“L’urlo e il furore” di William Faulkner

Vai a leggerti un po’ di recensioni su questo romanzo di Faulkner, o anche i giudizi (le stelline) presenti nei vari siti che vendono libri. Vai e poi torna, torna qui da me.
Eccoti, sei tornato. Bene. Ti faccio un riassunto di ciò che hai trovato. Un 2% non ha gradito la lettura, poiché giudicata incomprensibile (tuttavia è incomprensibile anche il modo di scrivere di questa nicchia, senza accenti e H dove servano) e il restante 98% ha ritenuto il romanzo ineguagliabile, anche se spesso criptico, difficile e pesante, ma comunque un’esperienza immancabile.
Ok, io sono fuori da questa statistica. Già perché io il romanzo l’ho quasi totalmente compreso (tranne dove è proprio volutamente impossibile), e lo reputo comunque una lettura perdibilissima.

Ma facciamoci prima un po’ di trama.
La narrazione è divisa in quattro capitoli e un’appendice esplicativa (che Faulkner voleva prima del romanzo ma che qualche sadico editore ha posto al termine). I capitoli raccontano ognuno una giornata dal punto di vista di uno dei membri di una decadente famiglia del Sud degli Stati Uniti di inizio ‘900, tranne l’ultimo che è un resoconto di un giorno di lavoro della serva nera, Dilsey. Le giornate non sono in ordine cronologico ma sono sparse alla membro di Schnauzer. Ora io non mi sprecherò in dettagli, mi pare anche inutile. Come sempre per la trama completa c’è wiki. Ti dirò però che il primo capitolo (65 pagine) è un flusso di coscienza del tretatreenne ritardato Benjamin, uno dei figli. Cioè 65 pagine senza il concetto di tempo, di logica, di costruzione del pensiero. Una cosa che non è piacevole da leggere, punto. Avrebbe potuto durare 10 pagine ed avere la stessa funzione, ma non sarebbe stata abbastanza masturbatoria per l’ego dello scrittore. Siamo infatti in pieno onanismo letterario.

Dal secondo capitolo in poi la situazione migliora (molto) poco per volta. Ma almeno il terzo e il quarto capitolo son ben comprensibili, anche se assolutamente noiosi. Ecco, “noioso” è il termine che contraddistingue meglio di ogni altro questo libro. Ogni tanto Faulkner ti spara un paio di frasi consequenziali con un senso logico e ti fa capire che, effettivamente, sia un grande scrittore. Ma a me non basta. Io mi sarei sparato nelle palle, per farla breve. Pensavo che Walden di Thoreau fosse un pacco, ma a confronto è un episodio di Topolino.

Se poi dobbiamo dire che un romanzo è fenomenale perché è difficile e perché tratta lo scottante tema dello schiavismo e delle differenze razziali, allora è un altro conto. Resto dell’idea che Furore di Steinbeck lo faccia molto meglio, rimanendo nei classici della letteratura Americana.

Quindi, con buona pace di chi dice che quello che resta sia l’atmosfera (anche quando non si capisce una mazza), non credo che leggerò mai più Faulkner.
Vade retro.

7 pensieri riguardo ““L’urlo e il furore” di William Faulkner”

