Padre e figlia vivono in completa autosufficienza all’interno del parco nazionale dell’Oregon, fino a quando non vengono scoperti e costretti a integrarsi nella società. Per qualche tempo ci provano, ma poi il padre, ex marine con disturbo post-traumatico, non ce la fa. Scappano e iniziano a viaggiare in cerca di un altro posto dove isolarsi dalla società. È a questo punto che le differenze tra i due diventano più evidenti, lui è estremista nel suo distacco dal mondo, lei più conciliante e propensa a vivere anche nel mondo civile. Non ti racconto altro.
Senza lasciare traccia, di Debra Garnik (regista di Un gelido inverno, che non ho visto) si piazza senza troppa convinzione in quel filone di film, che io amo, di rivolta nei confronti della società, primo su tutti il fantastico Into the wild, ma anche Captain fantastic o Wild. Sono film dove la natura è centrale e ci riporta a ciò che siamo: niente. Tuttavia…
Tuttavia non sono riuscito bene a comprendere dove la storia andasse a parare. Gran parte dei problemi e dei contrasti del padre sono dati infatti dai suoi problemi psicologici, eredita della guerra, e non è invece dato capire cosa desideri fare nella vita la figlia, che vuole troppo bene al padre per contrariarlo, senza lasciare intendere quanto condivida del rifiuto del genitore alla società. Insomma, c’è poca “filosofia” e molta indecisione. È una critica alla guerra? Alla società? È un film che parla del rapporto genitori-figli? Non si sa.
È un peccato perché il potenziale c’era tutto. So che il mio parere è in netto contrasto con quanto si legge in giro cercando notizie su questo film, ma io credo semplicemente che lo dimenticherò presto. Forse perché io cercavo un’atto d’accusa nei confronti del mondo di merda in cui viviamo, e alla fine non posso dire di averlo trovato.