bene quali siano le differenze tra gli stili ma poi ti aiuta anche a (s)padroneggiare (in barba ai puristi) le definizioni “sbagliate”. Un po’ come dire: «Ok, va bene che fare così è sbagliato, ma siccome lo fanno in tanti vediamo almeno di capirci qualcosa».

Ci sono poi capitoli dedicati alla degustazione, alla provenienza geografica e alla scelta dei bicchieri. Ovviamente c’è tutta una sezione dedicata alle materie prime e alla produzione, oltre che alla lettura dell’etichetta. Il tutto senza diventare matti, così da poter aprire il volume sull’argomento interessato quando ti viene qualche dubbio o, come spesso accade a me, quando scordi qualcosa.

Il riferimento agli “aspiranti intenditori” è particolarmente azzeccato. Perfetto per il target di lettori, perfetto per me.

“Il giro di vite” di Henry James

Non leggo spesso romanzi gotici e non mi considero, quindi, un esperto del genere. Qui sul blog, infatti, ti ho parlato di pochi titoli. Senza andare cercare in archivio, mi vengono in mente Melmoth l’errante (1820) di Maturin e The woman in black (1983) di Susan Hill. Ovviamente, poi, c’è L’incubo di Hill House (1959) di Shirley Jackson che, peraltro, presenta molti punti di contatto con Il giro di vite (1898) di Henry James. Anzi, partiamo da questi, così almeno ci svaghiamo un po’ perché, come leggerai più avanti, di svago a questo giro ce n’è poco…

Sia il romanzo della Jackson che quello di James parlano di infestazioni, vere o presunte. Entrambi si collocano in quella linea sottile che divide il soprannaturale dalla malattia mentale (sì, lo so, questo è un piccolo spoiler ma non è grave). Inoltre, recentemente, i due libri hanno avuto delle trasposizioni – più “ispirate a”, che altro – per Netflix ad opera di Mike Flanagan, un regista che mi piace molto (se vuoi guardare una sua serie, però, scegli Black Mass). Mentre ho visto The haunting of Hill House prima di leggere il romanzo, con The haunting of Bly Manor è accaduto il contrario. Diciamo che, in qualche modo, a Il giro di vite ci arrivavo preparato. È incredibile: mi è piaciuta più la serie del romanzo (chi mi conosce sa che di serie ne guardo veramente poche e, in linea generale, odio questo tipo di format televisivo-fidelizzante-lobotomizzatore).

La trama è abbastanza conosciuta. Una istitutrice viene inviata a Bly Manor per prendersi cura di due bambini, Miles e Flora. La donna è affiancata da una governante, Mrs. Grose, che la sostiene e la aiuta in tutte le sue scelte. Miles è stato recentemente espulso da scuola, per motivi che non è dato sapersi. In realtà, entrambi i bambini si comportano, agli occhi dell’istitutrice, in modo strano/ambiguo. La donna si convince, così, che Miles e Flora siano segretamente in contatto con i fantasmi di due persone morte che avevano precedentemente servito a Bly (e che lei vede spesso apparire all’interno della proprietà). Mi fermo, per non svelare il finale, ma la trama è tutta qui.

Un pacco, un pacco mostruoso. Un libro che non ho mai avuto voglia di prendere in mano per vedere come proseguisse la storia. Ostico anche nello stile, che risente pesantemente del tempo passato. James è verboso, ridondante e, soprattutto, noioso (casomai non si fosse capito). So di stare sparando su un mostro sacro e intoccabile, ma questo è quello che penso. Il giro di vite è osannato da molti (uno su tutti, Stephen King) come uno dei migliori romanzi gotici mai scritti, ma io l’ho odiato fin dalle prime pagine. Semplicemente, non accade nulla. Mai. La protagonista, inoltre, è vittima di una costante insicurezza che la rende insopportabile. Una sorta di desperate housewife decontestualizzata.

Per completezza, devo dirti che la lettura di questo romanzo è doppia. La prima, la più semplice, è quella che lo ritiene una classica ghost story. La seconda, più ricercata (ma nemmeno troppo), è quella che mette in dubbio la sanità mentale dell’istitutrice e legge l’intera vicenda come se fosse la descrizione della sua pazzia (la storia è narrata da lei sotto forma di diario, quindi si conosce solo il suo punto di vista).  Non saprei quale delle due scegliere, ma spero nella seconda opzione, renderebbe il tutto meno banale.

180 pagine lette in una settimana. Per i primi due giorni mi sono imposto una lettura forzata di 50 pagine al giorno, poi la media è drasticamente calata… Peccato, mi aspettavo davvero tanto, dopo tutte le premesse.