  1. scusa leggo solo ora. purtroppo ci hai visto malino, ritengo( ed è un mio modo di vedere che lascia il tempo che trova) che i social siano il degno surrogato delle andate vanità e delle a venire velleità, per cui mi guardo bene dal dedicarmici. naturalmente non sai nulla della mia vita privata e quindi non potevi sapere che,nella stanza da letto, il suddetto Alfonsino, vuole essere trattato come una bestia,un insignificante spregevole essere,come un anonimo apolide reietto figlio di puttana. eccoti finalmente spiegata la minuscola. a questo punto avrai capito che il mio intento non era polemizzare, meno che meno offenderti (provocarti,però,si,cazzo, sei pure cattiverrimo!!), se il risultato è stato questo mi scuso per le mie responsabilità.
    Il periodo che va dagli ultimi anni dell’Ottocento alla prima guerra mondiale in Europa, alla crisi del 29′ negli States, è un periodo di fermento,vivacità, ottimismo, velocità, conquiste sociali,instituzionali ed economiche senza precedenti. Fine della schiavitù e della servitù della gleba, costruzione degli Stati-Nazione con relativa invezione di una retorica patriottica e nazionalista( Altare della Patria , Milite Ignoto e via dicendo), riadattamento dell’architettura urbanistica sotto tale lettura, Parigi e Vienna su tutte( Roma è un caso a parte perchè appena scavi 3 metri ce trovi il busto di Silla e la Sovrintendenza te blocca i lavori fino al prossimo Giubileo),ampliamento a dismisura delle tratte ferroviarie,epopee coloniali,Belle Epoque,fratelli Lumiere e fratelli Wright,Ford,Taylor e taylorfordismo, nascita della CGIL, futurismo, socialismo,ruggenti anni venti e potremmo continuare all’infinito.
    Questo fervente dinamismo,questo inguaribile positivismo, finirà per cozzare con la relatività einsteniana,con la matematica di Godel, con la psicanalisi di Freud e il sincretismo di Jung, con i dubbi di Pirandello e Svevo, con milioni di morti nei pantani delle trincee delle Grande Guerra,nei pogrom sovietici,turchi e tedeschi, con l’eliminazione scientifica di ebrei,zingari,omosessuali e diversamente abili.
    Questa fiducia incontenibile nelle magnifiche sorti e progressive dell’umanità lascia nella più sconfortante penombra l’altra faccia della medaglia, tutti coloro( e sono stati tanti) che a questo mirabile balzo in avanti non vi hanno mai preso parte, che è poi una delle motivazioni che lo hanno reso possibile, homo homini lupus.
    Ecco il perchè della riluttanza che suscita la “narrazione” in prima persona di Benji(il cui vero nome Maury viene cambiato in chiave apotropaica in Beniamino, il figlio prediletto) e del perchè Faulkner inizi proprio da lui, per dare voce alla sua inconsolata e inconsolabile sofferenza, all’endemica incapacità di comprendere in maniera elementare la realtà che lo circonda, in un continuo vuoto di significati e cognizioni,dove presente e passato si alternano e compenetrano senza soluzione cronologica, solo una cosa è chiara,la sincera passione per la sorella Candace,il vero e unico agnello sacrificale di una logica spietata. L’unico modo che abbiamo, io e te, per comprendere parzialmente tutti i Benji del mondo è provare sofferenza, angoscia,fastidio durante la lettura di questi passi,poichè,la stessa angoscia,lo stesso fastidio è quello che prova Maury nei confronti della società che va troppo veloce per occuparsi del suo smarrimento. La storia di Quentin, mi pare il perfetto compendio della società americana di quei tempi, forsennata( come il saliscendi da un tram all’altro) ed equivoca( nel tentativo di riportare la bambina a casa viene scambiato per il suo rapitore), ma contenente in grembo la pervadente schizofrenia della stessa( pensa all’incesto in fieri che,per Quentin, diviene materiale anche senza che in realtà ciò avvenga) che non può che sfociare nell’unica soluzione possibile,l’autodistruzione.
    Inutile aggiungere che sono le parti del libro che preferisco. Furore di Steinbeck è un capolavoro ineguagliabile ma rispetto a questo libro ha un peccato originale, è stato scritto subito dopo la Grande Depressione, questo l’ha preceduta,seppur di poco.
    Sulla voluttà onanista di ciascun letterato potremmo scrivere encicliche e Faulkner non ne sarà certo stato immune,ma preferisco pensare che, fosse troppo impegnato a sbarcare il lunario facendo lavori di manovalanza vari e ubriacarsi a bestia praticamente in qualsiasi ora del giorno, per soggiacere alle logiche di autoerotismo delle quali parli.
    Mi auguro che penserai d’ora in poi( come faccio io con me stesso) che forse sei abbastanza lontano dall’aver compreso quasi tutto di questo complicatissimo romanzo,che quando non comprendiamo alcune cose forse è anche dovuto alla nostra predisposizione d’animo o (ma non mi pare il tuo caso) ai mezzi conoscitivi in nostro possesso e mi auguro che apprezzerai il fatto che ho impiegato un’oretta della mia esistenza per risponderti come ritenevo opportuno piuttosto che chiosare la nostra querelle con un banalissimo( e inutile) si scrive trentatreenne non tretatrenne.

