Louise Erdrich è una scrittrice molto nota in America, dove è la principale rappresentante contemporanea per quello che riguarda la letteratura riguardante i nativi americani (gli indiani). Da noi non è altrettanto conosciuta, tant’è che questo romanzo, del 2008, è stato pubblicato in Italia da Feltrinelli solo nel 2013, dopo il successo de La casa tonda del 2012. Ed è un peccato. (Ha in realtà scritto circa 15 romanzi di cui tradotti solo 5/6).
Sul retro di copertina del libro Philip Roth (di cui non ho ancora letto nulla e quindi devo vergognarmi/provvedere) afferma addirittura che Il giorno dei colombi sia il capolavoro della Erdrich. Poi si sa che queste frasi sono messe lì così, ad attirar clienti, però è comunque la parola di un autore affermato che ci mette la faccia, e non di Gigino il carrozziere.
La storia si apre con un massacro: un’intera famiglia viene sterminata, solo una neonata si salva e viene abbandonata nella culla. Più avanti, per questo crimine, verranno impiccati degli indiani, colpevoli di essere stati i primi a mettere piede sul luogo della strage e quindi i perfetti capri espiatori. Attorno a questa mattanza generale la scrittrice crea un dedalo di ricordi e di personaggi (tantissimi) che per qualche motivo sono legati, a volte anche lontanamente, con la vicenda. In realtà l’evento iniziale funge da cornice per quello che si rivela essere quasi un libro di racconti, più che un romanzo unitario. Si ritrovano alcuni nomi già incontrati ne La casa tonda, come il vecchio Mooshum, Geraldine e il giudice Bazil. Aver letto i libri in ordine cronologico inverso, rispetto al concepimento, forse però non aiuta.
Quello che mi piace di questa scrittrice è la capacità che ha di portarti in una dimensione altra, quella (a noi ancora più) sconosciuta degli indiani. Indiani che non sono quelli con l’arco, la penna e le frecce, ma quelli costretti a vivere nelle riserve in tempi più moderni. Sì perché, in 500 anni, gli indiani sterminati dagli americani (e quindi dagli europei, non tiriamoci per il culo che gli americani “nativi” sono loro) sono stati più di 100 milioni. Dovremmo ricordarcene ogni volta che commemoriamo l’olocausto, perché negli stessi anni gli indiani venivano segregati e sterilizzati. Con questi numeri Hitler non può che apparire un “principiante del genocidio”, noi invece degli esperti nel ricordare solo ciò che vogliamo. Ma chiudiamola qui che è meglio.
Detto questo, pur essendo Il giorno dei colombi un grande romanzo, soprattutto per quanto riguarda lo stile di scrittura e le nozioni tramandate, io ho comunque preferito La casa tonda, perché oltre alle caratteristiche appena elencate aveva anche un trama molto più coinvolgente. In pratica in questo romanzo manca un po’ di mordente, quello che ti fa venire voglia di girare pagina per vedere cosa succede (anche se probabilmente non è il motivo per cui si legge un libro come questo). Si ha ogni tanto la sensazione che la colla (ossia il massacro iniziale) utilizzata per tenere insieme tutti i racconti sia un po’ debole e che diventi tutto leggermente dispersivo. L’avrei preferito forse come una semplice raccolta di racconti, appunto.
Io, comunque, ho già sullo scaffale LaRose, il romanzo della Erdrich del 2016, che spero metterà insieme i pregi di questi due che ho letto. Almeno son sicuro che la cronologia di lettura riprenderà una sua logica. Intanto sono combattuto nel suggerirti da quale iniziare: seguire la cronologia ha sicuramente un suo sognificato, ma allo stesso tempo Il giorno dei colombi non è di certo un’opera adatta a tutti…
1 commento su ““Il giorno dei colombi” di Louise Erdrich”