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“Dune – Parte due” di Denis Villeneuve

Questo post è più o meno un promemoria (serve a me per sapere cosa ho visto/letto nel tempo, d’altra parte in origine il blog era nato esclusivamente per questo), non starò a parlarti di Dune – Parte due. Perché? Perché mi è sempre sembrato abbastanza ridicolo parlare dei singoli film di una saga (con lo stesso regista e lo stesso cast, peraltro) suddividendo il commento in base a quanti film sono stati prodotti. Vuoi sapere cosa penso di Dune – Parte due? Puoi leggere quello che ho scritto di Dune – Parte uno, la mia opinione non è cambiata.

Frivolezze: inizio ad apprezzare Zendaya, soprattutto dopo aver visto il trailer di Challengers di Luca Guadagnino. In Dune – Parte due compare anche Lea Seydoux, che è sempre un gran bel comparire. Sembra incredibile che Elvis/Butler possa apparire così cattivo, bella trasformazione. Ho scoperto che ci sarà un terzo film, sempre di Villeneuve, che dovrebbe anche essere l’ultimo. Preghiamo tutti gli innumerevoli dei dell’umana fantasylandia religiosa perché il livello si mantenga a questa altezza.

Unica critica possibile per questo film è che soffra un pochino delle limitazioni che hanno tutti i film di mezzo di una trilogia: non ha inizio e non ha fine, ciò lo rende forzatamente più debole tra gli eventuali tre. Un po’ come per Le due Torri de Il Signore degli Anelli, insomma.

“Dune” di Denis Villeneuve

Premetto, da subito, di non aver ancora letto il romanzo di Frank Herbert, dal quale Dune è tratto. Ho però visto la trasposizione omonima di David Lynch del 1984, sebbene molto tempo fa. Il libro ce l’ho, comunque, chiariamolo.

Detto ciò, vorrei ricordarti la filmografia di Denis Villeneuve:
Un 32 août sur terre (1998)
Maelström (2000)
Polytechnique (2009)
La donna che canta (2010)
Prisoners (2013)
Enemy (2013)
Sicario (2015)
Arrival (2016)
Blade Runner 2049 (2017)
Dune (2021)

Da Prisoners in poi ho visto tutto, compreso quel capolavoro che è Enemy. Quindi posso, con estrema sobrieta (e sfoggiando un linguaggio tecnico che trasuda competenza), dichiarare che, anche questa volta, il buon Denis ha tirato fuori un altro stracazzo di film.

La storia di Dune ormai la conoscono tutti, quindi mi limiterò ad accennarla. Sul pianeta desertico di Arrakis si estrae, dalla sabbia, la “spezia”, preziosa droga dai molteplici utilizzi. A contendersi i diritti di estrazione, sotto la guida feudale dell’Imperatore, due casate: gli Harkonnen (quelli brutti e cattivi) e gli Atreides (i fichissimi). Tra loro, costantemente (e comprensibilmente) incazzati con tutti, i Fremen, gli abitanti autoctoni del deserto. Complotti, guerre, veggenti, sogni e, ovviamente, vermoni giganti.

Con le musiche di Hans Zimmer e scenografie (sia interne che esterne) fuori di testa, Dune è, semplicemente, epico. Lo è in ogni istante. È come se ogni minuto di questo film trasmettesse la precarietà del destino dell’Universo, come se vibrasse. Sono davvero pochi i momenti di alleggerimento e non c’è – grazie! grazie! grazie! – nessun ricorso all’ironia, alla sdrammatizzazione. Questa è davvero una cosa rarissima ormai, con tutti i giocattoloni e blockbuster che girano. La dico meglio: non c’è nessuna cazzo di battuta, mai. Dio, che bello.

Te lo anticipo, questo Dune è la prima parte di due (si spera). Termina a metà libro (così mi dicono dalla regia) e il finale è tagliato con la mannaia. Ripeto, non aspettarti di vedere un qualche tipo di autoconclusione, non c’è. Speriamo solo che le parti siano davvero due, perché i libri della saga di Herbert (senza contare le opere derivate scritte da altri autori, tra i quali il figlio dello scrittore) sono sei. Lo spettatore medio, lobotomizzato dalla serialità netflixiana, non aspetta altro che una saga da dodici film. Io confido in Villeneuve, due sono sufficienti, anche perché mantenere un livello così alto sarebbe pressoché impossibile e si rischierebbe di sfociare in un nuovo, e altrettanto terrificante, Star Wars.

Non starò a parlarti di implicazioni ecologiche e nemmeno di feudalesimo (Arrakis potrebbe tranquillamente essere l’Africa), l’hanno già fatto in molti. Ma il fatto che non io non lo faccia non significa che stia trascurando la genialità e la preveggenza (il romanzo è del 1965) di Herbert. Anzi.