“Wild – Una storia selvaggia di avventura e rinascita” di Cheryl Strayed

Avevo ragione. Nel senso che conoscevo Wild per il film di Jean-Marc Vallée (Dallas buyers club), su sceneggiatura di Nick Hornby, con la quasi-sempre-insopportabile Reese Witherspoon e, pur non essendomi piaciuto molto, avevo intuito che dietro ci fosse una grande storia. Mi ero quindi ripromesso di leggere il romanzo di Cheryl Strayed per verificare.
Cazzo, che bel libro.

Wild racconta l’avventura dell’autrice sul Pacific Crest Trail (PCT), affrontato senza alcuna esperienza pregressa di trekking o di qualsiasi altro tipo di escursionismo. Oggi il PCT è molto conosciuto, ma all’epoca in cui lo affrontò la Strayed, nel 1994, non era così noto. Il PCT è un percorso di trekking che si snoda su suolo statunitense “vicino” (150/200 km) alla costa, dal confine del Messico a quello del Canada per 4286 km, con un altitudine variabile da 0 a 4009 metri. Chi riesce a completarlo viene definito un Thru-Hiker. Insieme all’Appalachian Trail e al Continental Divide Trail rappresenta il sogno di ogni appassionato di trekking.
La Strayed, dopo una serie di problemi personali, cominciati con la morte della madre e proseguiti con un periodo di dipendenza dalle droghe e dal sesso fino ad arrivare a un divorzio, si butta sul percorso avendo letto solamente una guida. Perderà unghie, scarpe, speranza (per poi ritrovarla) e molto altro, prima di riuscire a concludere l’impresa.

Vorrei che ti fosse ben chiaro di cosa stiamo parlando, soprattutto trattandosi di una donna sola che attraversa l’America da sud a nord. Nello specifico, infatti, il problema non sono solo gli orsi, i puma, i serpenti a sonagli e gli scorpioni, ma anche il pericolo rappresentato dal predatore più cattivo (o meglio, l’unico cattivo) del regno animale: l’uomo. Le condizioni di insicurezza sono costanti e l’autrice, come si suol dire, ha avuto i controcoglioni per affrontare questa impresa. Da qui poi si estendono altre migliaia di difficoltà, come la depurazione dell’acqua, l’assenza di cibo e di igiene, il peso dello zaino (soprannominato “Mostro” dalla Strayed). Questa è davvero un’impresa titanica.
E poi, certo, c’è tutto ciò che di positivo porta un’esperienza come questa. La condivisione con altri hiker, la visione di animali e paesaggi incredibili, il contatto diretto con la natura nella sua forma più vera e, naturalmente, la soddisfazione di mettersi alla prova e riuscire a fare qualcosa di grandioso.

Come ti ho già detto altre volte, io fatico a leggere romanzi scritti da donne, fatico a immedesimarmi nella visione femminile della vita. Non per sessismo o altre stupidate, ma semplicemente per una psicologia molto diversa, per cui immagino che, semplicemente, valga anche il contrario. Questa volta invece non ho faticato, l’ammirazione ha superato le differenze e la Strayed mi ha conquistato totalmente. Qui si parla di rinascita, di un Christopher McCandless, al femminile, che non incontra la pianta sbagliata e ha la possibilità di risorgere. Non è esattamente Into the wild certo, ma è comunque molto più Wild di quanto tutti noi saremmo disposti e capaci di affrontare. Chapeau.

5 pensieri riguardo ““Wild – Una storia selvaggia di avventura e rinascita” di Cheryl Strayed”

  1. Sottoscrivo l’opinione su Reese: mi piace come attrice, ma è una che mi sento di assumere a piccole dosi, forse perché è un po’ troppo bionda, in tutti i sensi, per i miei gusti.

    Non ho letto il libro, ma la tentazione di buttarmi nel percorso caspita se c’é; collasso dopo dieci minuti di corsa, ma mi lancerei subito in un’impresa del genere. Deve essere una di quelle esperienze che ti cambiano la vita e ti danno tutta un’altra prospettiva sul mondo che ti circonda.

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    1. Ahah, sì, Legally blonde, non la reggo.

      Guarda io sono uno che corre (anche se da qualche mese riposo), un paio d’anni fa ho affrontato anche la Cortina Trail (48 km, 2600 di dislivello) e devo dire che ne esci in qualche modo cambiato. Capiamoci, ci ho messo più del doppio di quanto ci abbia messo il primo ad arrivare, ma l’obiettivo era, appunto, arrivare. Il trekking da più giorni (quello estremo, da autosufficienza), mi manca. Certo, ho fatto ancora periodi di trekking con base in hotel, anche da 20/30 km al giorno, ma mai con lo zaino in spalla in vero stile tartaruga dove ti porti dietro tutto. Bisogna essere pronti a non lavarsi, ad usare un bagno in mille (quando c’è), ecc. Mi ha sempre fermato tutto questo, ma sento che è una di quelle cose che mi manca, una di quelle cose che potrei seriamente rimpiangere se non recupero intanto che sono “giovane”. Quindi chissà, già questa estate farò tappa nei rifugi per la prima volta, ma si parla di Trentino, quindi sembrerà di stare in hotel.. Insomma, avrai capito che un po’ la invidio la Strayed, forse anche per il coraggio.

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