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“Beetlejuice Beetlejuice” di Tim Burton

Beetlejuice – Spiritello porcello (1988) è stato uno dei film della mia infanzia. Lo metterei tranquillamente insieme a quei film generazionali come ET, Stand by me, I Goonies, I Ghostbusters e tanti altri (mi fermo perché uno tira l’altro). Il rischio del disastro, quindi, nell’andare a toccare storie così legate alle emozioni della giovinezza è davvero molto alto (basti pensare a quello che hanno fatto ai poveri acchiappafantasmi, appunto). Tim Burton, poi, è un regista che ultimamente non mi ha soddisfatto molto. Lasciando perdere quella schifezza netflixizzata di Wednesday, credo che l’ultimo suo film che mi sia piaciuto sia stato La sposa cadavere, se non, addirittura, Big Fish. Insomma Beetlejuice Beetlejuice si presentava come un vero rischio, una di quelle cose per cui avrei potuto uscire dal cinema incazzato e amareggiato. Non è successo. Non siamo di fronte a Edward mani di forbice, chiariamoci, ma non ho nemmeno rimpianto i soldi del biglietto.

Io la trama non te la racconto, in questo caso meno che mai. Siamo di nuovo a Winter River, c’è il plastico, ci sono Michael Keaton, Winona Ryder e i microcefali, e lo spiritello viene evocato in modo più o meno voluto, come da copione. A differenza del primo capitolo, poi, ci sono molte più sottotrame che si intrecciano tra loro (è un film meno intimo e più corale), rendendo tutto meno lineare e un pochino più articolato. Uno di queste sottotrame è quella totalmente inutile con Monica Bellucci, sì, e non dirò altro a riguardo. È un prodotto molto semplice, sebbene più complicato del suo predecessore (e questo ti dà un’idea di come ci accontentassimo di poco una volta).
Ovviamente, non è in alcun modo uno stand alone, se non hai visto il primo film o lo recuperi (consigliato) o ti dirigi verso altro. Il livello di citazionismo, ma anche il richiamo logico della trama, è tale per cui tu non possa vedere Beetlejuice Beetlejuice senza aver visto Beetlejuice – Spiritello porcello (ma che te lo dico a fare).

Fermo restando, quindi, che la funzione amarcord rimanga la vera spinta del film, sono presenti anche delle novità e dei personaggi davvero godibili. Uno su tutti quello di Willem Dafoe (che non sbaglia mai un colpo) che impersona un agente di polizia dell’aldilà con il background dell’attore di Hollywood morto sul set: in pratica si spara le “pose” dall’inizio alla fine del film, e ti fa morire dal ridere.
È invece incredibile come Michael Keaton, sotto tutto il cerone, non faccia quasi notare gli anni trascorsi. Ricordiamoci che la sua carriera è scoppiata proprio grazie a questa interpretazione.
Il finale è forse un po’ affrettato, ma questo non è molto diverso da quanto si era visto in precedenza. Alla fine i Beetljuice li guardi più per l’atmosfera che per le trame di per sé.

Tutto qui, quindi. Non un capolavoro, ma nemmeno una delusione, e questo vale già molto. Ho sentito qualcuno sostenere che questo secondo episodio fosse meglio del primo… ecco, non mi spiengerei mai a tanto, anche solo per l’originalità dell’idea che qui, per forza di cose, non può avere lo stesso peso.

“Il pianeta delle scimmie” di Pierre Boulle

Un viaggiatore spaziale atterra su un pianeta dominato dalle scimmie. Gli uomini sono relegati allo stato di bestie, con quasi nessuna coscienza di sé, e utilizzati come prede per la caccia o cavie per la sperimentazione. Su Soror, questo il nome del pianeta, tutto funziona all’opposto di come avvenga sulla Terrà. Questa, grosso modo, è la trama de Il pianeta delle scimmie, il classico di Pierre Boulle.

Romanzo più che famoso grazie ai molti film che hanno visto la luce tratti/ispirati/poco-ispirati dalle sue pagine. La prima saga (1968-1973) comprende 5 film (tra i quali i primo ed omonimo film con Charlton Heston rimane inimitabile) e ricordo di averli visti tutti con decrescente godimento. Nel 2001 ci ha provato anche Tim Burton, non ho visto il film perché ne hanno parlato tutti malissimo. Poi, dal 2011, è ripartito il prequel-franchise che prevede il quarto episodio per il 2024. Visti anche questi ma non li ricordo, nulla di ché, evidentemente.

Le 200 pagine del romanzo si leggono molto velocemente. La storia scorre fresca e leggera. Il finale (non spoilero) del primo film è forse più originale di quanto sia il finale del romanzo, una cosa rara.

La parte interessante riguarda principalmente due concetti condivisibili. Il primo è che l’intelligenza sia un bene deperibile: se non stimolata rischia di cedere il passo al nulla. Il secondo, più evidente, è quello del “ribaltamento”, cioè Boulle mostra quanto l’uomo sia poco umano e lo fa attraverso le scimmie (che si comportanto in tutto e per tutto come gli uomini).

Fantascienza intelligente.

“Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali” di Tim Burton

Un film che poteva essere migliore in almeno mille modi diversi. Inizio ad essere abbastanza pessimista riguardo al declino di Tim Burton, saranno 10 anni che non fa un film “a livello”.

Non so neanche da dove iniziare. La trama è banale, scarna. Ci sono i buoni, ci sono i cattivi, i cattivi (guardacaso) vogliono far fuori i buoni. Non è che succeda molto altro. Esteticamente è anche piacevole, compaiono in parte le caratteristiche del cinema di Burton nella creazione fisica dei personaggi e dei mostri, ma si limita solamente a questo. Nel mio cinema ideale l’estetica è al servizio della trama e non viceversa, perchè se non c’è trama, mi annoio.

I temi sviluppabili potevano essere tantissimi. A livello fantascientifico quello sempre intricato dei viaggi nel tempo con i suoi paradossi, a livello umano quello del “diverso”, a livello storico il nazismo con i suoi mostri. Ci poteva anche stare una rivalutazione dei vecchi valori nonno-nipote, se fosse stata approfondita. O una visione alterata della realtà, come avveniva in Big Fish. Niente di tutto questo, solo superficie.

Se penso che sono andato a vedere questa roba e non sono riuscito per tempo a beccare Captain Fantastic mi tiro una martellata nelle palle. Un mese di programmazione il primo, quattro giorni il secondo. Che pubblico di merda, diciamolo. Prove concrete: top ten di dicembre al cinema, cinque film sono italiani. Osservare la qualità dei titoli e piangere (o bestemmiare).