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    1. Ciao “ero io”. Che peccato, ero già tutto esaltato dall’idea di avere un hater, indispensabile preludio di successo assicurato, e invece ora mi tocca un confronto “normale” da persone civili… Certo che apprezzo il tuo messaggio e il tempo che mi hai dedicato, ci mancherebbe! Apprezzo anche il fantasioso volo immaginifico che hai costruito su Signorini (lui credo lo apprezzerebbe meno) per giustificare il precedente intervento (e ti ringrazio per la segnalazione sul refuso trentatrenne/trentatreenne, che vado a correggere).
      In realtà apprezzo così tanto il tuo intervento (e lo avrei apprezzato da subito, anche senza tirare in ballo Signorini) che sono sinceramente dispiaciuto di non poter entrare nei particolari/dettagli con te riguardo a L’urlo e il furore. L’ho letto quasi due anni fa e non mi è freschissimo nella memoria. Certo, ho fatto un ripassino, ma avere il romanzo ben in testa è un altra cosa. Ricordo l’incomprensibilità della prima parte, ma non se questa fosse “del tutto incomprensibile” o se fornisse solo una vaga idea degli eventi. Da quello che ho scritto, immagino la prima.
      Posso quindi fare con te solo una riflessione generica, ma comunque affine, a riguardo. Se di encicliche sull’onanismo letterario di certi autori potremmo scriverne molte, altrettanto potremmo fare sull’eterno dilemma su quanto (a lungo) una determinata incomprensibilità possa ritenersi un pregio. Mi viene in mente l’episodio Le vacanze intelligenti del film Dove vai in vacanza?, nel quale Alberto Sordi e Anna Longhi visitano la Biennale di Venezia in veste di marito e moglie. Lei si siede su una sedia e tutti la fotografano, pensando sia un capolavoro d’arte moderna. Ecco che l’incomprensibile diventa altissimo, perché incomprensibile. Poi chiaro, il discorso dell’angoscia, del malessere, del fastidio comunicato attraverso la visione di chi vive quotidianamente queste sensazioni lo capisco, ma non lo apprezzo. Questi sono però gusti personali miei.
      Io ho sempre preferito l’opera comprensibile (Furore), a quella incomprensibile. L’abilità comunicativa e divulgativa, alla sedia vuota al centro della stanza (che mi è sempre parsa più un segno di supponenza piuttosto che di libertà interpretativa).
      Però ti ringrazio molto. Anzi, se avrai modo di starmi più sul pezzo (temporale si intende, perché il rincoglionimento non mi dà tregua e la memoria paga pegno) non potrà che farmi piacere.

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      1. se le persone fossero cattiverrime come te sarebbe senz’altro un mondo più comunicativo( ma per dirla alla Mr.Wolf non è ancora il momento di farci i pompini a vicenda). In realtà avrei voluto scrivere più cose,spiegare meglio come la penso io ma il tempo è tiranno. Anch’io solitamente preferisco la “prosa scorrevole”…sarà stato l’isolamento o sarà colpa de sto buco d’azoto. Sono poco social ma ci proverò. senza pezzi, però, ho smesso 10 anni fa.

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    1. Dici? Non lo so, Signorini non l’ho mai letto, io. Sono però abbastanza sicuro si scriva con la maiuscola.
      Talmente bravo a celare la profondità del commento che sembra un attacco personale di chi è abituato a fare polemica su Facebook. 😉

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