“Trilogia di New York” di Paul Auster

Trilogia di New York è una raccolta di tre romanzi (o racconti, vista la brevità) di Paul Auster, pubblicati per la prima volta tra il 1985 e il 1987. Si intitolano Città di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa. Ora ti faccio un breve, brevissimo, breverrimo, riepilogo delle trame.

Città di vetro
Per capirci (sul livello di follia) la storia inizia con un uomo che riceve una telefonata durante la notte, chi lo chiama sta cercando l’investigatore Paul Auster… L’uomo, che è in realtà uno scrittore e vive già una sorta di sdoppaimento, sia con il protagonista dei suoi romanzi sia con lo pseudonimo con cui li scrive, decide di fingersi Paul Auster e accettare l’incarico, iniziando ad indagare sul “caso”.

Fantasmi
Blue, detective allievo di Brown, riceve l’incarico da White di pedinare e sorvegliare Black. Il pedinamento si ridurrà a un monotono appostamento nel quale Blue osserverà, dalle finestre del palazzo di fronte, Black seduto a un tavolo che scrive ininterrottamente su un taccuino. Blue inizierà a domandarsi se non sia lui stesso Black, osservato dall’uomo che scrive.

La stanza chiusa
Fanshawe sparisce lasciando dietro di sé, oltre una moglie e un figlio, romanzi e poesie mai pubblicate. Sarà compito di un suo amico d’infanzia far pubblicare le sue opere e sarà suo “dovere” anche sposarne la moglie. Ma Fanshawe sarà davvero morto come tutti pensano? Fino a che punto chi prende la vita di un altro non diventa l’altro?

Come tu avrai già capito (dal momento che sei così astuto e sagace da seguire il mio blog) Paul Auster utilizza trame assurde per indagare il tema dell’identità. Lo indaga così tanto da farti venire il mal di testa, da farti sanguinare il cervello. L’intera Trilogia trasuda il problema dell’individuo, della personalità, di ciò che potrebbe diventare qualcos’altro perché è descritto e pensato come fosse quel qualcos’altro. Io sono io finché ho il mio nome e mi comporto nel mio modo, ma se prendo il nome di un altro e mi comporto come quell’altro, quando smetterò di essere me e comincerò a essere lui? Eh? Sei turbato? Bene, è lo spirito giusto.

Paradossalmente la cosa che manca di più, in tutto questo insieme di paturnie mentali postmoderniste, è proprio New York. Non aspettarti descrizioni della Grande Mela perché non ne troverai: New York è presente solo nel titolo e in qualche breve accenno, per il resto le trame potrebbero essere ambientate ovunque. Quello che troverai, oltre allo studio sull’identità (casomai non si fosse capito), è un forte attaccamento alla professione dello scrivere, sempre presente in tutti e tre i racconti.

Tolto tutto questo, cioè il 90% dell’opera, quello che resta della Trilogia di Auster è l’ambientazione noir da detective-story, che per certi versi mi ha ricordato Pulp di Bukowski (ma senza il divertimento), soprattutto per quanto riguarda il nonsense delle varie situazioni. Attenzione però, niente gialli o trame alla Ellroy, tutti i racconti sono estremamente onirici, collegati tra loro da astrusi dettagli che non riescono (e non vogliono) creare una storia con un inizio e una fine. Se proprio volessi saperlo, solo nell’ultimo racconto la trama segue una strada leggermente più canonica e percorribile.

A questo punto mi chiederai: «Ma questo libro ti è piaciuto?».
No, non mi è piaciuto. Non è un libro che si legge facilmente o volentieri, lo prendi tra le mani ogni volta sapendo di fare harakiri e conscio che non avrai nessuna voglia di girare pagina. La voglia dovrai inventartela, crearla, per riuscire ad arrivare in fondo. A dire il vero non capisco nemmeno perché farsi del male e scriverlo, un libro così, non capisco dove l’autore abbia trovato la voglia di sviluppare una storia di questo genere. Tuttavia non si può dire che sia un libro stupido, non si può non ammirarne l’indubbia e geniale complessità.
E allora lo ammiro, disprezzandolo.

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